di Emilio Carnevali

Il ministro degli Esteri Alain Juppé ha dichiarato a caldo che «Nicolas Sarkozy può comunque essere soddisfatto, ha lottato uno contro nove». È uscito sconfitto dalla battaglia, ma le sue chance per una riconferma all'Eliseo sono meno compromesse di quanto sembrasse alla vigilia.

Lungi dall'essere motivo di orgoglio – magari all'insegna dello slogan caro a una certa destra "molti nemici, molto onore" – l'isolamento del presidente francese è tuttavia il segno di un clamoroso fallimento politico per chi aveva cominciato la precedente, vittoriosa corsa alla presidenza prosciugando l'elettorato del Front National da una parte e, subito dopo il voto, aprendo all'opposizione di sinistra con il coinvolgimento di alcune personalità provenienti dal Partito socialista. Per la prima volta nella storia della V Repubblica il presidente in carica non arriva in testa al secondo turno. Se lo si guarda da una prospettiva non solo francese, l'isolamento di Sarkozy è quello di una linea politica i cui nemici sono ben più di nove.

È la solitudine cui sembrano condannati quei leader della destra europea che «hanno rilanciato e ribadito le loro idee e le loro politiche fallimentari» – per usare le parole di Paul Krugman – a dispetto del progressivo avvitarsi di una crisi le cui conseguenze sociali si fanno ogni giorno più drammatiche. Se si vanno a guardare i dati della prospera e potente Francia, molti numeri sono più vicini a quelli delle "periferie" europee che a quelli del potente alleato tedesco (sul quale Sarkò si è appiattito in modo totalmente acritico): disoccupazione al 10% (più elevata di quella italiana), debito quasi al 90% del Pil, deficit al 4,6%.

Dall'inizio dell'anno la borsa francese non ha praticamente riguadagnato nulla, diversamente dai rally che si sono registrati nei paesi del "centro" (+14% Germania, +7,82% Belgio, +9,26% Austria), per quanto non abbia fatto registrare le performance disastrose della Spagna (-17,81%). Anche le previsioni di crescita per il futuro (0,5% per il 2012, 1% per il 2013) non reggono il passo con una Germania pur in forte rallentamento (0,6% e 1,5%). Non è un caso se le elezioni francesi hanno fatto registrare un grande successo del voto di protesta, espressione di un crescente disagio sociale, come quello attirato da due formazioni – agli antipodi – come il Fn di Marine Le Pen (passato dal 10,44% al 17,9%) e il Front de Gauche di Jean-Luc Mélenchon (che ha incassato l'11,1%: al di sotto delle aspettative, ma la sinistra-sinistra ha fatto un balzo in avanti considerevole rispetto alle scorse presidenziali). Il punto è che l'Europa intera ha bisogno di un radicale cambio di politiche. E non lo dicono solo premi Nobel come l'ultra-liberal Krugman.

Lo dice un'amministrazione Usa molto preoccupata delle conseguenza del perdurare della crisi europea sulla timida ripresa americana: il segretario al Tesoro Timothy Geithner ha invitato i leader europei a essere «più creativi, perché evitare la prossima fase della crisi dipende da voi». Lo dice il Fondo Monetario Internazionale, attraverso il suo capo economista Olivier Blanchard intervistato dal Financial Times Deutschland: «i tedeschi dovrebbero accettare che l'eurozona prenda la strada degli eurobond». Lo dicono perfino molti esponenti della destra europea. In Italia, ad esempio, Giulio Tremonti ha dichiarato esplicitamente che avrebbe votato per Hollande (ogni chiosa sulla coerenza e le responsabilità del ministro dell'economia uscente è del tutto superflua, naturalmente); Guido Crosetto del Pdl ha commentato ai margini del primo turno francese: «Ho sempre pensato di essere un liberale e mi trovo a sperare nella vittoria di Hollande per non morire tedesco-montiano».

Ma nelle prossime due settimane non ci sarà solo il ballottaggio in Francia, dove il candidato socialista è dato in netto vantaggio sul presidente uscente (54% a 46% secondo gli ultimi sondaggi); si terranno anche le legislative in Grecia, le regionali in due länder tedeschi e le amministrative in Italia. Dopo quel giorno la "grande isolata" nel vecchio continente potrebbe essere la cancelliera Angela Merkel. E con lei le politiche di austerity che stanno conducendo l'Europa verso la catastrofe.

Fonte: rifondazione.it

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