La fame e lo spreco: tanti giovani alle giornate della filosofia della scienza
Sono stati gli studenti i protagonisti della terza edizione del Festival della Filosofia della scienza di Città di Castello, dedicata al rapporto tra cibo e società. L’auditorium di Sant’Antonio è stato al completo per entrambe le due sessioni in cui si è articolata la manifestazioni.
“Siamo soddisfatti dal momento che la divulgazione scientifica non è mai un terreno su cui si registrano adesioni massicce” commenta l’assessore alle Politiche culturali Rossella Cestini, sottolineando come “il cibo ha implicazioni vastissime per le società come per i singoli. Parlarne a degli adolescenti significa anche affrontare anche la prima causa di morte nella loro fascia anagrafica: i disturbi alimentari. Di anoressia, bulimia o di patologie spin off, come l’ortofagia si è occupato l’intervento di Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, fondatrice delle strutture umbre che curano “questo tipo di malattie, perché non sono stili di vita o momentanee debolezze” ha specificato “ma malattie vere e proprie, da cui si esce soltanto attraverso una cura. Nessuno pensi che si può guarire da soli”.
Il cibo come strumento di relazione o di autodistruzione, il cibo come assenza di nutrienti vitali, il cibo come bene pubblico: su questi assi si è mosso il Festival, aperto dal sindaco tifernate Luciano Bacchetta e dall’assessore regionale all’Agricoltura Fernanda Cecchini.
Che la ricostituzione di una cultura e di una società agricola sia la vita d’uscita per la fame nel mondo è stato il concetto espresso da Vittorio Rinaldi, antropologo con una lunga esperienza nella cooperazione internazionale. “Nella campagne si muore meglio che nelle città nonostante le gente non se ne stia passiva come la vediamo nelle foto denuncia ma si industri per uscire dall’indigenza. Le popolazioni affamate oggi si nascondono tra le pieghe dei Paesi in sviluppo, in India per esempio. I bambini di strada sono un portato della crisi rurale, che frantuma le famiglie e le obbliga a sopravvivere senza il supporto di un codice etico. Questo scenario induce il degrado morale ma è anche molto aperto alla trasformazione, alle novità”. Dopo Andrea Sisti che ha parlato del consumo consapevole, “Quanti gradi di separazione ci sono tra il cibo e la bocca?” si è chiesta la filosofa Brunella Antomarini, esaminando alcuni fenomeni naturali: dalla cellula che fagocita un’altra cellula, con un impulso predatore che è la prima forma di volontà, all’uomo. “L’evoluzione passa dal serpente, che si pensa bocca, alle posate, un prolungamento ideale della mano, che prende le distanze dalla bocca per marcare uno status e una lentezza, dovuta all’assenza della fame. La donna” ha concluso “è l’unico essere che si nutre ed è nutrimento, tanto che il bambino confonde tra seno e cibo. Poi il rapporto si aliena con la pubblicità che ci induce a comprare il cibo significhi appropriarsene mentre stiamo soltanto scappando dal luogo dove viene coltivato o cucinato”.
Nel corso della prima sessione ragazzi del quarto e del quinto ginnasio del Liceo Classico Plinio il Giovane hanno presentato un video dedicato ai mercatini agroalimentari, cosidetti “a chilometri zero”, a partire dall’esperienza che ogni martedì mattina in Piazza Gabriotti coinvolge produttori e coltivatori della zona. Il titolo del progetto, “Nella terra di Plinio”, sottolinea come l’Alto Tevere sia stato da sempre un territorio a vocazione rurale, fin dai tempi della grandissima tenuta agraria che il letterato romano possedeva a confine tra Città di Castello e San Giustino.
Il Festival ha proposto alcune riflessioni a partire dalla via umbra alla sopravvivenza: Ivo Picchiarelli, filosofo delle tradizioni popolari, ha spiegato come la quercia e il maiale abbiamo garantito l’approvvigionamento principale per tante generazioni. Da Plinio il Giovane e Columella, passando per le Tavole di Gubbio, le Storie di Sant’Antonio e di San Francesco, gli alberi di fondazione del paesaggio sono la quercia e l’ulivo, che può essere considerato una colonizzazione orientale, giunta in un secondo momento”. Dopo Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, e Eugenio del Toma, docente di Scienza dell'alimentazione, che ha parlato di razionalità alimentare, il Festival si è chiuso sulla lettura da parte dell’attore Jacopo Falchi, dello scritto “Il culto di Ana: moda ed emaciazione”.che Paolo Rossi, direttore scientifico della manifestazione, avrebbe dovuto presentare se non fosse stato fermato da un’indisposizione. “La via rappresentata dalla cultura, dalla scelta dell’ artificialità è, per definizione, rischiosa. I nostri più lontani progenitori scelsero di non adottare il cosiddetto, oggi di continuo invocato, principio di precauzione. Se lo avessero adottato saremmo ancora simili alle “scimmie” delle prime inquadrature di 2001 Avventura nello spazio”.
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