Federalimentare avvisa: "Il mercato è magro, sia per qualità che per quantità"
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di Armando Allegretti
PERUGIA - La Manovra Monti colpisce anche l’industria alimentare con un calo del 2% delle vendite e l’1% della produzione. Questo è quanto emerso dal bilancio di fine anno di Federalimentare, stimando in oltre 4 miliardi l’impatto del “decreto salva Italia” sui consumi del settore.
A questo “pacco natalizio” si aggiunge anche l’aumento dell’Iva del 2% previsto dal primo ottobre 2012, che colpirebbe il 75% degli alimenti e introdurrebbe, secondo la federazione, “un grave fenomeno recessivo”.
Per promuovere il made in Italy e rilanciare i consumi “''bisogna spingere subito e più coraggiosamente sul pedale dello sviluppo - dichiara il presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua - è chiaro che tale spinta dovrà essere coniugata con la cancellazione di ogni ulteriore pressione fiscale, riconsegnando ai consumatori un potere d’acquisto maggiore, oggi eroso da scarsa concorrenza, tariffe in regime e liberalizzazioni mancate”.
L’associazione inoltre chiede all’esecutivo di rinunciare all’aumento dell’Iva e delle accise e di favorire la crescita delle imprese defiscalizzando le operazioni di fusione e acquisizione.
In ogni caso il quadro di fine anno non è dei migliori, l’industria alimentare chiuderà il 2011 con un calo della produzione del 1,5%, il terzo peggiore dal dopoguerra.
Determinante inoltre, il calo dei consumi (-2% nel 2011), solo in parte compensato dall’export a +10%., vendiamo all'estero 23 miliardi di euro di prodotti, il 18% del fatturato.
A guidare le esportazioni, in questo anno “fallimentare” è la Lombardia, (4,5 miliardi di euro), seguita dall’Emilia Romagna e dal Piemonte (3,7 miliardi). L’Umbria con 2 miliardi di euro, si piazza al decimo posto nella classifica stilata da Federalimentare.
Scarica qui la Tabella del bilancio 2011
In termini di incidenza sul fatturato, le regioni che prillano maggiormente all’estero sono invece il Trentino Alto Adige (37%), la Campania (32%) e il Piemonte (31%).
E non finisce qui, a questa pesante flessione va sommata la perdita di valore aggiunto, sceso in termini reali di quattro punti negli ultimi anni a causa delle caratteristiche sempre più low cost della spesa delle famiglie.
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