Israele-Iran. Passo dopo passo, attacco «credibile»
Il capo di stato maggiore israeliano Gantz esce allo scoperto: «Così prepariamo l’opzione militare». E l’alleanza sempre più stretta con l’Azerbaijan (via libera all’uso delle basi?) preoccupa la Cia
Il tono è stato controllato ma deciso. «L’Iran sta procedendo passo dopo passo per raggiungere il punto in cui potrà decidere di produrre un’arma atomica. Ancora non ha deciso di percorrere il miglio decisivo… Se lo facesse commetterebbe un errore madornale». Ha scelto le commemorazioni per il giorno dei caduti per uscire allo scoperto il capo di stato maggiore israeliano Beny Gantz. Il comandante militare con queste dichiarazioni – fatte al quotidiano Haaretz – ha confermato le voci che, prima della sua nomina, lo indicavano come un sostenitore dell’attacco all’Iran. Qualcuno, al contrario, ha letto nelle sue parole una «prudenza» distante dai toni drammatici usati – di nuovo l’altra sera davanti alle telecamere della Cnn – dal premier Netanyahu a proposito della «minaccia iraniana». Ma Gantz è un militare e Netanyahu un uomo politico. Ed è normale che si esprimano in modi diversi.
Tanto la sostanza è sempre quella. Israele è sempre pronto ad accendere i motori dei suoi cacciabombadieri e a farli decollare verso l’Iran. E darà il via libera all’attacco non appena verrà accertato il «fallimento» delle sanzioni internazionali contro Tehran. Tra sei mesi, dopo le elezioni presidenziali americane di novembre, o forse il prossimo anno.
La guerra prima o poi si farà, perché a Tel Aviv non basta che l’Iran non costruisca bombe atomiche (Israele nel frattempo ne possiede segretamente tra 100 e 200). Vuole che la Repubblica islamica smetta del tutto di arricchire l’uranio per le sue centrali – anche solo al 3%, ha ribadito Netanyahu alla Cnn – e ciò non avverrà mai. È una condizione inaccettabile per i leader iraniani e Israele lo sa. Perciò i suoi apparati militari continuano a prepararsi, come fanno da anni, per l’attacco, che scatterà non appena le condizioni politiche e diplomatiche (accompagnate da una insistente campagna mediatica) lo consentiranno. L’«opzione militare è l’ultima di tutte, in ordine cronologico – ha detto il generale Gantz – Ma è la prima per quanto riguarda la sua credibilità. Se non fosse credibile non avrebbe significato. Noi allora la prepariamo in maniera credibile. Questo è il mio compito». E continua a prepararsi anche il governo Netanyahu, in costante consultazione con l’Amministrazione Obama (contraria per ora alla guerra all’Iran), tessendo rapporti con i paesi che potrebbero facilitare il raid aereo.
Non deve trarre in inganno il motivo ufficiale per cui, ad inizio settimana, si è svolta la visita in Azerbaijan di Avigdor Lieberman. Il ministro degli esteri israeliano (e tra i leader dell’ultradestra) a Baku non è andato solo a celebrare i venti anni di relazioni tra Israele e Azerbaijan. I due paesi hanno ulteriormente stretto la cooperazione militare e di sicurezza e lo scorso febbraio il dittatore azero Ilham Aliyev ha acquistato armi israeliane per 1,6 miliardi di dollari: missili terra-mare Gabriel-522-x, caccia-bombardieri Heron e Searcher, sistemi anti-aerei Ram e Green Pine. Un bel po’ di armi che hanno messo in allarme l’Iran, con il quale Baku ha rapporti difficili da lungo tempo, e acceso il segnale rosso in Armenia con cui l’Azerbaijan continua, di fatto, ad essere in stato di guerra sulla questione del Nagorno-Karabak. E ha arricciato il naso anche il premier turco Erdogan che avrebbe voluto dall’alleato Aliyev una maggiore considerazione delle ragioni del risentimento di Ankara verso Israele (dopo l’arrembaggio alla Mavi Marmara nel 2010).
A Baku Lieberman ha discusso anche delle conseguenze delle rivelazioni – smentite prima da Aliyev e poi dal governo Netanyahu – fatte qualche settimana fa dalla rivista americana Foreign Policy (FP), che ha citato un’autorevole fonte dell’intelligence Usa, sul via libera dato dal leader azero all’utilizzo da parte di Israele delle basi aeree del suo paese per l’attacco all’Iran. «Stiamo osservando da vicino le manovre di Tehran, ma ora siamo pure obbligati a monitorare le operazioni militari di Israele in Azerbaijan. E non ne siamo felici», aveva detto a FP la fonte dei servizi segreti Usa. Lieberman ha parlato di «immaginazione fertile» dei giornalisti americani ma gli analisti militari sanno che l’opzione era e rimane sul tavolo. Un attacco aereo avviato da Israele presenta – per l’enorme distanza dall’Iran e le rotte da percorrere – rischi notevoli e un’alta probabilità di insuccesso rispetto a raid lanciati comodamente da quattro aeroporti azeri (di era sovietica) ora in disuso e ripristinabili nel giro di poche settimane.
Certo, il FP potrebbe aver inconsapevolmente partecipato a una manovra diversiva israeliana per confondere l’Iran e spingerlo a riorganizzare la sua difesa anti-aerea (buona secondo gli esperti militari) anche nell’area caucasica, ponendo ai generali israeliani un serio problema di allocazione delle risorse. Ma un utilizzo effettivo delle basi aeree azere non si può escludere, fosse soltanto per lanciare le operazioni di ricerca dei piloti israeliani che verranno abbattuti in territorio iraniano.
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