«Abbiamo da elaborare un lutto collettivo», esordisce Paolo Ferrero e non sarebbe potuto essere più esplicito aprendo i lavori del comitato politico nazionale del partito che guida dal 2008 e che, cinque anni dopo deve confrontarsi con un'altra sconfitta pesantissima. Qundici giorni dopo la conta magra alle urne la segreteria si presenta dimissionaria come primo segno di discontinuità al primo parlamentino di Rifondazione che oggi tirerà le fila di una prima tornata di discussione trasmessa in streaming sul sito del quotidiano Liberazione.

 

Ferrero rammenta il duro lavoro dopo la scissione di Sel per riaffermare la presenza di una sinistra di alternativa in grado di incarnare le ragioni dell'antiliberismo e dell'anticapitalismo. «Siamo stati presenti nelle lotte - spiega - abbiamo sviluppato pratiche mutualistiche come quelle del partito sociale. Le elezioni erano un elemento di validazione di quel lavoro politico. Questa conferma non c'è stata. Dopo il tempo della delusione, però, si deve aprire il tempo della riflessione per poter riaprire l'azione in una relazione fortissima col tessuto militante, la principale risorsa che abbiamo». Il punto d'arrivo, dirà in conclusione, sarà un congresso di cui tutti sentono il bisogno ma che per Ferrero va indetto subito ma andrà svolto solo dopo una fase di ascolto, una discussione organizzata, farlo ora sarebbe lacerante. Prima di allora si dovrà ragionare sulla crisi della politica e della rappresentanza, sull'Europa, sulla crisi delle identità sociali, su come costruire una soggettività di massa consapevole. «Serve un tempo in cui ci possiamo interrogare su tutto questo»

Primo tra tutti c'è il problema di costruire la relazione tra gli organismi dirigenti e il tessuto militante. Senza quel tessuto di circoli e di relazioni militanti non ci sarebbe stata campagna elettorale, ne ha dovuto prendere atto anche la cabina di regia di Rivoluzione civile. Per Ferrero, «la nostra presenza in questi anni non è stata residuale, siamo una comunità animata da passione durevole ma dobbiamo tradurre l'indignazione in cambiamento efficace».

 

Avvertendo la platea dal rischio di un eccesso di relativizzazione della sconfitta, il segretario situa il tonfo elettorale alla fine di tre cicli: primo, il ciclo del movimento operaio del dopoguerra, in questo momento non esiste nessun conflitto sociale vero. La connivenza o l'assenza delle organizzazioni sindacali c'entra con la disperazione delle persone, «manca una risposta di classe ad un attacco di classe». Secondo: è finita la seconda repubblica «e questo è un fatto positivo». Terzo: «credo che ci sia anche la chiusura del ciclo di Rifondazione comunista per come l'abbiamo conosciuta. Con questa complessità ci dobbiamo misurare». Come dire che nessuno pensi a operazioni di maquillage.

Tutta la relazione di Ferrero tenderà a prendersi il tempo necessario per fare i conti con la sconfitta. «Così in basso non c'eravamo mai arrivati - ammette - nessuna forma democratica c'è stata nella costruzione delle liste, ne hanno fatto le spese i territori e le compagne. Il meccanismo dell'assemblaggio ha prodotto esclusioni pesanti come quelle di Nicoletta Dosio e Vittorio Agnoletto. E non è emerso a sufficienza il profilo del nostro programma su come uscire dalla crisi. La costruzione di Rivoluzione civile derivava da due processi: quello di chi aveva scelto la costruzione di una lista in autonomia dal Pd e quello di chi era stato escluso dall'alleanza Pd-Sel. L'ambivalenza ha pesato molto. Tutto ciò non spiega il 2%: abbiamo raccolto solo il voto di relazione perché non siamo riusciti a spiegare il senso, siamo stati un'opzione debole tra opzioni più forti e più organizzate, la più solida opzione è quella di Grillo perché la rete è organizzazione della comunicazione, è materialità».

 

Si poteva fare altrimenti?

«E' questo l'oggetto della discussione. La Fds, che era in crescita, si è sfasciata sul problema del rapporto col Pd. Non siamo riusciti a produrre una mediazione tra Cambiare si può e Ingroia». Il segnale del voto, secondo lui, parla di una rivolta contro il quadro politico e le politiche di austerità, hanno perso i partiti del governo Monti, ha vinto Grillo, ha perso meno Berlusconi che ha saputo smarcarsi da quel governo. «Ma non è la rivoluzione - avverte - è solo la crisi della seconda repubblica, le forme in cui si definisce il dissenso sono i materiali prodotti da vent'anni di berlusconismo, il dissenso ha usato canali in sintonia col senso comune. Tutto il disagio sociale è fatto risalire ai privilegi della Casta», continua Ferrero precisando che sarebbe sbagliata la demonizzazione del M5s. «C'entra, invece, il disastro combinato da noi al tempo del governo Prodi che ha distrutto una credibilità, c'entra la nostra incapacità di dare sviluppo coerente ai movimenti».

 

Insomma, è importante cogliere il significato sociale del voto - molto voto operaio, di giovani che non vedono futuro, di disperazione sociale diffusa si è riversato su Grillo - e sarebbe positivo se il M5s venisse coinvolto nel governo e riuscisse a rompere l'impermeabilità ventennale della politica alle istanze sociali. Se si riattivasse quella relazione, secondo Ferrero, si romperebbe un senso di impotenza, ma «temo che non avverrà, sono tutti dentro un gioco iperpoliticista a rimpiattino, Grillo compreso. Così torneranno in campo i poteri forti pressione per nuove riforme istituzionali per governare un paese che ha detto di non voler essere governato da quelle politiche». Il primo compito del Prc dovrà essere di lavorare per «rimettere al centro le questioni sociali da subito, spiegare che il rimpiattino produce ulteriore devastazione». Rifondazione parteciperà alle imminenti manifestazioni No Ponte, No Tav e No Muos.

Che cosa fare?

 

«Il terremoto è appena cominciato». Quella che a Ferrero pareva una «Weimar al rallentatore» sembra accelerare i fotogrammi. «Qualsiasi sia l'esito si riapre un'altra partita, si chiude un ciclo, non la storia e questo vale per tutti. E' fallita la concertazione, c'è afasia nel sindacato da parte di chi aveva puntato tutto sul governo amico. Come tutte le crisi c'è il pericolo e l'opportunità». Ferrero, dunque, chiede di ripartire dal patrimonio di militanza sedimentata, se parla di crisi non lo fa con intento liquidatorio («sarebbe devastante»), e intravede un patrimonio «fuori di noi anche se non ci ha votato o non ha votato affatto. La pesantezza della sconfitta obbliga tutti a interrogarsi, ci sono culture politiche che stanno esplodendo». Ma Rifondazione comunista deve superare i propri limiti «nella comprensione della società, nella comunicazione e nella costruzione di uno spazio pubblico. Non siamo riusciti a entrare nell'universo comunicativo, ci hanno raccontato anziché riuscirci a raccontare da noi. Adesso la ridefinizione della nostra esistenza deve essere fatta a partire dal fatto che siamo parte di un movimento più grande. Dobbiamo ragionare sul fatto che non sia possibile oggi un partito di massa. E allora come si costruisce un partito comunista non di massa ma che non sia settario? Inoltre, il processo fondativo di una sinistra d'alternativa si è sempre fatto con percorsi di aggregazione di tipo pattizio (Fds e Rc da cui, nel frattempo, si sono sfilati l'Idv e De Magistris, ndr) ma quella strada lì non funziona: il criterio dev'essere una testa un voto».

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