di Alfonso Gianni

La manifestazione della Fiom per le strade assolate di Roma ha dimostrato un sindacato dei metalmeccanici in ottima salute . Oltre alla quantità dei partecipanti è contata anche la qualità delle presenze e dei discorsi dal palco. Raffaella Bolini, Fiorella Mannoia, Gino Strada, Stefano Rodotà, oltre ai protagonisti di lotte di fabbrica hanno preceduto il comizio finale di Maurizio Landini, come sempre assai poco demagogico ed estremamente concreto nel delineare un percorso di lotta sociale e nel richiamare le forze politiche alle loro responsabilità di fronte alla gravissima crisi in cui versa il paese. In molti hanno detto: il nostro non è un paese in crisi, ma nella crisi, esprimendo così la fiducia sulle possibilità di una ripresa se si ascoltano e non si ostacolano le forze del lavoro.

C’è stato un passaggio del discorso di Landini che ha attirato la viva attenzione della folla in piazza ed è suonato come un’accusa precisa verso una parte rilevante della sinistra. Il segretario della Fiom ha detto di stupirsi di come da un lato si abbia tanto coraggio da stare in un governo con Berlusconi e dall’altro avere contemporaneamente paura di essere in piazza con la Fiom. Touché.

Se si pensa allo squallore di ministri pidiellini che manifestano contro la Magistratura a Brescia, atto rivendicato come legittima libertà di opinione politica (si potrebbe dire, con un facile gioco di parole, un partito di lotta e di Letta, con un leader con la faccia di latta) e lo si confronta con la vistosa assenza dei dirigenti del Partito democratico alla manifestazione operaia si ha la sensazione di un vero rovesciamento.

Da un lato il populismo di destra, incline persino alla jacquerie contro un potere dello stato democratico, quello giudiziario, dall’altro la lontananza e l’insofferenza dei massimi esponenti del primo partito italiano da quello che un tempo era il suo principale referente sociale, la classe operaia. Non è servito neppure che a reggere, momentaneamente o meno, le redini del Partito democratico sia adesso un ex segretario generale della Cgil.

A dovere essere sinceri, come è sempre giusto fare, non è che le forze dell’opposizione al governo Letta – Alfano brillassero per presenza organizzata. Se si eccettuano le comparsate televisive, sempre ben preparate, alla partenza del corteo, non si può dire che le forze della sinistra fossero robustamente presenti e visibili in quanto tali. E non credo purtroppo che si sia trattato di un eccesso di cautela per non compromettere l’autonomia e l’indipendenza del sindacato da qualunque forza politica.

Così assumevano un sapore un po’ curioso le parole dedicate da Landini a questo tema. “Ogni volta che la Fiom organizza qualcosa – ha detto il segretario dei metalmeccanici – ci accusano di volere fare un partito, mentre noi avanziamo le nostre proposte in quanto forza sindacale” Giustissimo, in effetti è e deve essere così. Ma nella piazza c’era chi commentava: magari potessimo costruire un partito fondato sul lavoro!

L’affermazione non è politically correct e neppure coerente con la tradizione sindacale italiana. Ma ne va colto il senso, perché esprime un bisogno profondo, quanto inevaso: quello di dare una rappresentanza politica al variegato e dolorante mondo del lavoro. Altrimenti anche la Costituzione, sapientemente richiamata da Rodotà, tra gli applausi di tutti, rimane lettera vuota.

Fonte: huffingtonpost.it

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