Giornata dell'economia - Relazione sullo stato dell’economia provinciale
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di Giorgio Mencaroni*
PERUGIA - Dopo un 2010 che aveva segnato un’inversione di tendenza con indicazioni positive per il sistema produttivo della provincia di Perugia, il 2011 è stato un anno difficile, con settori produttivi in difficoltà, un aumento delle persone in cerca di occupazione, un ricorso ad ammortizzatori sociali sempre molto elevato, e un numero crescente di imprese che hanno iniziato la procedura di liquidazione o sono entrate in procedura concorsuale.
Tuttavia, non sono mancati segnali positivi che testimoniano la grande vitalità e la volontà di reazione delle nostre imprese al momento difficile dell’economia italiana ed europea.
E’ quindi un quadro in chiaro-scuro quello che emerge dalla lettura dei dati del 10° Rapporto provinciale che presentiamo oggi.
La percezione della crisi per le imprese
Per quanto riguarda il “clima” di fiducia delle imprese perugine, ci siamo affidati anche quest’anno ad una indagine sul campo, i cui risultati verranno descritti nel seguito di questa Giornata.
Nel complesso, la stragrande maggioranza delle imprese ritiene che il 2012 sarà peggiore dell’anno precedente, e sono prevalentemente le imprese più piccole, fino a 9 addetti, a sentirsi più esposte.
La pressione fiscale viene messa in cima alla lista degli ostacoli che rallentano l’uscita dalla crisi. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti del solito “leit motiv” di cui si fanno interpreti gli imprenditori. Ma in verità oggi molti autorevoli analisti concordano nel sostenere che, in una economia depressa, il ricorso ad un uso eccessivo della leva fiscale ha probabilmente effetti autodistruttivi, in quanto comprime l’economia e penalizza i redditi a lungo termine, e quindi non solo non risolve i problemi del debito, ma li aggrava.
Meno importante fra i fattori che ostacolerebbero la ripresa, almeno a detta degli imprenditori perugini, il tema della rigidità del mercato del lavoro, che sottende alla spinosa questione dell’articolo 18. I nostri imprenditori lo collocano all’ultimo posto della lista: evidentemente i problemi sono altri o, quantomeno, ce ne sono di ben più importanti!
Il tessuto imprenditoriale
Nel 2011 il tessuto imprenditoriale della Provincia di Perugia ha continuato a registrare, dopo i risultati del 2010, performance positive: lo stock delle imprese iscritte al 31 dicembre 2011 è pari a 74.160 unità (+0,18% rispetto al 2010). Si conferma quindi la tendenza positiva che ha caratterizzato gli ultimi 4 anni, portando il risultato del 2011 ad attestarsi come il migliore mai registrato.
L’aumento, seppure modesto, del numero delle imprese registrate nella provincia va in netta controtendenza rispetto alla diminuzione dell’iniziativa imprenditoriale rilevata nelle altre regioni del Centro Italia. Questo aspetto denota una buona capacità di resistenza del tessuto produttivo, confermata anche da un tasso di sopravvivenza relativamente superiore delle imprese perugine rispetto a quanto avviene nelle regioni limitrofe.
Infatti, stando ai risultati dell’analisi monografica che accompagna il Rapporto provinciale, le imprese perugine (specie le ditte individuali) sono caratterizzate da una notevole longevità, in quanto mostrano una probabilità di sopravvivenza sistematicamente superiore a quelle marchigiane, toscane e ternane. Questi sono sicuramente segnali positivi, che aiutano a porre nella giusta prospettiva anche dinamiche congiunturali negative.
Nel 2011 è proseguito il processo di trasformazione del tessuto imprenditoriale verso forme d’impresa più strutturate. Infatti, seppure le ditte individuali, con oltre 40mila unità, continuino ad essere la forma giuridica più diffusa in provincia (il 54,8% del totale), il loro peso percentuale si sta progressivamente riducendo a favore dell’incremento delle società di capitale, che contano 13.769 unità e rappresentano il 18,6% del totale.
Nel 2011 è proseguito inoltre l’aumento di imprenditori extracomunitari che, dopo aver superato la soglia dei 5.000 nel 2010 si sono attestati nel 2011 a 5.570 unità (segnando una variazione del +5,5% rispetto allo scorso anno).
Cambia quindi la fisionomia delle imprese come d’altronde è cambiato il ritratto del nostro Paese fotografato dall’ultimo censimento ISTAT. La popolazione straniera in Italia è triplicata in 10 anni, e l’incidenza degli stranieri sul totale della popolazione è salita dal 2,34% al 6,34%. Siamo sempre più una società multietnica e questo si riflette anche nell’imprenditoria.
Mercato del lavoro
La disamina del mercato del lavoro evidenzia un quadro sostanzialmente negativo, ma con alcuni segnali incoraggianti sulla possibile inversione di tendenza nella dinamica territoriale dell’occupazione.
Il tasso di disoccupazione nel 2011 è salito al 7,2%, il valore più alto registrato dal 2004, per quanto più basso della media nazionale (8,4%) (dal comunicato diffuso giorni fa dall’Istat, a marzo il tasso di disoccupazione nazionale ha sfiorato quota 10%).
L’occupazione nel 2011 è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2010 con 276.000 occupati a fine anno. Il tasso di occupazione si è invece ridotto passando dal 63,6% al 62,9% (pur mantenendosi 6 punti percentuali più alto della media nazionale pari al 56,9%).
L’anno scorso, in questa stessa occasione, ci soffermammo - fra i primi - sui dati ISTAT relativi ai cosiddetti “Neet” (Not in education, employment or training), ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni di età che non lavorano né sono impegnati in corsi di studio o formazione. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Nazionale di Statistica, la quota dei Neet è pari a 2,1 milioni, cioè il 22,1% della popolazione di riferimento, e in Umbria sono il 15,5%.
I giovani sono la categoria sociale che subisce più da vicino gli effetti della crisi e per questo motivo l’investimento di risorse a favore delle giovani generazioni deve essere consistente, a cominciare dalla costruzione di percorsi formativi e professionali maggiormente spendibili nel mercato del lavoro, il che è indispensabile anche per dare fiducia e opportunità di impiego a tutti quei giovani “scoraggiati” a cercare un’occupazione, trasformandoli in soggetti attivi.
Ma bisogna anche potenziare gli strumenti di analisi e monitoraggio in grado di anticipare i fabbisogni di skill e di quantificare i cosiddetti “skill mismatch”, per aumentare le possibilità di occupazione e rendere i nostri giovani capaci di muoversi al meglio in un mondo del lavoro sempre più dinamico e mutevole, ma anche per promuovere un mercato del lavoro che corrisponda ai fabbisogni del mondo delle imprese.
Vanno in questa direzione anche gli interventi del sistema camerale per l’alternanza scuola - lavoro e per la promozione di tirocini all’estero. Dobbiamo ridare dignità al lavoro, anche riscoprendo gli antichi mestieri e rivalutando le professioni tecniche. La domanda di fondo è: di questi giovani, chi troverà per primo un lavoro? E in quale settore?
Nel 2012 la situazione resterà critica e l’indagine Excelsior prevede in provincia di Perugia una perdita di altri 1.550 posti di lavoro, con una variazione negativa dell’1,2%. Un dato negativo in assoluto, ma che non ci deve farci dimenticare che a fronte delle 7.660 uscite previste ci sono 6.110 nuovi posti di lavoro creati da un sistema produttivo che evidentemente è ancora in grado di reagire a una crisi in atto da 4 anni che ha prodotto due recessioni consecutive.
Export
Le esportazioni hanno conosciuto ottimi tassi di crescita in termini tendenziali, segnando una variazione del +17,1% rispetto all’anno precedente, dopo i già positivi risultati del 2010. Da questo punto di vista, la performance della provincia perugina è migliore sia rispetto al risultato nazionale che delle altre regioni del centro.
Tuttavia la propensione all’export provinciale, misurata dalla quota di export sul valore aggiunto totale, si attesta ancora su valori piuttosto bassi. L’export provinciale (che in valore assoluto ammonta ad oltre 2 miliardi di euro), infatti, rappresenta solo il 14,7% del valore aggiunto provinciale, in crescita rispetto al 2010 ma comunque inferiore al valore del Centro e, soprattutto, alla media nazionale del 26,6%.
Inoltre l’analisi dell’export per tipologia di prodotti esportati mostra un elevato livello di specializzazione della provincia in prodotti tradizionali a scapito dei prodotti specializzati e high-tech che comunque stanno lentamente guadagnando fette di mercato. Questa condizione espone le nostre esportazioni ad una più intensa pressione da parte dei competitori stranieri e ad un maggior rischio di perdita di quote di mercato.
La dimensione di piccola e micro-impresa è però una barriera per l’export. Questo aspetto emerge in modo chiaro anche da una recente indagine sulle Pmi realizzata da Unioncamere.
La crescita dell’export e l’espansione della base imprenditoriale che stabilmente opera sui mercati internazionali risulta frenata dalla modesta dimensione aziendale. E allora bisogna potenziare gli strumenti di assistenza e accompagnamento sui mercati esteri per le Pmi, anche rafforzando il legame tra la rete italiana e quella estera nell’offerta di servizi all’internazionalizzazione.
Green economy
Di importanza strategica per lo sviluppo territoriale, il settore della “green economy” mostra una crescente sensibilità da parte delle imprese perugine: dal 2008 al 2011 in oltre 4.000 hanno deciso di investire in prodotti e tecnologie “green”.
Le tipologie di interventi realizzati risultano abbastanza differenziate.
In prevalenza, si è trattato di investimenti finalizzati ad aumentare l’efficienza energetica dell’attività produttiva.
Non sono mancati gli interventi rivolti ad innalzare la sostenibilità del processo produttivo riducendone l’impatto ambientale: in questo le aziende perugine si discostano positivamente dal modello che emerge nelle regioni centrali, e ancor più dal dato medio nazionale, con una maggior quota percentuale di interventi in questo ambito.
Turismo
Le performance positive registrate dal settore del turismo nel 2011 hanno permesso di recuperare le posizioni perdute negli anni passati, riportando il settore ai livelli pre-crisi. Gli arrivi e le presenze hanno segnato una variazione rispettivamente del +8,37% e +8,06%.
In aumento anche le spese dei visitatori stranieri (+23,5% rispetto appena il +5,3% del dato nazionale).
Ciò di cui l’Umbria ha bisogno è di un sistema davvero efficace e unitario di comunicazione e promozione, sia in ambito nazionale che internazionale. La nostra cultura, la nostra arte, il nostro ambiente e il nostro modo di produrre hanno bisogno di essere valorizzati e promossi, anche attraverso il sistema dei media (come stiamo facendo con il Premio “Raccontami l’Umbria”) per sollecitare e attirare l’interesse sull’Umbria, un territorio di eccellenza, che non è ancora abbastanza conosciuto.
Una visione di futuro è necessaria
Il quadro economico mondiale è caratterizzato da un lato, da una profonda crisi economica e dalla recessione in Europa, con rischio default per Paesi significativi e speculazioni sui mercati finanziari internazionali, e dall’altro da economie in forte crescita che si avvantaggiano di costi del lavoro più bassi e tutele sociali inferiori.
La risposta dei Paesi ad economia avanzata si dovrebbe indirizzare su una competitività basata su un forte sviluppo tecnologico, con importanti investimenti in ricerca e sviluppo e in innovazione nei settori tradizionali del made in Italy per tentare di contrastare e approfittare delle opportunità del mercato globale.
E’ in atto peraltro un’inversione di tendenza, segnalata di recente anche dal Financial Times: per i prodotti d'alta gamma la produzione tende a rimanere in Europa invece di spostarsi in Cina, e questo accade perché i consumatori cinesi identificano nell'Europa la culla delle produzioni ad alto contenuto di qualità e del relativo know-how. Un esempio emblematico ce lo fornisce il colosso IKEA, che dalla Cina sposterà in Italia un miliardo di euro di produzione.
Sappiamo benissimo che, in un contesto globalizzato, i margini l’azione lasciati all’intrapresa territoriale possono apparire estremamente ridotti. Ma siamo però convinti che anche in una regione piccola come la nostra, si possano comunque fare cose interessanti a favore delle aziende, mettendo insieme le pur limitate risorse utilizzabili.
Un messaggio chiaro che arriva direttamente dal sistema delle imprese, dalle Organizzazioni imprenditoriali umbre, che insieme, unite in un unico corpo, hanno di recente individuato un “Piano di lavoro comune” sulle aree ritenute strategiche:
- credito;
- edilizia ed infrastrutture;
- internazionalizzazione;
- turismo e valorizzazione delle risorse territoriali, culturali ed identitarie dell’Umbria;
- welfare e sanità.
Una coesione che voglio sottolineare, perché solo partendo da questo spirito possono essere creati e adottati gli interventi che oggi risultano vitali per il sistema locale delle imprese.
A cominciare dal Credito, un mantra che sale insistente da chi ogni mattina si rimette al lavoro.
Bisogna lavorare con la massima integrazione, fra pubblico e privato, per un efficace sistema di garanzia, che può essere rappresentato dal sistema dei Confidi, perché l’attuale stretta del credito verso le imprese (e le famiglie) è uno dei principali fattori di freno per la ripresa, aggravato anche dai ritardi nei pagamenti da parte delle Pubbliche amministrazioni.
Accanto a questo, esiste sicuramente la necessità di una robusta ricapitalizzazione delle imprese, anche per evitare una eccessiva dipendenza dal credito bancario.
Ma c’è un altro macigno che minaccia moltissime imprese, soprattutto quelle più piccole. Ed sono i crediti verso altre imprese; infatti se è vero che l’ammontare dei crediti verso la p.a. è consistente, è anche vero che solo il 6% delle piccole e medie imprese manifatturiere ha nella p.a. il principale debitore. Il resto denuncia forti sofferenze verso altre imprese della filiera, spesso estere.
Colpisce una recente indagine di Confcommercio che traccia il profilo della impresa in debito di ossigeno: chi si trova in questa condizione può rischiare il fallimento anche se ha buone prospettive economiche. Si tratta soprattutto di piccole e micro imprese che da sole non riescono a farsi ascoltare dal sistema creditizio, anche se poi dimostrano di essere affidabili. Secondo l’indagine Confcommercio nel rapporto tra banca e impresa in Umbria, i grandi clienti detengono il 76% delle sofferenze bancarie, ma ottengono la quasi totalità dei prestiti. Ai piccoli continuano ad arrivare risorse molto limitate.
A livello nazionale – si legge nel recente documento sul credito elaborato anche questo unitariamente da tutte le associazioni imprenditoriali e di categoria umbre - l’aumento globale delle erogazioni del credito par a un + 3%, non è stato nemmeno pari all’inflazione (+ 3.3%). Se poi rapportassimo questi dati, alla dimensione delle aziende, la crescita delle erogazioni si limiterebbe addirittura ad un solo +0.4% nei confronti delle piccole imprese che, in Umbria rappresentano però il 98% del totale ed un +3% nei confronti delle medio grandi che, sempre a livello regionale, rappresentano soltanto il 2% del totale delle imprese. Una considerazione che toglie ogni dubbio su quale sia il grado di impatto del credit crunch nei confronti dell’economia del tessuto produttivo umbro.
Ieri il presidente Ferruccio Dardanello, in occasione della Giornata dell’economia nazionale, ha illustrato un pacchetto di proposte che contiene indicazioni molto concrete per una terapia anti crisi:
Sugli Investimenti
Introdurre un intervento a carattere straordinario che consenta alle imprese di ammortizzare in tre anni gli investimenti aggiuntivi in macchinari e attrezzature.
Adottare anche in Italia, utilizzando le Camere di commercio, lo strumento del débat public francese, per facilitare la costruzione del consenso intorno alle opere prioritarie.
L’Internazionalizzazione
Sottoscrizione di un patto tra Governo e Camere di commercio affinché, attingendo alle risorse dedicate del sistema camerale e attivando quelle dei fondi strutturali, sia possibile portare sui mercati internazionali - nei prossimi tre anni – 10mila imprese italiane tra quelle che attualmente non esportano perché si sentono poco attrezzate per competere.
Credito
Introduzione di una disciplina speciale che consenta la gestione delle crisi finanziarie prodotte dall’incaglio dei crediti verso la Pa, evitando che l’imprenditore perda il controllo dell’azienda e incorra nelle conseguenze civili e penali di un fallimento.
Il Sistema camerale rilancia l’appello a sensibilizzare le Istituzioni comunitarie per rivedere i contenuti degli accordi di Basilea 3, introducendo uno specifico “supporting factor” per ponderare il rischio di credito delle Pmi, oggi soggette agli stessi profili delle grandi imprese.
Imprese
Rinvio per i primi due anni di attività del versamento degli acconti Iva e Irap alla fine dell’esercizio fiscale per sostenere la creazione di imprese – non solo ad alta tecnologia ma anche di giovani, donne e immigrati.
Lavoro
Introduzione di un sistema stabile di certificazione delle competenze che, come in Germania, faccia perno sulle Camere di commercio coinvolgendo direttamente le imprese allo scopo di sostenere concretamente la riforma dell’apprendistato in chiave europea.
Semplificazione
Armonizzazione delle normative locali ed estensione del modello dello Sportello unico delle attività produttive delle Camere di commercio a tutto il territorio nazionale.
***
A chi sosteneva tempo fa che con la cultura non si mangia, ha risposto uno studio Unioncamere – Fondazione Symbola, il primo rapporto in Italia a quantificare il peso della cultura nell’economia nazionale.
La cultura è un fattore trainante per l’economia italiana. Frutta al Paese quasi il 5% della ricchezza prodotta (68 mld di euro), dà lavoro a un milione e mezzo di persone (il 5,7% dell’occupazione nazionale) e coinvolge 400mila imprese.
Nel triennio 2007-2010 la crescita del valore aggiunto delle imprese del settore cultura è stata del 3%, ovvero 10 volte l’economia italiana nel suo complesso (+0,3%). Dato che si riflette anche sul numero di occupati: saliti di quasi un punto percentuale (+0,9%, +13 mila posti) a fronte della pesante flessione del 2,1% subita a livello complessivo.
Ma non dimentichiamo che al valore competitivo dei beni culturali, ambientali, del patrimonio storico-architettonico, dobbiamo affiancare il ruolo determinante che i nostri valori culturali, nell’accezione più ampia possibile, giocano sul piano della produzione manifatturiera e dei servizi, veri e propri vettori di identità, storia e tradizione, ovvero di tutto ciò che è “italian style”.
E’ proprio questa “cultura produttiva”, profondamente radicata nei territori, che ha dimostrato di essere forte e vincente di fronte ai colpi della crisi.
***
Infine, dobbiamo sempre più “fare rete”, per aumentare la capacità innovativa, la produttività e la competitività aziendale.
Bisogna sostenere la creazione di aggregazioni fra imprese, di contratti di rete cui possano partecipare, sotto la guida strategica delle medie imprese, le piccole imprese e i centri d’eccellenza nel campo dei servizi all’export, della logistica, della ricerca.
Secondo l’ultimo monitoraggio di Unioncamere, a livello nazionale sono 327 i contratti di rete ad oggi sottoscritti (l’anno scorso erano 50), e coinvolgono 1.733 imprese.
***
Durante il Festival del giornalismo, nel corso di un panel eco-gastronomico, ho sentito affermare che “è proprio nei periodi di crisi che sono nati i piatti migliori…”. Mi sembra una efficace metafora, nell’attuale fase di recessione economica, per cercare, e cogliere, nuove opportunità economiche e sociali, per mettere in discussione l’esistente e progettare un futuro migliore.
Diceva Thomas Edison, che “se facessimo veramente tutto ciò che siamo capaci di fare, rimarremmo letteralmente sbalorditi”.
Le imprese più innovative e dinamiche hanno accettato la sfida del cambiamento. Sono certo che anche tutti noi sapremo coglierne l’esempio, perché nei momenti più difficili, come comunità regionale, abbiamo sempre dimostrato di saperlo fare.
*Presidente Camera di Commercio Perugia
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