(dell'inviato Michele Cassano) (ANSA) - PERUGIA - Andy Carvin, 41 anni, è stato definito il miglior account Twitter del mondo dalla Columbia Journalism Rewiev. E probabilmente se lo merita se - come ha raccontato lui stesso al Festival di Perugia - da quando si è iscritto nel febbraio 2007 ha, mano a mano, cominciato ad assentarsi dal lavoro per non mollare mai il suo profilo e, solo grazie ad un capo interessato alle sue gesta, non è stato licenziato.

Se lo merita ancor di più perché ha raccontato da Washington in un modo completamente nuovo, anche attraverso National Public Radio per cui lavora, la primavera araba, contribuendo forse anche alla sua espansione. Di una cosa però si dice certo: “parlare di rivoluzione di Twitter è sbagliato, perché le rivolte le fanno gli uomini”.

Oggi vanta 70mila follower ed oltre 130mila cinguettii, ma c'è voluto poco per diventare un campione del mezzo se già nel dicembre 2007 fu tra i primi a dare la notizia in Occidente della morte di Benazir Bhutto, grazie ad un contatto in Pakistan. “Allora ho capito che Twitter poteva essere usato in tempo reale ed ho cominciato a fare esperimenti - ha ricordato -. Nelle elezioni presidenziali del 2008, mentre i candidati parlavano, noi chiedevamo agli utenti se secondo loro dicevano bugie e arrivarono risposte ben documentate: avevamo una redazione di ben 150 volontari che facevano controlli”.

Poi, nel dicembre 2010, la svolta che lo ha reso famoso. “Quando ancora non si parlava della rivolta tunisina, ho visto che si diffondeva l'hashtag #sidibouzid - ha spiegato -. Non sapevo cosa fosse, poi mi spiegarono che era la città dove si diede fuoco Mohamed Bouazizi, dando vita alla rivolta dei gelsomini. I tweet crescevano, molti erano in arabo, e chiesi a chi li aveva scritti di tradurli, ma furono gli altri follower a farlo in pochi minuti. Insomma, al culmine della rivoluzione, la gente usava Twitter per organizzarsi, spiegare dove erano i cecchini e come muoversi, finché Ben Ali fu costretto a fuggire”.

Da lì, sempre grazie a Facebook e Twitter, la rivoluzione si accese in altri Paesi. “In Egitto non conoscevo nessuno - ha raccontato ancora Carvin - avevo bisogno di espandere le mie fonti. Contattati alcuni ribelli, ho controllato tra le persone che seguivano, ho visto con chi ed in che modo si scambiavano messaggi, e sono riuscito ad avere una cerchia di 40-50 persone, attendibili, in grado di raccontare in tempo reale quello che succedeva. Ricevevo 1400 tweet al giorno, era come se fossi con un elicottero virtuale sulla battaglia”.

“Successivamente mi è capitato di andare in Egitto e trovarmi ad un passo da piazza Tahrir durante scontri - ha detto inoltre -. Potevo vedere con i miei occhi, sentire l'odore della battaglia, ma in realtà non sapevo nulla di quello che succedeva, perché il mio angolo di visuale era limitato. Non so quale tipo di giornalismo sia migliore, penso che uno sia complementare rispetto all'altro”.

Anche in Libia, Carvin è riuscito a raccontare all'Occidente prima degli altri che la rivoluzione stava scoppiando, analizzando video della rivolta che, sempre grazie a Twitter, riuscì a capire che venivano da Bengasi. Ora segue anche le rivolte in Siria: è stato lui a rivelare la vera identità di Amina Arraf, presunta attivista gay che si riteneva essere stata rapita a Damasco. Carvin, indagando su Twitter, capì che il personaggio, già intervistato via Skype dal Guardian ma anche dalla Cnn, in realtà non esisteva e dietro di lui si nascondeva lo scrittore Tom MacMasters.
 

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