La Giuditta ed Oloferne dell’Allori: quante analogie con la tela del Caravaggio
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Il quadro di oggi è una “Giuditta con la testa di Oloferne”, olio su tela, opera del pittore fiorentino Cristofano Allori (1577-1621), figlio di Alessandro Allori.
L’opera sarebbe del 1612 e “richiama” la più famosa tela di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Come il grande pittore anche Cristofano utilizzò quale modella la propria amante e pure lui nella testa del generale decapitato ritrasse se stesso.
Almeno secondo quanto riferisce, in una lettera ad un amico, Michelangelo Buonarroti il Giovane, in cui affermava che l’artista “ritrasse al vivo nella faccia di lei l’effigie della Mazzafirra, e dipinse se stesso per Oloferne”.
Di quest’opera ci sono pervenute tre versioni: una a Palazzo Pitti di Firenze (nella foto); la seconda alla Queen’s Gallery di Londra; la terza ospitata in una collezione privata della provincia di Genova. Per rappresentare l’eroina ebrea Allori chiamò la sua amante, Maria figlia di Giovanni Mazzafirri detta “Mazzafirra” (di cui abbiamo solo la data di morte, il 1618) famosa cortigiana di Firenze celebrata per la sua venustà (la stessa idea del Caravaggio che dipinse la sua fiamma, Fillide Melandroni nei panni della vendicatrice). La cortigiana fiorentina diede il suo viso e le sue fattezze pure per una “Maddalena”. La testa del generale assiro viene considerata un autoritratto dell'Allori (proprio come aveva fatto il Caravaggio rappresentando se stesso nell’opera dipinta dopo la propria condanna a morte per l’omicidio, avvenuto a Roma, di Ranuccio Tomassoni di Terni).
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