Gubbio, ancora morti sul lavoro in Umbria.
di Giovanni Dozzini.
La vicenda di Gubbio è un dramma di fronte al quale non è facile mantenere la lucidità. Nei giorni in cui grazie alla fine terribile di una giovane donna bella come una principessa delle fiabe la piaga sociale delle morti sul lavoro conquista - chissà per quanto - le prime pagine dei giornali, nella mia mente quell'esplosione e quelle fiamme si sovrappongono per forza all'esplosione e alle fiamme di Campello sul Clitunno, il rogo dell'Umbria Olii, quindici anni fa. Altre morti assurde, sempre a due passi da casa, e il paradosso di gente che si alza la mattina per andare a fare la cosa più normale del mondo, la cosa che fa ogni giorno da anni o da mesi e che suppone di poter e dover continuare a fare nello stesso modo naturale per anni ancora, e che a casa, proprio per aver fatto quella cosa normale e naturale di sempre, non ci torna più.
Quindici anni sono un'eternità. E nel frattempo ci sono stati processi, ci sono stati libri, alcuni dei quali li ho scritti o ho contribuito a realizzarli io, e ci sono stati film, dibattiti, incontri, statistiche da rabbrividire sciorinate e invettive, indignazioni evocate e subito sopite e presto dimenticate. Quindici anni, e pare di essere ancora lì. Un silos che decollava come un razzo nel cielo di Campello, e ricadeva giù come se fosse stato un lancio andato in malora, e il fuoco e il botto di ieri, in presa diretta, mentre la voce di una ragazza implorante si disperava: "Enno morti tutti!". Aveva ragione. Tutti, o due, o uno, fa lo stesso. Ieri a Gubbio sono morti tutti, è morto chiunque muoia e è morto e morirà sul lavoro. Il ragazzino e la donna che hanno perso la vita a Gubbio nei giorni scorsi avevano senz'altro letto e visto i servizi sulla giovane operaia morta nel laboratorio tessile di Prato. Avevano impressa negli occhi la sua faccia, come tutti. Non possiamo sapere cosa avessero pensato di lei, ma sono abbastanza certo di quel che avessero pensato di sé: a me una fine così non capiterà mai. O forse invece se lo sono chiesti: una fine così, a me, potrà mai capitare? Il fatto è che oggi, domani, forse tra meno di un'ora, qualcun altro, in Italia, morirà sul lavoro. Altra gente che fino a ieri aveva negli occhi l'operaia di Prato e stamattina ha fatto colazione ascoltando le notizie di Gubbio, e che è già uscita o uscirà di casa senza sapere che a casa non ci tornerà più. E non c'è niente di fatale, non più di quanto il caso non incida su tutte le faccende degli uomini.
Quindici anni dopo per me è difficile avere le idee chiare su cosa e come bisognerebbe fare. I libri e i film, di sicuro, mi sembrano ogni giorno di più un'arma caricata a salve. Ora è e non può non essere nient'altro che il momento dello sconcerto. Ma c'è gente molto più in gamba di me che alla sicurezza nei luoghi di lavoro dedica la vita, e che invece le idee ce l'ha chiare eccome. Leggete tutto quel che scrive Simona Baldanzi, per esempio, prendetela come una bussola per orientarvi sempre e comunque, in questa materia che ha a che fare con ciascuno di noi, e col modo in cui dovremmo intendere i nostri rapporti con gli altri, ogni giorno e dappertutto.
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