Il clamore suscitato dalle indagini svolte dalla guardia di finanza rispetto alle condizioni lavorative nel modo della cooperazione sociale confermano la presenza di un quadro sorprendente solo per chi non voleva vedere; aziende spacciate per cooperative, evasione fiscale e contributiva, endemica precarietà – con il suo presumibile, infame correlato, il caporalato - e stipendi da fame. Un segreto di pulcinella, subito da quanti sono costretti dalla necessità a sottostare a queste condizioni lavorative e toccato con mano da tutte quelle famiglie che, poste improvvisamente di fronte all'esigenza di assistere i propri cari, si rivolgono a queste società.
Questo non vuol certo dire che si possa puntare il dito contro un intero settore, dove i tagli indiscriminati allo stato sociale ed alla sanità determinano una continua uscita dal mondo del lavoro di migliaia di operatori ed operatrici, obbligati da questa drammatica situazione a migrare da società sane a società disoneste o a ricorrere direttamente al lavoro nero; quanti dei lavoratori e delle lavoratrici  assoggettati a queste ingiustizie erano prima regolari? Quante le donne? Quante e quanti le straniere e gli stranieri?
Non può dunque essere minato il valore storico delle cooperative che da anni operano nel territorio, le quali peraltro hanno da tempo denunciato l'opacità delle realtà colpevoli di così gravi violazioni, come dimostra la loro estromissione dalle organizzazioni del movimento cooperativo all'inizio dell'anno.
La comunità politica non può più sottrarsi al compito di rispondere ad una vera e propria emergenza, riflettendo seriamente su come contrastare un fenomeno che altrimenti, a causa delle scelte dei governi di questi anni, che scaricano sempre di più gli oneri della cura delle persone sulle spalle delle famiglie, è destinato ad acuirsi ed a divenire strutturale. Un rischio reale, che suona da monito soprattutto per quanti hanno alimentato la retorica del “libero mercato” e del “meglio il privato”; la verità è che solo una nuova stagione di investimento pubblico nel welfare e nella sanità può impedire la marginalizzazione economica, sociale ed esistenziale dei lavoratori e delle lavoratrici del settore, come pure quella delle famiglie e delle persone non autosufficienti o non più autosufficienti.
Il PRC di Terni ritiene che si debba operare con tutti gli strumenti a disposizione per controllare in maniera specifica le società che a vario titolo prestano servizi di assistenza che si rivolgono principalmente alla committenza privata; un'attività di monitoraggio che consenta di registrare, con cadenza periodica, il numero di lavoratori e di lavoratrici, le ore lavorate ed i bilanci delle società. Serve una strategia d'insieme, in grado di raccogliere adeguatamente le sollecitazioni espresse dalle organizzazioni sindacali, che veda la Regione, i Comuni, le aziende sanitarie ed ospedaliere unite per conseguire l'obiettivo di risanare un ambito del settore socio-sanitario che da troppo tempo costituisce un'autentica “zona grigia” della nostra società, un obiettivo a cui potrebbero positivamente concorrere, tramite appositi protocolli d'intesa, l'Agenzia delle Entrate e l'INPS.
Il primo passo però può essere uno ed uno solo: non si può più far finta di niente.

 

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