Stefano Fassina all'assemblea "Verso il polo progressista".

In in beffarda e forse significativa coincidenza, proprio in questi minuti, al Quirinale, l’on Giorgia Meloni, la prima donna in Italia a ricoprire la funzione di Presidente del Consiglio dei Ministri, giura sulla Costituzione della Repubblica antifascista, nata dalla Resistenza. È un fatto politico in netta discontinuità con la storia dell’Italia repubblicana. Nella cosiddetta Seconda Repubblica, la destra ufficiale, allora espressa soltanto da AN, entra al governo come junior partner, insediato prevalentemente nel Mezzogiorno. Oggi, la destra ufficiale è la forza di gran lunga dominante la coalizione di destra, perchè di centro se ne vede poco. Il fatto politico sotto i nostri occhi non è un incidente di percorso dovuto alle sciagurate scelte isolazioniste compiute da chi ha voluto erigere il governo Draghi e la sua agenda a discriminante di fase. Non siamo di fronte ad una ordinaria sconfitta ciclica delle forze di sistema.
I risultati elettorali del 25 Settembre confermano tendenze in corso da tanto tempo. Le ultime decisioni hanno aggravato la distanza della sinistra ufficiale dalle periferie sociali, ma la sua disconnessione sentimentale, prima che politica, da esse è di lunga data. E non è un fatto soltanto italiano. Siamo di fronte, ovunque nelle democrazie consolidate, almeno dai tempi della Brexit e dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, agli effetti elettorali, drammaticamente visibili anche nel segno di classe dell’astensione, all “l’insostenibilità sociale, ambientale e spirituale” della regolazione neo-liberista del capitalismo (Papa Francesco, intervento all’assemblea “The Economy of Francesco”).
Qui sta il punto decisivo. Siamo ad un cambio di stagione. Le destre istintivamente “sovraniste” e tradizionaliste, si affermano, pure in Italia con FdI, perchè rispondono con le chiusure e il richiamo in forma regressiva al sacro alla domanda sempre più ansiosa di protezione economica ed identitaria, mentre la sinistra ufficiale ha continuato a seguire l’agenda degli anni ‘90, declinata con europeismo fideistico e atlantismo subalterno, a garanzia di interessi forti o relativamente garantiti, sempre più ridotti in termini numerici.
Ma non è tutto buio. Da noi, con il MoVimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte , più compiutamente in altre nazioni europee, fuori dalla famiglia socialdemocratica, socialista, laburista, ad esempio in Francia con la France Insoumise e la Nupes, si affaccia anche una risposta progressista, certo ancora acerba e segnata da contraddizioni, ma riconosciuta dalle fasce sociali più in difficoltà e dalle generazioni più giovani e più intransigenti nell’impegno per la conversione ambientale.
Pochi numeri per spiegare. Il M5S è di gran lunga il primo partito tra #precari e #disoccupati, mentre segue FdI tra gli operai. Il M5S è anche il primo partito tra i giovani e tra gli studenti. Pd è il primo partito tra dirigenti e quadri e secondo, dopo FdI, tra gli insegnanti e gli impiegati (dati Tecné ). Sono dati impressionanti ai quali, purtroppo, la sinistra ufficiale, in tutte le sue versioni, si è rassegnata al di là della retorica “non lascio a nessuno la questione sociale”. Fanno ancora più rabbia letti nel contesto dell’astensione. L’astensione: ha un nettissimo segno di classe. Supera il 42% tra i disoccupati, arriva al 40% tra i lavoratori precari, è oltre il 37% tra gli operai. Scende al 20% tra imprenditori, liberi professionisti e impiegati.
La risposta progressista data da M5S all’insostenibilità sociale, ambientale e spirituale della regolazione neo-liberista è stata scelta nel voto, naturalmente e spesso per la prima volta, da centinaia di migliaia di donne e uomini di sinistra, ecologisti, protagonisti di esperienze civiche e nel Terzo settore. È la risposta scelta da chi ha deciso di investire sulla direttrice progressista del Movimento e sulla sua rinnovata classe dirigente. È la risposta scelta da chi ha sottoscritto la lettera di invito all’Assemblea di oggi. Ringraziamo Il Fatto Quotidiano per averla pubblicata. È la risposta scelta da tante e tanti che oggi sono qui.
Perchè siamo qui? Perché è la risposta che vogliamo contribuire a rafforzare, nel vivo del confronto e del conflitto sociale, culturale e politico con la destra al governo. È la risposta che vogliamo rafforzare in un impegno per la #dignità del #lavoro, per un ecologismo popolare attento alla sostenibilità sociale della transizione sempre più urgente, per la difesa dei diritti civili e delle conquiste del movimento delle #donne e per la #pace realista, innanzitutto in #Ucraina, fondata su una governance multilaterale, sintesi dell’irreversibile quadro internazionale multipolare.
Qui voglio ringraziare, innanzitutto, la Rete Italiana Pace e Disarmo per la promozione della manifestazione del prossimo 5 Novembre per il cessate il fuoco e la pace in Ucraina. Ringrazio per la dirittura morale ed il coraggio politico dimostrato anche i 45 (quarantacinque) nostri ex ambasciatori che, in un documento pubblicato da Avvenire , hanno tracciato la rotta per una iniziativa diplomatica realista per il cessate il fuoco e per un negoziato foriero di pace. Qui, voglio infine ringraziare gli “scandalosi” 11 intellettuali di tutto l’arco costituzionale che, in un Appello pubblicato ancora una volta da Avvenire accompagnato stavolta anche da Il Fatto Quotidiano e da La Verità , hanno insistito su un’analisi fattuale della #guerra in Ucraina e su una rotta realistica per evitare l’escalation nucleare. Eugenio Mazzarella, tra i promotori della nostra assemblea, è stato l’artefice dell’Appello, totalmente ignorato dai grandi media. Prenderà la parola nel corso dei nostri lavori per illustrarcelo.

Lo sottolineo ancora una volta: chi va in piazza per la pace non è equidistante tra vittima e aggressore. Chi va in piazza per la pace ritiene ingiustificabile l’aggressione militare della Russia all’Ucraina. Chi va in piazza per la pace condanna i crimini di guerra, le fosse comuni, gli stupri e ogni forma di violenza sui civili ucraini. Chi va in piazza per la pace sta con chi a Mosca, a San Pietroburgo e in tante città russe manifesta contro Putin.
Chi va in piazza per la pace vuole l’affermazione del diritto internazionale per far finire la guerra, anzi vorrebbe sempre l’affermazione del diritto internazionale, anche il Palestina, stranamente dimenticata dai nostri paladini della sovranità dei popoli e del diritto alla resistenza di fronte all’occupazione militare illegittima.

Chi va in piazza per la pace non è meno dalla parte dell’Ucraina rispetto a chi non ci va oppure, il prossimo 5 novembre, va in una piazza a Milano organizzata in una strumentale contrapposizione con la piazza di Roma. Chi va in piazza per la pace non ha ricevuto casse di vodka o letterine affettuose dal Cremlino.
Chi va in piazza per la pace, a differenza di chi vuole continuare a fare liste di proscrizione di “amici di Putin”, valuta gli effetti reali della linea “più sanzioni più armi” sui cittadini ucraini, innanzitutto. Tuttavia, non chiude gli occhi di fronte alle decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di morti, previsti in conseguenza della carestia determinata in Africa dalla “nostra” guerra. Non chiude gli occhi neppure di fronte agli ulteriori migliaia di migranti, in disperata fuga da quella carestia, destinati ad affogare nel Mediterraneo. E non chiude gli occhi neanche di fronte alle devastanti conseguenze sociali degli effetti della guerra in Ucraina negli Stati dell’Ue. Insomma, chi va in piazza per la pace vuole un’incisiva iniziativa politica e diplomatica da parte del governo italiano e dai principali governi europei. E vuole dare una mano ad evitare che il processo di integrazione europea sia la principale vittima dell’escalation militare in corso.
Noi condividiamo la posizione del M5S: stop invio di armi. Chiediamo agli atlantisti senza se e senza ma: qual è l’obiettivo dell’ulteriore e potenziato invio di armi? Il ritiro delle truppe russe dall’intero territorio ucraino? Il regime change a Mosca? Non è ancora chiaro che così si arriva alla guerra nucleare? Davvero qualcuno ritiene che il sostegno militare e di intelligence della Nato all’Ucraina può aumentare senza prima o poi portare la Russia a riconoscere il coinvolgimento diretto dell’Alleanza atlantica nel conflitto?
Il ritiro delle truppe russe non può essere la precondizione del negoziato. Come scrivono gli scandalosi 11 intellettuali deve essere punto nel negoziato, connesso alla ine delle sanzioni? È sempre più evidente che la guerra combattuta in Ucraina e una guerra per procura e che può essere portata a termine soltanto da una conferenza internazionale con la partecipazione di Cina ed India per una governance multilaterale, sintesi di un quadro globale irreversibilmente multipolare. Per tali ragioni, vi proponiamo di approvare, a conclusione della nostra discussione, un odg per aderire alla manifestazione promossa da Europe for peace per il 5 novembre a Roma.
La rotta progressista si deve innanzitutto misurare con l’essenziale e imprescindibile funzione di opposizione al governo delle destre.
Quale opposizione? L’opposizione rigenera. Sicuro? No. Dipende. Dipende quale opposizione fai. Dipende dalla connessione non soltanto sentimentale, ma fisica con il mondo fuori dal Palazzo. Dalla destra, in tutte le sue articolazioni, arriveranno continue provocazioni sul versante dei diritti civili e dei migranti, sul versante dei connotati anti-fascisti della nostra Costituzione. Provocazioni per farsi concorrenza tra partiti della maggioranza e, soprattutto, provocazioni per distrarre l’opinione pubblica in generale ed i “suoi” in particolare, dalla sostanziale continuità delle politiche economiche, di fronte alle conseguenze sempre più pesanti della guerra in Ucraina e della sciagurata stretta monetaria attuata dalle BC, presunti santuari tecnici, indotti dalla sostanziale inazione dei governi nella correzione dei mercati dell’energia, a scaricare i costi economici della guerra su lavoratrici, lavoratori e piccole imprese.
Noi intendiamo contribuire ad un’opposizione e ad una controffensiva centrata sulle emergenze materiali delle persone, delle lavoratrici e dei lavoratori, delle #famiglie e delle #imprese. A cominciare dall’insostenibilità delle bollette di luce e #gas, dalla brutale perdita di potere d’aquisto delle retribuzioni e dei redditi da lavoro, anche nell’ambito delle attività di lavoro autonomo no market maker e dalla più acuta precarizzazione del lavoro e dalla maggiore disoccupazione dovuta alla recessione.
Il disegno di legge di Bilancio è il primo banco di prova. Vedremo quanto il governo e la sua maggioranza proveranno a forzare per spostare preziose risorse dai principali capitoli di welfare alle tasche di chi ha di più. Vedremo quanta irresponsabilità avranno negli attacchi al RdC o al Decreto dignità e alle stringenti causali per i contratti a tempo determinato. La parabola accelerata dell’ex premier britannica Liz Truss dovrebbe aver fatto maturare prudenza agli ultras liberisti seguaci di flat tax pure o incrementali.
Per il DDL Bilancio, prepariamoci da subito a fare proposte per: tassare in modo efficace ed equo gli extraprofitti e per redistribuire i proventi a soccorso di famiglie e imprese; fissare un tetto al prezzo del gas e per dissociare il prezzo dell’energia elettrica prodotta da gas dal prezzo dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, sul modello della regolazione introdotta in Spagna e Portogallo ad Aprile scorso e ripetutamente, ma inutilmente, chiesta al Ministro Cingolani. Purtroppo, l’ennesimo vertice europeo concluso ieri a Praga non ha portato a soluzioni all’altezza della situazione drammatica, mentre la BCE continua a soffocare l’economia reale. Ci sarebbe un’offensiva da fare a Bruxelles e a Strasburgo, ma è decisivo esser parte di un gruppo parlamentare europeo.
Ovviamente, l’opposizione al governo delle destre deve essere intransigente la difesa di diritti indiscutibili in termini di dignità e di autodeterminazione delle persone, delle donne in particolare. Deve essere ferma la risposta ad ogni tentativo di ferire i principi fondativi della nostra Repubblica. Ma difesa intransigente va attivata e risposte ferme vanno date nella consapevolezza che diritti civili e antifascismo non sono i terreni sui quali consolidare o ritrovare connessione sentimentale e fiducia delle fasce sociali più in difficoltà, lontane dalla politica e, ancor di più, dalla sinistra ufficiale. Non sono le questioni attraverso le quali parlare all’astensione di operai, lavoratori precari e disoccupati e tanto meno a chi di loro vota a destra.

Attenzione a farci tirare dai grandi media mainstream dentro culture wars. Noi dobbiamo combattere la destra sulle politiche liberiste dell’Unione europea, sulle #bollette, sulla precarizzazione ulteriore del #lavoro, sull’inazione verso gli #extraprofitti delle aziende energetiche, farmaceutiche e ovunque siano stati e continuano ad essere accumulati, sull’appiattimento atlantico e il rischio #nucleare, sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sull’introduzione di un salario minimo legale, sulle politiche industriali, sulla transizione ecologica e digitale.
Un’opposizione ed una controffensiva orientata da atlantismo adulto ed europeismo consapevole. Attenzione, qui non mi rivolgo al M5S, ma chi si è ritagliato il ruolo di garante passivo del vincolo esterno, a fare un’opposizione da sacerdoti dell’ortodossia della Commissione europea.
Insomma, l’opposizione non è un luogo politico che magicamente unisce. Senza sapiente e accorta direzione politica potrebbe anche allargare la frattura. Il primo scoglio potrebbe essere, prima del 31 Dicembre, il voto in aula sulla norma autorizzativa dei DPCM per l’invio delle armi all’Ucraina.
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