di Elio Clero Bertoldi

Il ritratto di oggi ha per titolo "La schiava turca" ed è un olio su tavola eseguito intorno al 1532 dal Parmigianino, al secolo Girolamo Francesco Maria Mazzola (1503-1540). 
Non si sa chi sia rappresentata nel ritratto e il titolo dell'opera sarebbe figlio di una cattiva interpretazione del turbante. 
Secondo alcuni critici si tratterebbe di Giulia Gonzaga (1513-1566), contessa, figlia di Ludovico, Conte di Rodigo e signore di Sabbioneta e di Francesca Fieschi, poi moglie di Vespasiano Colonna (più anziano di lei di 33 anni). 
Il turbante avrebbe avuto un grande successo, come acconciatura, tra le dame lombarde dell'epoca e nulla avrebbe a che fare con l'Oriente. 
Finito al cardinale Leopoldo dei Medici e poi agli Uffizi, il quadro fu scambiato nel 1928 con alcune opere del Duecento fiorentino e andò così alla Galleria Nazionale di Parma, dove è rimasto. 
La Gonzaga, ritenuta bellissima da scrittori e poeti contemporanei, che le dedicarono poesie e scritti, morto il marito - dopo due anni di matrimonio - non si risposò mai e si diede alla religione. 
La sua avvenenza era tale che il pirata Haredin detto Barbarossa tentò di rapirla nel suo feudo di Fondi, per portarla schiava come dono al sultano ottomano, Solimano I il Magnifico. 
Lei riuscì a sfuggirgli seminuda dal palazzo e di notte (1534), rifugiandosi a Campodimele, mentre i corsari operarono terribili saccheggi e fecero migliaia di prigionieri in tutto il territorio. E quando l’imperatore Carlo V organizzò un raid militare a Tunisi, base del terribile pirata (sconfitto e ritenuto morto, ma in realtà riuscito a salvarsi), volle incontrare il sovrano, a Napoli, per ringraziarlo di essere stato il suo “vendicatore”.
Entrò, la contessa, in modo attivo, in un gruppo di riformatori, ritenuto fuori dall’ortodossia cattolica, tanto che un papa - anni più tardi - che lèsse le sue lettere, recuperate negli archivi della nobildonna, affermò che se fosse stata viva l’avrebbe “abbrusciata” quale eretica luterana. 
Il Parmigianino - pittore, per inciso, molto amato da Vittorio Sgarbi - non solo subì una carcerazione di un paio di mesi per una inadempienza contrattuale con la Confraternita dello Steccato di Parma, che gli aveva commissionato un lavoro pittorico, ma cadde nelle mani dei Lanzichenecchi durante il Sacco di Roma del 1527 (si salvò a stento) e spirò, colpito dalla malaria, a soli 37 anni di età.

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