di Nicola Fratoianni.

Dovrebbero far scrivere questo, se avessero un impeto di sincerità, i manager della Nestlé sui famosi biglietti che troviamo nei Baci Perugina.
Chissà che effetto farebbe sui loro clienti questa semplice verità. Quello che ha fatto sui lavoratori e i sindacati lo sappiamo già: quando l'azienda ha comunicato che probabilmente perderanno il posto in 340 nello stabilimento di San Sisto a Perugia hanno dichiarato lo stato d'agitazione.
Come dargli torto? Dopo l'applicazione del piano di rilancio firmato un anno fa, frutto di un accordo raggiunto con molta fatica e molto discusso tra i lavoratori, proprio perché prevedeva un'importante riorganizzazione e grandi sacrifici per gli stessi, la crescita delle vendite dei baci e delle tavolette di cioccolato è diventata una realtà - così dice la stessa Nestlé - in Italia e all'estero, con aumento a doppia cifra in molti paesi stranieri e fino al 60% in Canada e Cina.
Eppure alla famosa multinazionale dei dolciumi questi risultati positivi non bastano per andare avanti. L'accordo che prevedeva 60 milioni di investimenti in 3 anni secondo Nestlé va stracciato, con buona pace delle finalità dello stesso che doveva servire anche a gestire una situazione difficile senza licenziamenti e conseguenti drammi sociali.
Perché? Probabilmente perché per la Nestlé lo stabilimento di Perugia è troppo grande e complesso e va ridotto ad una fabbrichetta come tante. Che la Perugina abbia una storia importante e una connessione forte con l'identità cittadina a loro probabilmente non importa. Per le grandi multinazionali ogni fabbrica è un non-luogo come un altro.
Ma per noi invece quello che stanno facendo è un insulto: alle istituzioni che lavorarono all'accordo, ai sindacati che l'hanno firmato, ai lavoratori che hanno accettato i sacrifici, ai cittadini di Perugia che guardano a quello stabilimento come ad un pezzo importante dell'economia del proprio territorio. Si fermino di fronte alle mobilitazioni dei loro lavoratori, che alla vita di quella fabbrica tengono sicuramente più di loro. O li fermi chi di dovere, ai tavoli istituzionali e nelle stanze dei ministeri. Gli strumenti non mancano mai se la politica vuole davvero. E a mali estremi estremi rimedi, dico io. Faccio solo un esempio tra gli altri: propongo di approvare una norma che preveda che quelle società per azioni che procedano a licenziamenti per cause economiche non possano poi redistribuire gli utili tra i soci. E' una questione di giustizia: non si dovrebbe permettere che chi mette per strada centinaia di persone poi possa mettersi in tasca milioni di euro.
Non ci stancheremo mai di dirlo, sopratutto quando la logica di profitto di un colosso mette a rischio la semplice vita quotidiana di tanti che lavorano per per vivere senza mai arricchirsi.

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