Negli scorsi giorni è stato pubblicato sul sito della Autorità Umbra Rifiuti e Idrico l’avviso pubblico “CONCESSIONE PER LA PROGETTAZIONE, REALIZZAZIONE E GESTIONE DELL’IMPIANTO DI TRATTAMENTO E RECUPERO ENERGETICO, PREVISTO DAL PRGIR DELLA REGIONE UMBRIA MEDIANTE PROPOSTE A INIZIATIVA PRIVATA”. Si tratta del bando per raccogliere candidature per la realizzazione di un nuovo inceneritore, il terzo, di rifiuti in Umbria, perché di questo si tratterà.

Il bando, se mai fosse possibile, peggiora il giudizio già assolutamente negativo sulla soluzione inceneritorista scelta dalla Regione.

Il primo aspetto che balza all’occhio è che l’obbligatorietà del recupero energetico tramite la produzione di vapore per il teleriscaldamento, che era prevista dal Piano Regionale Gestione Rifiuti, è magicamente diventata solo un obbligo di predisposizione, dato che il teleriscaldamento si menziona come “opzionale” nel bando. E così anche il tanto decantato modello Copenaghen potrebbe silenziosamente sparire, insieme alle parole e alle dichiarazioni di buone intenzioni di questa amministrazione regionale, che in realtà sul tema rifiuti ben poco ha fatto.

È poi previsto, nero su bianco, un aumento “prudenziale” di potenza del forno dell’8%, che ovviamente corrisponde ad un aumento di capacità di bruciare i rifiuti e quindi dalle 160.000 tonnellate arriviamo alle 173.000 tonnellate/anno. Una quantità pari alla produzione attuale di rifiuto indifferenziato prodotto in Umbria (dati ARPA Umbria 2023) che oggi si attesta sulle 133.000 ton, a cui vanno aggiunti gli scarti dei processi di riciclo, come quelli dell’organico per esempio. Quindi l’inceneritore sarà dimensionato sui rifiuti non riciclati che si producono oggi, senza tenere minimamente conto di futuri incrementi di raccolta differenziata e di riciclaggio.

“In sostanza,” - dichiara Maurizio Zara, presidente di Legambiente Umbria - “il piano è di non fare nulla e restare come siamo fino all’accensione dell’inceneritore, opzione che noi abbiamo sempre considerato inutile e dannosa”, prosegue il presidente  “considerando anche la decrescita annuale della popolazione residente in Umbria,  che contribuirà a ridurre la produzione rifiuti,  ormai, secondo la Regione, non servirebbero altre politiche attive sui rifiuti, ma ci dovremmo accontentare di assicurare per un venticinquennio le 170 mila tonnellate di rifiuti da bruciare di cui ha bisogno l’impianto e garantire così il pareggio finanziario del proponente”.

Quindi, secondo questa logica semplicistica, da oggi si può andare in ferie e smettere sia di impegnarsi a migliorare la qualità del rifiuto raccolto sia di raggiungere il simbolico 75% di raccolta differenziata, tanto c’è tempo fino al 2035. Probabilmente tutto il territorio della Valle Umbra e Valnerina, che ancora non ha nemmeno raggiunto il 65% di raccolta differenziata (obiettivo, ricordiamo, del 2012), potrà dormire sonni tranquilli perché non andremo più in emergenza rifiuti, anche non facendo nulla. I comuni più bravi invece, quelli ricicloni, dovrebbero rilassarsi, adeguarsi al ribasso, non serve fare i primi della classe, si va tutti in gita.

E per quanto riguarda i costi? Si parlava inizialmente di 100 milioni di euro, poi divenuti 150 e in un stima più realistica saliti ad almeno 200, che in ogni caso ovviamente non saranno finanziati né dal PNRR e nemmeno dalle risorse europee del Green Deal o di qualunque altro fondo europeo; sì perché gli inceneritori sono stati dichiarati incompatibili con gli obbiettivi del principio DNSH (Do No Significant Harm), ovvero di non arrecare danno all’ambiente. Il bando pubblicato dall’AURI è infatti del tipo “finanza di progetto” che vuol dire che l’operatore che se lo aggiudicherà dovrà sostenere l’investimento con fondi propri salvo poi recuperare la spesa mediante la tariffa di smaltimento.

Chi pagherà secondo voi quindi? Esatto, cari umbri, esatto.

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