In Umbria è stata approvata, senza un reale confronto e l'ascolto delle istanze delle associazioni femministe, la cd “Legge sulla famiglia”. Noi non possiamo esimerci dall'esprimere la nostra preoccupazione ed il dissenso per un testo legislativo che di fatto modifica il Testo unico sanità e servizi sociali sulle politiche familiari in un'ottica fortemente strumentale. La norma è incentrata sul riconoscimento di una sola tipologia di famiglia e ribadisce la “tutela e promozione della vita umana fin dal concepimento e in tutte le sue fasi”. È una Legge che apre di fatto alla presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori, in una Regione che non si adegua alle linee di indirizzo nazionali in materia di aborto farmacologico e che resta una delle regioni d'Italia in cui è più difficile abortire. Questa Legge regionale è evidentemente un testo antiabortista che interviene in modo improprio ed inaccettabile in una sfera che attiene la libera scelta della donna e della coppia. Inoltre, è una Legge che ammette ingerenza sulla libera scelta della persona, che non ha tra le sue finalità né ribadire la parità di genere all'interno delle famiglie, né l'esplicita tutela di tutte le tipologie dei nuclei familiari. Questa norma costituisce un grave passo indietro per la nostra Regione. Nel testo non troviamo la giusta menzione e previsioni di tutela in materia di violenza intrafamiliare ed il riconoscimento del grave pregiudizio che i minori subiscono nei casi di violenza assistita all'interno di ambienti familiari violenti. Viene perseguita al di là di ogni reale interesse e tutela del minore e della persona la valorizzazione del concetto di famiglia tradizionalmente intesa. Un altro aspetto estremamente preoccupante riguarda il carico di cura che ricade quasi esclusivamente sulle donne, in assenza di un welfare adeguato e funzionale. La norma, anziché promuovere politiche di sostegno reale all’occupazione femminile e alla condivisione dei carichi familiari, sembra accentuare la tendenza a relegare le donne a casa, perpetuando il loro ruolo tradizionale di caregiver. In cambio, vengono offerti "bonus" una tantum, ridicoli e insufficienti a rispondere alle reali necessità delle famiglie e delle donne stesse, che si trovano spesso costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, in un contesto di scarsità di servizi pubblici adeguati come asili nido o assistenza per gli anziani. Queste misure non solo svalorizzano il lavoro delle donne, ma promuovono una visione arretrata e limitante del loro ruolo nella società, consolidando la dipendenza economica e rendendo ancora più difficile la loro autodeterminazione. È indispensabile una seria riforma del welfare, che preveda interventi strutturali e servizi accessibili, al fine di permettere una reale equità tra i generi e una distribuzione più equa delle responsabilità familiari. Questa norma, invece, sostiene la “famiglia” come nucleo imprescindibile in ogni situazione e ribadisce la centralità delle politiche di mediazione familiare e dell'affido condiviso senza i necessari distinguo legati alle situazioni di fatto e riconosciuti dalla normativa nazionale ed internazionale. La norma non prevede la reale tutela del minore e non prende in necessaria considerazione casi specifici e situazioni di violenza, perseguendo l'unico scopo di “privilegiare la protezione e il recupero del nucleo familiare” tout court. Viene esplicitata la necessità di rimuovere gli ostacoli che impediscono le nuove nascite, l'adozione e la vita della famiglia, comprese quelle conseguenti a provvedimenti giudiziari afferenti alla separazione o al divorzio, senza entrare nel merito reale delle problematiche, allo scopo evidente di eludere temi sociali di primaria importanza che sono alla base di una corretta gestione di tali delicatissime questioni: violenza di genere, violenza assistita, diritto all'aborto, libertà e autodeterminazione della persona.

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