Giustizia, il j'accuse di Marazzita
di Antonio Venditti
L’amministrazione della giustizia in Italia è al collasso per le tante criticità del nostro sistema giudiziario e per i pochi strumenti a disposizione per combatterle. Ad affermarlo unanimemente sono stati alcuni giorni fa i presidenti di Corte d’appello nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, peraltro disertata dall’Anm in Cassazione Giustizia, a seguito della fiducia posta dal governo su decreto efficienza uffici ed età pensionabile dei magistrati.
È stata l’occasione per un dibattito pubblico sulla situazione dell’amministrazione della giustizia nel nostro Paese a cui hanno partecipato le categorie dei soggetti interessati, rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali, e i cittadini.
Dall’inaugurazione dell’anno giudiziario milanese è arrivato il grido di dolore del procuratore generale Roberto Alfonso, che ha parlato di “collasso” a cause delle gravissime carenze gr di personale e dela necessità di risanare la macchina amministrativa, con risorse adeguate.
Sono emerse ancora una volta la lunghezza dei processi, le presenze delle organizzazioni mafiose storiche accanto alla nascita di nuove forme di criminalità organizzata che cercano di affermarsi nel panorama delinquenziale. È quanto ha affermato il procuratore generale della Corte d’appello di Roma, Giovanni Salvi, nel corso del suo intervento
Questi soltanto alcuni dei problemi che affliggono la giustizia italiana, come è stato sottolineato unanimemente negli interventi dei presidenti di Corte d’appello. Insomma non c’è tribunale, da nord a sud, da cui non sia arrivato un grido dall’allarme per la carenza delle risorse finanziarie e umane.
L’inevitabile conseguenza di questa situazione è che migliaia di processi vanno in prescrizione e, di conseguenza, le potenziali vittime non hanno giustizia.
Su alcune criticità che affliggono la giustizia italiana abbiamo voluto sentire il parere dell’avvocato Nino Marazzita, illustre giurista, balzato molte volte alle cronache giudiziarie negli ultimi decenni. Tra le sue ultime famose attività professionali quella in appello di Piero Pacciani e l’assistenza data alla famiglia Bianchi per la morte di Milena Bianchi in Tunisia. Ancora, è stato l’avvocato di parte civile nel processo per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini; ha rivestito il ruolo di legale di Eleonora Moro nel processo per l’omicidio di Aldo Moro ed è stato il difensore di Donato Bilancia.
Avvocato Marazzita, la giustizia in Italia funziona adeguatamente, oppure deve essere riformata da cima a fondo?
“Un paletto deve essere messo a cominciare dal periodo di mani pulite. Nella prima Repubblica gli equilibri tra politica e magistratura erano di tranquillità reciproca: nessuno toccava l’altro. Mani pulite arriva per una giusta esigenza, perché i livelli di corruzione si erano alzati, quelli dei servizi si erano abbassati. I vecchi leader cominciavano, come tutte le cose, a consumarsi. Mani pulite diventava un’occasione per la magistratura di acquisire più potere rispetto alla politica, riuscendo anche a condizionarla. Cambiavano i rapporti tra politica e magistratura, che ha acquisito un tale potere - sul vuoto di potere della politica - da diventare più o meno una corporazione.
Sarà la storia a stabilire se l’operazione mani pulite sia stata utile oppure no. Ma i suoi effetti quali sono stati? La corruzione non è finita, anzi è aumentata notevolmente. Una volta si diceva che si rubava per i partiti. Oggi non lo dicono più, rubano per sé e basta. Di tutto questo si è approfittata la magistratura, ma glielo abbiamo permesso noi cittadini.
Per cui, sostanzialmente, il cittadino ha perso fiducia nella magistratura.
I poteri dello Stato si dice siano tre, ma in effetti quelli veri sono l’esecutivo e il legislativo. La magistratura è un ordine, perché ci si arriva attraverso concorso pubblico, non per elezione come, ad esempio, nei Paesi anglosassoni”.
Un suo giudizio sul Consiglio superiore della magistratura.
“Il Csm è un organo di alta amministrazione. Non ha niente a che fare con la politica, ma è diventato un organo politico, con le correnti di destra, di sinistra, di centro, le sottocorrenti. Questo crea un vulnus nella magistratura”.
Il processo penale in Italia può dirsi equo?
“Come può funzionare un processo penale, che deve essere il simbolo dell’imparzialità, se abbiamo un pubblico ministero che fa le indagini, mentre il potere di controindagine della difesa è praticamente privo di forza? Attraverso quelle indagini si arriva al processo, dove il pubblico ministero è un magistrato in contino contatto con il gip, che è il giudice terzo, con il tribunale, che è il giudice terzo, o con la Corte d’appello, che è il giudice terzo: come si può arrivare a un processo equo?
I pubblici ministeri non hanno l’esperienza nelle attività di indagine. Se qualcuna di queste si salva è perché c’è ancora qualche vecchio maresciallo che gioca con l’intuito, con l’istinto. Spesso è anche deviante questo ricorso continuo al Dna, alla parte scientifica, che dà l’impressione di qualcosa che non può sbagliare. Invece bisogna vedere come si conservano i reperti, quale metodo si usa, se ci sono stati fatti inquinanti.
Il processo penale è qualcosa di continuamente perfettibile e fin quando non ci sarà una reale separazione dei poteri non sarà mai equo.
Il Parlamento si è preoccupato, tanti anni fa, di aggiungere all’articolo 111 della Carta costituzionale che il processo deve essere equo. Allora prima non lo era?
Tutti i ministri che si sono succeduti hanno detto che il processo penale deve essere basato sulla divisione dei poteri”.
Perché il costo della giustizia in Italia è superiore alla media europea?
“La riforma del codice penale era partita con la commissione Pisapia – Vassalli. Questo cosiddetto nuovo codice, che ormai è vecchio, quando è uscito dalla commissione era ottimo, perché applicava in senso anglosassone il rito accusatorio, con divisione dei poteri e così via: tutto quello che si dovrebbe fare per avere il processo equo. Appena prima che andasse in vigore il codice è stato manipolato: ne ho la diretta testimonianza di Vassalli. Venne trasformato in un rito che non è né accusatorio né inquisitorio e diventa talmente farraginoso che un processo dura una vita.
Noi ci barcameniamo perché studiamo dalla mattina alla sera diritto, sentenze, giurisprudenza. Quando ho cominciato a fare l’avvocato aggiornavo i codici ogni cinque anni, oggi spesso li aggiorniamo ogni due o tre mesi, per quante leggi mettono.
Nella giustizia civile dicono che i costi siano diminuiti. Io, che ho un piccolo settore di attività civilistica, vedo dai conti che i costi aumentano sempre.
Per quanto riguarda il processo penale può succedere che un avvocato di grido si approfitti, cosa che io non ho fatto mai.
Siamo superiori alla media europea nei costi perché, essendo il processo molto farraginoso, quando è veloce dura sei anni.
I tempi sono lenti inevitabilmente. Aggiungiamoci che, essendo un codice malfatto, gli avvocati utilizzano tutti i tempi necessari per arrivare alla prescrizione e i magistrati spesso non se ne accorgono”.
Sono giuste le retribuzioni dei giudici?
“Quando si parla di ridurre lo stipendio dei magistrati, che è altissimo perché rapportato a quello dei parlamentari, c’è sempre una minaccia di sciopero, un intervento del ministro e non se ne fa niente.
L’Italia sarà un Paese più civile quando un maestro elementare o un insegnante di qualsiasi tipo prenderà uno stipendio superiore a quello del magistrato, perché ha un ruolo sociale molto più importante”.
Non pensa che i magistrati che accettano di svolgere un’attività politica attiva completato il loro mandato non possano più tornare in tribunale?
“Non dovrebbero più tornare in magistratura: molto semplice. Questo per il grande principio della divisione dei poteri. Ma sono convinto che anche l’avvocato che vada in Parlamento non debba più fare l’avvocato. Mi ricordo mio padre, che era avvocato e parlamentare. I giudici, soprattutto in Calabria, si inchinavano. Lui era una persona per bene. In ogni caso, se chiedeva la libertà provvisoria per qualsiasi delinquente, la risposta era: “Subito, senatore!”.
È di ricorrente attualità la violenza sulle donne. Quali sono le iniziative necessarie per contrastarla?
“La violenza sulle donne è uno dei mali dei nostri tempi, però bisogna ricordare che non è un fenomeno recente. Io ho recensito un libro sui grandi crimini avvenuti a Roma e ho trovato dei casi di violenza che risalgono al 400 d.C.
Ora lo notiamo di più perché i media sono invasivi, nel senso buono del termine.
Non c’è nessun magistrato che abbia utilizzato nel modo giusto un disegno di legge sullo stalking. All’inizio i magistrati non avevano capito che era perfettamente inutile proibire a qualcuno di avvicinarsi a una donna. Io allora feci una battaglia, spiegando che uno deciso a dare una coltellata alla moglie, all’ex moglie o alla fidanzata non si ferma davanti alla proibizione di avvicinarsi a meno di 200 metri. Bisogna che venga spostato dal comune di residenza e monitorato con il braccialetto elettronico. Ogni volta che facevo un discorso del genere, mi si rispondeva che non c’erano braccialetti elettronici. Avevano speso con la Vodafone una cifra immensa e poi non si è mai capito dove fossero questi braccialetti. C’è perfino stato un processo a Napoli per corruzione. Ora si cominciano a trovare, ce ne sono 400. Ci vuole maggiore prevenzione”.
In definitiva, qual è la strada per impedire a chi occupa cariche pubbliche di rubare?
“Per quanto riguarda i politici, intanto noi dobbiamo votare persone che non rubino. Poi ci vuole una maggiore selezione all’interno dei partiti, che devono proporre persone capaci e oneste”.
In conclusione?
“La politica lascia spazio alla magistratura, la magistratura si prende più spazio di quello che ha e impedisce le vere riforme che devono essere fatte per il cittadino.
Vassalli aveva fatto una proposta: se l’attività d’indagine era delegata ai carabinieri, l’avvocato privato si poteva avvalere della polizia o viceversa. Lo hanno trattato da pazzo.
Noi abbiamo in Italia una giustizia civile denegata e una giustizia penale iniqua”.
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