La lezione viva di Terracini, antidoto alla controriforma costituzionale di oggi
di Giovanni Russo Spena
Comunista eretico, non approvò il patto Ribbentrop/ Molotov. Negli anni 70 fu contrario al compromesso storico tra il Pci e Dc. Per lui la Costituzione doveva avere una assoluta impronta sociale. Ecco perché il suo pensiero è quanto mai attuale
È un brutto segno dei tempi che l’anniversario del quarantesimo anniversario della morte al fondatore con Gramsci dell’Ordine Nuovo Umberto Terracini sia passato sotto silenzio. Comprendo che il governo, che certo non ama la Costituzione, non abbia, aperto bocca. Comprendo meno la distrazione dell’intellettualità democratica. Noi, comunque, vogliamo brevemente ricordarne lo splendido e prezioso lavoro di costituente, di cui rileviamo il respiro storico e l’attualità. Quella di Terracini, infatti, fu una vita costituente. Fu, non a caso, un comunista eretico che viveva la concezione fondativa dello Stato di diritto. Lo fu quando non approvò il patto Ribbentrop/ Molotov, quando tornò dal confino di Ventotene nel 1939, quando andò resistente in Val d’Ossola. Possiamo leggere il suo più completo punto di vista istituzionale, politico, ma anche sociale nel suo discorso a Camere riunite del 22 dicembre 1947,che volle intitolare “Dalla dittatura alla Repubblica”.
La Costituzione, per Terracini, era il ponte di passaggio verso la normalità democratica. Non a caso volle dare un contributo decisivo, anche giuridico, sul tema, che riteneva ineludibile, della autonomia e divisione dei poteri. Aveva visto giusto; il grande tema è ancora oggi al centro delle riforme incostituzionali del governo Meloni.
Terracini riteneva che a ciascun cittadino dovesse essere consentito di entrare “nell’età dei diritti”. Le più classiche libertà fondamentali incrociano i diritti sociali, di partecipazione politica, di sovranità popolare in una saldatura che rappresenta la equilibrata solidità della nostra Costituzione. Terracini, infatti, lottò, con determinazione ed autorevolezza, nella Costituente, per la costruzione di nuovi istituti e nuove strutture fondamentali per una equilibrata architettura dei poteri costituenti, costituita dalla triade: autonomia dei poteri, critica dei poteri, contropoteri. Penso anche solo alla Corte Costituzionale e al Consiglio superiore della magistratura. Penso, soprattutto, all’articolo 3 della Costituzione, specialmente al secondo comma: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese». Quel «rimuove» è un verbo forte, particolarmente prescrittivo (come il «ripudia» la guerra dell’articolo 11), inedito nel linguaggio della nostra Costituzione. Lo è perché esso è la base del superamento delle diseguaglianze sociali. Non in astratto, ma nella materialità della vita quotidiana. E’ l’assegnazione di un compito/dovere primario alla nostra Repubblica , nata dalla Liberazione e dalla Resistenza, un moto di popolo. Per Terracini la Costituzione doveva avere una assoluta impronta sociale. Qui vi è un tema innovativo vero ( molto contemporaneo) rispetto alle Costituzioni liberali: la legalità costituzionale diventa la radice e la fonte del conflitto di classe, dell’aspirazione popolare alla trasformazione dei rapporti sociali. E’ lungimirante l’appello di Terracini alla pacificazione “del” popolo, “nel” popolo, alla “fratellanza”; che accompagna con la gratitudine nei confronti delle donne e degli uomini che si sono sacrificati per riconquistare le libertà. Terracini, in definitiva, invera il percorso storico , che è politico e istituzionale insieme, del superamento della società monodimensionale, ad una dimensione, della società disciplinare fascista, verso il pluralismo, la coesistenza delle differenze come base della “fratellanza”. Il varo della Costituzione fu, per Terracini, un assillo storico, Quando furono ipotizzati rinvii nei lavori della Costituente dichiara:” il 31 dicembre la Repubblica italiana deve avere ed avrà la propria legge fondamentale, L’Assemblea Costituente si sente l’erede di tutta la più sana esperienza parlamentare prefascista nel quadro delle rinnovate istituzioni repubblicane”. E conclude solennemente, ma senza retorica:” l’Assemblea costituente, testimoniando così della volontà e capacità degli Italiani di erigere il loro avvenire sulla base di legalità democratica, li costituisce dinanzi al mondo tra i garanti della pace e della collaborazione tra i popoli”. Fu un padre della Repubblica eterodosso; il politico forse più eretico e più libero del secolo(lui che aveva vissuto il periodo più lungo, prigioniero tra carcere e confino). Fu un’antinomia tra fedeltà al partito di cui fu fondatore e straordinaria indipendenza del pensiero che lo sospinse a contrasti anche aspri con il suo partito; anche sul giudizio sull’Urss staliniana e poststaliniana. Con la sua passione civile, Terracini dimostrava che, dopo la catastrofe fascista, la Patria rinasceva anche nelle prigioni. Fu un trauma benefico, per il Paese, vedere salire sullo scranno di presidente dell’Assemblea Costituente un giurista cinquantenne , già galeotto, comunista ed anche ebreo. Fu una scelta di rottura; la giovane democrazia ne aveva bisogno; come aveva bisogno di madri costituenti come Teresa Noce. Partecipò attivamente, nell’Assemblea, ai dibattiti sul diritto di sciopero e sul diritto d’asilo. E, mi piace ricordarlo, fu protagonista, da capogruppo a Palazzo Madama, dello scontro molto aspro sulla “legge truffa”. che definì, il 14 marzo 1953, uno ” strumento di eversione della nostra Costituzione”. Io, giovane militante della Nuova Sinistra, ebbi il piacere di incontrarlo quando denunciò duramente la matrice eversiva di destra dell’attentato di piazza Fontana, manifestando solidarietà agli anarchici accusati e partecipando alla campagna per la liberazione di Valpreda. Partecipò anche alla campagna di denuncia della morte in carcere del giovane anarchico Franco Serantini. Dopo il rapimento Moro fu tra i pochissimi dirigenti del Pci contrari alla cosiddetta “linea della fermezza” e aderì all’appello per la trattativa per la liberazione di Moro. Terracini fu uno splendido nostro maestro, un comunista costituente. Ci insegna e ci interpella ancora.
Fonte: left.it
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