INTERVISTA A LANDINI: «CAMBIAMO MODELLO SOCIALE». LA CGIL IN UDIENZA DA PAPA FRANCESCO

di Francesco Riccardi

Lunedì il segretario e 5.000 attivisti e dirigenti del sindacato in Vaticano. «Grande consonanza su pace, valore della persona e dignità del lavoro. Sui temi bioetici ascolto senza diffidenze»

«Abbiamo bisogno di ascoltare, vogliamo confrontarci, costruire percorsi unitari perché nessuno si salva da solo. Stiamo vivendo tempi davvero difficili con la guerra nel cuore dell’Europa, la minaccia di uno scontro nucleare che rischia di diventare reale, la crisi ambientale e la povertà che aumenta». Tempi eccezionali, sfide enormi che hanno sollecitato un avvenimento di per sé “storico”: domani, per la prima volta, 5.000 tra delegati, attivisti e dirigenti della Cgil varcheranno le porte del Vaticano per essere ricevuti in udienza dal Papa. Un incontro che il segretario generale Maurizio Landini e il sindacato tutto hanno fortemente desiderato, dopo l’udienza privata con alcuni dirigenti avvenuta nel 2019.

Segretario, su quali temi sentite maggiore vicinanza al magistero del Papa?

Nelle sue encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti abbiamo trovato una riflessione comune: questione ambientale e questione sociale sono strettamente connesse. E per affrontarle occorre cambiare il modello di sviluppo e promuovere una nuova fratellanza tra le persone, un nuovo rapporto tra l’uomo e la natura. Siamo un sindacato che ha l’ambizione di essere un soggetto di trasformazione della società e quindi sentiamo particolarmente consonanti le parole del Papa che invitano a costruire una vera e propria rivoluzione, anche culturale, in termini di valori e di azione. Lottando contro le diseguaglianze, mettendo al centro le persone e il lavoro dignitoso, un’economia non fondata solo sul profitto. E, a unire tutti questi temi, un impegno forte, prioritario, per affermare la pace e superare la logica stessa della guerra.

In questi mesi avete manifestato per la pace, assieme a molta parte del mondo cattolico, attirandovi pure accuse di “ambiguità”. Ma come difendere gli ucraini?

Noi non siamo mai stati neutrali, siamo stati fin dall’inizio contro la guerra, contro chi l’ha scatenata, la Russia, e dalla parte di chi è stato aggredito: gli ucraini. E a loro abbiamo fornito aiuti umanitari, abbiamo accolto le donne e i bambini che scappavano dai bombardamenti. Oggi non riusciamo a vedere ancora la conclusione della guerra, mentre si fa purtroppo più concreto il pericolo di un allargamento del conflitto, fino allo scenario peggiore: quello di uno scontro nucleare. Ora c’è bisogno di un cessate il fuoco, di una tregua per il Natale cattolico e ortodosso come ha proposto Andrea Riccardi, di aprire un vero negoziato di pace.

Sbaglia quindi il governo attuale, come quello precedente, a inviare ancora armi?

Di armi, nel conflitto in Ucraina e in generale nel mondo, ce ne sono già troppe. La vera sicurezza viene dall’affermare la cultura della pace, non dall’aumento delle spese militari. L’Europa e il nostro governo dovrebbero agire con maggior forza perché sia convocata una seria conferenza di pace. L’altra strada, quella del conflitto infinito, porta solo distruzione e morte.

Francesco ha denunciato molte volte la “logica dello scarto”: è un rischio che avvertite anche voi?

Non è un rischio, è una realtà concreta in molti ambiti. Si diffondono le carestie nel mondo, crescono le diseguaglianze fra le nazioni e in ogni nazione, il lavoro viene considerato come una merce qualsiasi e con esso le stesse persone finiscono per perdere valore. Questa è la logica dello scarto: quella che misura tutto in base ai soldi anziché ai bisogni e al valore della persona.

Il sindacato, però, appare a volte come un soggetto conservatore, più attento alla difesa di chi è già tutelato, che non ai più deboli come i disoccupati e i precari.

Diciamo anzitutto che la produzione legislativa dei diversi governi negli ultimi decenni ha aumentato la precarietà nel lavoro e favorito una frantumazione dei diritti dei lavoratori. Aumentando la competizione tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare. Occorre quindi ripristinare un principio di equità e di uguaglianza con un nuovo Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, che sancisca uguali diritti e tutele per tutti, a prescindere dal tipo di rapporto di lavoro: a tempo indeterminato o a termine, autonomo o a partita Iva. Questo penso sia il compito primario del sindacato e della politica: mettere al centro la persona ed evitare che chi per vivere deve lavorare debba accettare qualsiasi condizione. Dopodiché, anche le organizzazioni sindacali, a partire da quella che io rappresento, devono cambiare, essere sempre più in grado di rappresentare l’intero mondo del lavoro e le sue diverse forme. Per questo, però, è necessario anche un sostegno legislativo alla contrattazione collettiva, che cancelli i “contratti pirata” e dia valore generale ai contratti nazionali, sancisca così anche un salario minimo e gli altri diritti normativi. Penso alla malattia, gli infortuni, le ferie, il Tfr, solo per citarne alcuni, che debbono essere garantiti a tutti i lavoratori e le lavoratrici.

La dottrina sociale della Chiesa auspica un lavoro che sia «libero, creativo, partecipativo e solidale». Vi riconoscete in questa definizione? Come si realizza tale obiettivo?

Sì, il lavoro è lo strumento fondamentale per la realizzazione della persona. Ma oggi purtroppo il lavoro è precario e non di rado chi lavora è comunque povero, è aumentato lo sfruttamento, manca la sicurezza tanto che si continua a morire in maniera tragica e scandalosa. L’obiettivo di un lavoro migliore si può realizzare introducendo per legge e nei contratti un diritto alla formazione, perché ciò che fa la differenza oggi è la conoscenza. Anche l’impresa deve ripensarsi come luogo nel quale imprenditore e lavoratori possano discutere e realizzare accordi non solo su salari e orari ma anche su ciò che fanno e di come lo fanno, con quale sostenibilità ambientale, sociale. I lavoratori devono avere il diritto di essere informati preventivamente sulle scelte di investimento e su queste poter esprimere un parere, poter partecipare alla fase decisionale, visto che tutto ciò riguarda anche le condizioni e il futuro degli stessi lavoratori.

Ecco, appunto: il futuro delle relazioni industriali può essere ancora caratterizzato dal conflitto e non dalla partecipazione? Verso quale modello evolve il sindacato?

Noi proponiamo un’idea di impresa nel quale tutti i soggetti possono essere protagonisti attivi, in cui venga superato il modello del comando, unico ed esclusivo, in cui il sindacato è ammesso solo se assume a prescindere gli obiettivi dell’impresa. Per questo io penso che contrapporre il sindacato conflittuale e quello partecipativo come due modelli antitetici non ha senso, perché questi due momenti – conflitto e partecipazione – sono sempre necessariamente intrecciati e insieme determinano un equilibrio, che può di volta in volta variare a seconda delle situazioni concrete. Per questo io penso a un sindacato confederale fondato sulla rappresentanza e la democrazia, nel senso del diritto delle persone che lavorano di poter votare, di poter partecipare. E allo stesso tempo fondato sulla contrattazione, intesa come mediazione tra due soggetti portatori di interessi – il lavoro e l’impresa – che debbono riconoscersi reciprocamente.

Avete scelto di fare scioperi articolati contro La legge di bilancio: c’è una filosofia sottesa che vi preoccupa, al di là dei singoli provvedimenti?

C’è alla base di questa manovra una filosofia profondamente sbagliata. Sul fisco anzitutto. Con 100 miliardi di evasione all’anno, il 95% dell’Irpef pagato da lavoratori dipendenti e pensionati, non solo non si dà vita alla riforma necessaria per alleggerire il peso sui dipendenti e far crescere i loro salari, ma si va in direzione contraria con la flat tax che diminuisce la progressività dell’imposizione e crea nuove disparità. Ancora, di fronte a giovani che trovano occupazioni sempre più precarie, tanto da emigrare in massa all’estero, reintrodurre i voucher significa penalizzarli ulteriormente. Così come è inaccettabile cancellare il Reddito di cittadinanza in un Paese in cui la povertà è in aumento. Mancano poi veri investimenti per creare lavoro, in particolare nel Mezzogiorno e sono preoccupanti i tagli che si prospettano a sanità, formazione e istruzione.

Torniamo al magistero del Papa e alla Dottrina della Chiesa. Un rischio che corrono tutti – per primi i cattolici – è quello di condividere solo ciò che ci piace, non cogliendo il disegno complessivo sull’uomo. Non rischia di essere così anche per la Cgil: adesione sulle battaglie sociali, ma visione opposta sulla vita, ad esempio con la promozione dell’aborto come diritto e il sostegno alle scelte eutanasiche?

Ma la Cgil non ha mai promosso l’aborto, che rimane un passaggio doloroso e traumatico nella vita di qualsiasi donna. Semmai ha sempre tutelato la salute e la sicurezza delle donne che possono decidere di non portare a termine una gravidanza per diversi motivi. Anche perché l’alternativa è il rischio che si torni agli aborti clandestini, con la morte di migliaia di donne. Per questo noi chiediamo di investire sulla prevenzione delle cosiddette gravidanze indesiderate attraverso una corretta educazione alla sessualità e il potenziamento dei consultori. Quanto ad eutanasia e suicidio assistito, non c’è una posizione formale della Cgil. È un tema sul quale mi interrogo. Certo, occorre anche ascoltare chi vive una condizione di sofferenza insopportabile. Credo sia fondamentale su temi di questa natura e portata l’apertura e la disponibilità all’ascolto reciproco.

La Cgil è un’organizzazione laica, a cui peraltro partecipano anche molti credenti. Se posso entrare nel personale, qual è il suo rapporto con la fede?

Posso dire che credo nella possibilità di lottare, qui ed ora, per affermare la libertà delle persone nel lavoro e credo nella giustizia sociale. E penso che per farlo serva anche superare qualsiasi diffidenza verso i diversi atteggiamenti personali. Fratellanza, per me, significa essere sempre pronti ad aiutare quelli che stanno peggio di te e renderli protagonisti del cambiamento delle loro condizioni.

Pubblicato da Avvenire.it

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