Fanno un deserto e lo chiamano pluralismo dell'informazione. La decisione di chiudere la contribuzione diretta ai giornali di partito, cooperativi e non profit a partire dal «31 dicembre 2014, con riferimento alla gestione 2013» è piombata come un fulmine (anche se non a ciel sereno) nelle redazioni. Che, dopo l'appello del presidente Napolitano, si aspettavano dal governo dei professori - diretta emanazione del Quirinale - ben altro trattamento. Tanto che da più parti si parla di uno sgarbo istituzionale nei confronti del capo dello Stato.

Chissà, forse è anche per questo (oltre che per le proteste) che il sottosegretario all'editoria, Carlo Malinconico, ieri ha voluto gettare un po' di acqua sul fuoco, mettendo l'accento sul fatto che «dal 2014 si prevede la cessazione di un certo sistema, non del fondo per l'editoria che continuerà. Saranno rivisti i criteri». «Vorrei rassicurare - ha aggiunto - Nella manovra si vogliono tutelare i giornali e il pluralismo». Ma, «in un momento in cui le risorse sono carenti va fatta una maggiore selezione. Purtroppo l'Europa ci chiede di essere oculati nella gestione delle risorse pubbliche» e di «amministrarle al meglio. Bisogna andare a trovare le risorse e procederò dopo aver sentito tutti perché tutti devono poter dare il loro apporto. Già venerdì incontrerò l'Fnsi».

Un'apertura e un segno di disponibilità, senza dubbio. Ma che nasconde un «trappolone», per dirla con Giuseppe Giulietti. Il 2014, infatti, è un traguardo lontano: in mezzo ci dovrebbe essere la riforma dei criteri e magari un nuovo governo. Soprattutto ci sono il 2012 e il 2013. Per il primo anno, il Fondo per l'editoria è già decurtato del 50%; per il secondo gli euro disponibili sono, allo stato attuale, zero. Dunque, osserva il deputato, «per paradosso il 2014 mi preoccupa meno». E sì perché, per allora, il problema sarà risolto (si fa per dire) per mancanza dell'oggetto: le aziende editoriali interessate ai finanziamenti avranno già chiuso baracca e burattini. A quel punto che cosa andrebbe a riformare il governo? Nel testo del decreto "salva Italia", infatti, si dice che a partire dal 2012 il governo rivedrà i criteri per l'assegnazione dei fondi con l'obiettivo di risanare e rendere più rigoroso l'accesso alle risorse e ottenere così risparmi da destinare «alla ristrutturazione delle aziende già destinatarie della contribuzione diretta, all'innovazione tecnologica del settore, a contenere l'aumento del costo delle materie prime, all'informatizzazione della rete distributiva».

Ma, appunto, «gli stessi riferimenti innovativi immaginati dall'articolo 29 non avrebbero senso in un deserto» chiosa Vincenzo Vita, senatore Pd. Anche per Giorgio Merlo (Pd), «i tagli all'editoria non possono trasformarsi in una sorta di "ammazza pluralismo", in particolare di tutte quelle testate locali, in prevalenza cattoliche ma anche laiche, che contribuiscono a creare occupazione. I sacrifici sono necessari - conclude Merlo - ma serebbe curioso se la linea del nuovo governo fosse la stessa espressa da sempre dalla Federazione degli editori, di cui l'attuale sottosegretario è stato sino a ieri presidente».

Insomma, se Malinconico vuole dare sostanza alle sue parole («tutelare i giornali e il pluralismo») deve metterci i soldi. Ora. Subito. Entro il 31 dicembre. A copertura delle spese già sostenute dalle imprese nel 2011. Dove reperire le risorse senza gravare sul bilancio pubblico? La Fnsi si incarica di fare l'elenco: cancellare i regali sulle frequenze tv, tassare la pubblicità televisiva, attingere agli utili delle fondazioni bancarie. E ancora, aggiunge Vita, «togliere dal fondo (collegandole in tabelle più consone) le risorse destinate alle Poste e alla Rai». Il sottosegretario dovrebbe, chiedono Mediacoop e FederCultura, «riscrivere il comma 3. Il Fondo era e deve restare destinato ai contributi diretti. Non nasce e non può diventare un fondo per correggere le distorsioni del mercato dell'editoria e dell'informazione».

E' soprattutto sullo scandalo delle frequenze tv che battono il chiodo Giulietti e Vita. Da un'asta fatta come si deve si potrebbero ricavare tra i due e i quattro miliardi «che dovrebbero servire in gran parte ad alleggerire la manovra sui ceti deboli e in modesta parte a rifinanziare il fondo per l'editoria, al quale servono non più di 150-170 milioni - ragiona Giulietti - E non mi si venga a dire che Super Mario, che in quattro e quattr'otto ha modificato le pensioni, non è in grado di revocare l'asta attuale con la scusa che non c'è tempo. L'unica ragione plausibile - afferma il parlamentare - è che si preferisce chiudere cento testate piuttosto che disturbare Berlusconi. E se anche fosse vero che non c'è tempo per revocare l'asta - insiste Giulietti - allora si può mettere una tassa di scopo triennale su coloro che prenderanno le frequenze gratis e con quei soldi finanziare l'editoria e il fondo cultura, cioè quei settori massacrati proprio dal conflitto d'interessi».

Per farla breve, tutte le carte sono sul tavolo. In queste ore alla Camera si stanno mettendo a punto gli emendamenti alla manovra (c'è tempo fino a domani) con l'obiettivo di trovare le risorse per rifinanziare il fondo editoria e bloccarne la chiusura nel 2014. Perché ci sia una chance, la proposta di modifica dovrà essere inclusa nel pacchetto che Pd-Pdl-Terzo Polo stanno concordando con Monti in vista del maxi emendamento sul quale il governo quasi certamente metterà la fiducia. «Nel mio intervento in aula - assicura Giulietti - solleverò la questione e regolerò il mio voto in base alle risposte. Proprio in caso di fiducia, il governo ha il dovere etico di dire cosa vuole fare».
Da parte nostra rinnoviamo la domanda: professore, sarà lei a chiuderci?

Fonte: Liberazione

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