di Vito Nocera.

53 anni e sembra ieri.
Gigi Meroni fu l'interprete romantico di un calcio pieno di poesia. Tecnico, fantasioso e capace di guardare anche al di la' del calcio.
Di quel suo tempo, il nostro tempo, fu, come George Best, icona straordinaria. E la sua leggenda (e tragedia) si e' fusa con quella degli sfortunati e immensi eroi granata di Superga.
Calciatore inimitabile, scomodo, mai banale.
Rappresento' coi suoi dribbling e i suoi capelli lunghi i nostri desideri ingenui e generosi di rivolta.
Erano gli anni leggendari del Living di Beck e Malina.
E due anni dopo - era il 1969 - mentre da noi irrompono nella scena del Paese i giovani operai delle catene di montaggio Lennon e Yoko Ono accolgono la stampa in pigiama nella suite dell'Amsterdam Hilton per comunicare al mondo il loro grido di pace.
Anni di slanci generosi e intensi.
Quella sera di ottobre che Meroni morì avevo 13 anni.
Giocavo da tempo con una maglietta bianca dove mia madre - dopo le mie tante insistenze - aveva cucito uno sgangherato numero 7.
A quella notizia piansi.
E ancora quella ferita non si e' chiusa.
Ma forse, quel ragazzo gracile e intelligente, si e' fatto mito per aiutarci nel nostro sogno disperato di conservare eterna, al mondo e a noi stessi, la bellezza.

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