Libri. La recensione di "Affondata sul lavoro" di Gabriele Poli
Gabriele Polo, prima impegnato in viaggio nell’Italia del lavoro: nella Torino orfana «non dichiarata» della Fiat, visita i luoghi della ex locomotiva produttiva del Nord-Est con i suoi distretti in rapida trasformazione, referta le crisi d’identità delle province lombarde e la mutazione genetica delle cooperative emiliane, esplora infine le «difficili continuità» di un Sud sempre in bilico tra sviluppo e regressione.
Oggi la memoria del suo viaggio è raccolta in questo libro, Affondata sul laovro (ediesse) ed è il ritratto impietoso del paese visto nelle terre del benessere economico ora in declino, lacerate in profondità dal trionfo del liberismo in economia e del berlusconismo in politica; di un paese che nel celebrare i suoi 150 anni ha visto, in questa drammatica congiuntura politico-economica, riaffiorare tutti i nodi irrisolti della sua storia.
L'estratto
recensione a cura di Fabio Sebastiani
“Affondata sul lavoro” è il racconto di un viaggio in quello che rimane dello “stivale”. Non c’è una metafora più appropriata per descrivere l’Italia di oggi perché, come mi sono sempre detto da quando la metafora mi affascinò sui banchi di scuola, “con uno stivale solo non si va da nessuna parte”. E leggendo le “stazioni” di Gabriele Polo, attraversate da giugno a novembre del 2012, la sensazione che se ne trae è quella di un capolinea: lo zoppo non ce l’ha fatta. E la fine della storia rischia di essere rovinosa.
Il lavoro è la chiave di questo breve saggio dell’ex direttore del manifesto. Perché fu sulle braccia che tentammo di costruire lo stivale gemello, ma oggi dobbiamo riconoscere il fallimento dell’impresa. Rimane l’amaro in bocca. Tutto questo non è accaduto per inettitudine di chi quelle braccia le ha donate generosamente, ma per sottrazione di giustizia sociale. La sottrazione che contraddistingue i furbi, i voraci, i telegenici, i baciapile, “quelli che la sanno lunga”, i paurosi, i mafiosi, gli stragisti e, lasciatemelo dire, gli imperialisti di ogni tipo e latitudine. La lista potrebbe continuare, ma questa basta a raccontare i nostri decenni atroci, a dire che il limite è ampiamente passato. Spinti dal vortice centrifugo siamo giunti al punto di non ritorno. Il vaso è rotto e non si può riaggiustare. Se pure “la coop non sei più tu”, come scrive Polo, allora c’è davvero poco da fare se non cominciare un’altra storia. E senza tanti complimenti.
Lo shaker è il costo del lavoro, per chi non l’avesse capito, e ne uscirà polpetta. Da Torino dove l’alleanza simil-riformista tra Pci e Fiat ha prodotto sette secoli di disastri, a l’Aquila dove si specula sui morti senza colpo ferire nell’opinione pubblica; passando per Udine, città senza confini ma con un unico internazionalismo, la concorrenza spietata sul prezzo nell’arco di una manciata di chilometri, e poi ancora Melfi, il sogno tradito, Bergamo, l’ospedale che affonda nella melma, e la Riviera del Brenta, dove gli “stivali” li fanno i cinesi.
Il linguaggio di Polo, diretto ma non ingenuo, preciso e documentato, riesce a far male. E’ dura da accettare questa realtà che sembra non concedere più mediazioni. Non si parla più di speranze ma di quotidianità, di questo futuro post-tutto che impossibile da coniugare perché ormai incastrato in un eterno presente.
Ce la faremo ancora una volta con le sole braccia, ad affrontare “i nodi irrisolti della nostra storia”? Il libro non è stato scritto per rispondere a questa domanda. Però, si rintraccia un metodo di analisi, quello del punto di vista complessivo che riesce a comunicare un’idea totale di società. Cioè, sembra chiaro che tutte le strade più o meno corporative e parziali che ci hanno portato fin qui servono a ben poco. Bisogna riconquistare una idea generale che cerchi di mettere insieme, pazientemente, il “soggetto sociale” in grado di cominciare il duro cammino della trasformazione. Il lavoro, nelle sue mille varianti, fino all’esito del “non-lavoro”, sembra avere ancora questa forza, sempre che la si sappia canalizzare senza rimanere prigionieri di miti ormai tramontati del passato.
Gabriele Polo, Giornalista, è stato direttore del quotidiano il manifesto. Tra le sue pubblicazioni: I tamburi di Mirafiori (Cric editore, 1989), Il mestiere di sopravvivere (Editori Riuniti, 2000), Ritorno di Fiom (Manifestolibri, 2011).
Autori: Gabriele Polo
casa editrice Ediesse
Pagine: 152
ISBN: 88-230-1734-4
euro 12,00
Fonte: controlacrisi.org
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