Di Mauro Rossato

PERUGIA - Una tragedia quotidiana che pare sempre più un bollettino di guerra con una media di oltre 40 morti al mese. E’ questo il dramma delle morti bianche in Italia che a fine luglio contava 301 decessi sul luogo di lavoro. Una sciagura che non conosce consolazione per chi perde un proprio caro in questi casi. Non ci sono risarcimenti né processi che possano restituire pace ai parenti delle vittime.

Per questo la sicurezza sul lavoro dovrebbe essere sempre più in primo piano nella politica del nostro Paese. Per tale ragione la prevenzione diventa l’unica soluzione possibile per una delle pagine più dolorose della storia contemporanea nostrana. E il problema non ha solo gravissimi risvolti umani ed etici, bensì anche economici.

Non dimentichiamo infatti gli oneri conseguenti agli infortuni sui luoghi di lavoro. L’Eurispes ha calcolato che nel 2008 i costi economici e sociali sono stati pari a 43,8 miliardi di euro, ovvero circa il 2,8 per cento del prodotto interno lordo.

Cifre che fanno riflettere e che fanno ancor più pensare quando si scopre che il 60 per cento è carico delle aziende e il rimanente 40 per cento ricade direttamente sul bilancio del Paese. E ancora: ogni giornata lavorativa persa pesa in termini di retribuzione ben 5,5 volte in più rispetto ad una lavorata.
I numeri, dunque, lasciano pochi dubbi: l’Italia non può più permettersi di temporeggiare. Occorrono misure preventive sul fronte della sicurezza capaci di invertire la rotta degli incidenti sul lavoro. Anche l’Unione Europea, del resto, ha imposto al nostro Paese di ridurre del 25 per cento gli incidenti sul lavoro entro il 2012.

Intanto, per chi come noi da oltre due decenni si occupa di formazione e sicurezza in ambito professionale, e che da due anni ha avviato un Osservatorio per monitorare l’andamento delle morti bianche nel Paese, il panorama nazionale non è certo tra i più confortanti. Specie quando si analizzano i dati sulle vittime del lavoro dei primi sette mesi del 2011 rispetto a quelle rilevate nello stesso periodo del 2010 e si scopre un incremento della mortalità del 7,5 per cento. Percentuali che corrispondono ad oltre venti vite spezzate in più rispetto allo scorso anno. E sono sempre l’agricoltura e l’edilizia i settori maggiormente coinvolti e con oltre il 60 per cento delle vittime.

Il problema dei problemi? L’assenza quasi totale di formazione e, senza dubbio, le lacune sul fronte dei controlli. Risultato: si continua a cadere dalle impalcature senza alcun elmetto o imbracatura, si continua a restare schiacciati da un trattore, o si resta mortalmente intrappolati in macchine che non si è sufficientemente preparati ad utilizzare, o schiacciati da oggetti pesanti mal rassicurati. Tant’è l’epigrafe delle morti sul lavoro continua a riempirsi ogni giorno con nuovi nomi, e le vite si spezzano sempre o quasi per le stesse cause. E talvolta la vittima è il datore di lavoro, a dimostrazione del fatto che non si muore solo per massimizzare il profitto dell’azienda.

Ma allora, viene da chiedersi, se si conosce già l’inizio e la fine di una tragedia: perché non cercare di interrompere questo circuito mortale?

Ebbene, per iniziare a scrivere una cronaca diversa e migliore, presente e futura, del mondo del lavoro è indispensabile una coesione innanzitutto politica che ponga finalmente in primo piano l’emergenza morti bianche e la sicurezza sul lavoro. Una strategia comune che elevi un appello e un’eco per il lavoro sicuro a 360 gradi contemplando gli sgravi per le aziende virtuose che operano per la tutela dei lavoratori e soprattutto l’indispensabilità dei controlli e delle sanzioni che dovrebbero essere certe. Questo perché una visione economica miope fa ritenere la sicurezza un costo, non valutando invece correttamente l’entità degli oneri della ‘non sicurezza’, che in buona parte ricadono sulla collettività. Insomma: a spingere inesorabilmente alla riduzione degli infortuni non è solo una questione morale, ma anche di corretta ‘rendicontazione’. Spesso i costi per garantire la sicurezza ed evitare l’infortunio sono minimi, altrettanto spesso gli infortuni sono dovuti a carenze organizzative, oltre che, come già accennato, di carattere formativo. La sfida del nostro legislatore e di chi fa politica è di correggere queste mancanze che, da sempre, sono la causa delle morti bianche. Un antico aforisma dice che “Errare è umano, perseverare è diabolico”. Ebbene, credo che si stia perseverando ormai da troppi anni. 

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