di Olivier Turquet

Quest’ultimo anno la cultura della guerra e della violenza sembra che abbiano preso spazio, almeno in certi media. Come l’editoria e i giornali nonviolenti sono riusciti a affrontare questa situazione? Quali sono state le cose più significative? Lo abbiamo chiesto a Mao Valpiana presidente del movimento nonviolento e coordinatore dell’omonima casa editrice che sarà fra i protagonisti dell’Eirenefest di Roma anche quest’anno.

«La guerra, e tutto ciò che la prepara e ne consegue, è pervasiva. Gli interessi economici che vi stanno dietro (quindi legati soprattutto all’industria bellica, prima, e alla “ricostruzione”, poi) sono gli stessi che finanziano il generale sistema dei media. I capitali che sostengono la produzione di armi, sono gli stessi che finanziano gli editori della comunicazione “bellicista”. La guerra ha bisogno di consenso, e se lo compera come una merce qualsiasi. È sempre stato così, e funziona. Basta vedere storicamente il ruolo della stampa e della propaganda nel corso della prima guerra mondiale», risponde Valpiana. «Non c’è quindi da stupirsi, purtroppo, se lo stesso meccanismo viene applicato alla guerra moderna»

Anche in Italia molti giornali generalisti si sono “messi l’elemetto”?

Sì alcuni per convinzione, altri per interesse, altri ancora si sono semplicemente venduti a chi paga bene. Contrastare questa tendenza, per chi come noi è ricco solo di ideali ma ha il portafoglio vuoto, è difficile. Difficile, ma non impossibile. E infatti, nonostante il fiume di denaro che i “padroni della guerra” hanno messo anche nell’informazione (meglio sarebbe chiamarla “disinformazione”), l’opinione pubblica italiana non si è fatta abbindolare, se è vero – come è vero – che i sondaggi registrano che la maggioranza del paese è negativa rispetto alle posizioni e alle scelte del governo di partecipazione alla guerra. I nostri giornali (parlo per la nostra rivista “Azione nonviolenta”) hanno affrontato il tema con approfondimenti specifici. In particolare noi abbiamo fatto la scelta di dare la parola alle vittime delle guerra e di amplificare nel nostro Paese le posizioni e le attività dei movimenti pacifisti dei paesi coinvolti nel conflitto, Russia, Ucraina e Bielorussia.

Se vuoi la pace prepara la pace: come possiamo, individualmente e collettivamente lavorare per quest’obiettivo?

La nonviolenza è prima di tutto prevenzione. Il conflitto va trasformato e gestito prima che esploda la violenza degeneratrice. Fermare una guerra prima che avvenga è molto più efficace che farlo quando la parola è passata alle armi. Poi tutto si complica maledettamente, e a quel punto ci si può impegnare per limitare i danni, per aiutare o soccorrere, ma diventa quasi impossibile fermare le bombe con la nonviolenza. Per questo la strategia nonviolenta è quella preventiva, lavorare oggi per preparare la pace di domani. Maria Montessori diceva: “facciamo la pace, un bambino alla volta”. C’è un grande investimento nel futuro, una fiducia nel lavoro educativo, in questo suo importante insegnamento. Dunque il lavoro per la “educazione alla pace” è fondamentale. L’editoria, la comunicazione, l’informazione giovano un ruolo decisivo in questo senso.

Ho la sensazione che la nonviolenza come tematica e pratica stia prendendo peso nelle società, che il tema -alla violenza si risponde con nonviolenza – abbia più spazio: come la vedi tu?

Certamente in questi ultimi decenni si sono fatti molti progressi. Quando da ragazzino (ormai più di mezzo secolo fa…) ho iniziato ad interessarmi e frequentare la nonviolenza, venivamo totalmente ignorati, o peggio derisi, e poi repressi. Gli obiettori di coscienza venivano messi in carcere. Avevamo tutti contro, partiti, istituzioni. Le voci che si levavano a favore della nonviolenza, dell’obiezione di coscienza, contro la scelta militare e contro la violenza politica, erano isolatissime. Oggi, dopo cinquant’anni di iniziative, mobilitazioni, organizzazione, finalmente la nonviolenza è divenuta “discutibile”, cioè degna di essere discussa. Anzi, molte ideologie che sembravano solidissime, sono tramontate nel nulla. La storia del Novecento ha condannato figure che impersonificano imperi che sembravano invicibili: Hitler e Stalin sono stati condannati dalla storia, e solo la figura di Gandhi è rimasta a portare luce anche alle generazioni di oggi. Il messaggio della nonviolenza è l’unico del Novecento che resta valido anche per il nuovo secolo, l’unico esente dal fallimento. Certo, la guerra vuole ancora farsi spazio, ma le nuove generazioni hanno capito che come diceva Gandhi “occhio per occhio e tutto il mondo diventa cieco”. La nonviolenza è l’unica alternativa possibile. L’unica che funziona davvero.

Il movimento nonviolento ha lavorato in questi tempi molto sul tema della obiezione di coscienza e presenterà anche a Eirenefest la sua proposta: ce la puoi raccontare?

L’obiezione di coscienza è il fondamento della nonviolenza. Per fermare la guerra bisogna non farla. Per cessare il fuoco bisogna non sparare. La forza della nonviolenza sta in queste semplici verità. Per questo dentro alle parti in conflitto, sia tra gli aggrediti che tra gli aggressori, abbiamo scelto coloro che comunque vogliono sottrarsi alla logica della violenza  e decidono di praticare già oggi le vie della pace. I movimenti nonviolenti sono presenti (anche se minoritari) sia in Russia, Bielorussia e in Ucraina. Sono i nostri interlocutori e con loro sosteniamo gli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva che non vogliono combattere con le armi, che spezzano i loro fucili. La campagna di “Obiezione alla guerra”, che presenteremo anche ad Eirenefest, consiste nell’aiuto concreto ai giovani che rifiutano l’arruolamento, fornire la difesa legale, il sostegno anche economico, l’aiuto per l’espatrio. Anche se la stampa ufficiale non ne parla, e se in Russia e in Ucraina il fenomeno viene negato, nascosto, censurato, sono migliaia e migliaia i giovani che hanno scelto questa strada. Vengono dipinti come “traditori”, nemici della patria, vigliacchi, ma sono in realtà gli unici che amano la propria patria, senza odiare quella altrui, gli unici delle due parti che già si parlano, che lavorano insieme, che mettono in atto progetti di pace. La richiesta che facciamo ai governi dell’Europa, è quella di aprire le porte, di accogliere come fratelli gli obiettori di coscienza russi e ucraini, di riconoscere loro lo status di “rifugiati politici” e di offrire loro asilo e protezione. Anziché dare armi per alimentare il fuoco della guerra, accogliamo chi il fuoco lo vuole spegnere. La pace futura passa da qui.

*L’intervista a Mao Valpiana è stata realizzata da Olivier Turquet coordinatore italiano di Pressenza e ideatore dell’Eirenefest, che si tiene a Roma

Fonte: Left

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