di Vito Nocera.

Il giorno dopo, il sapore acre di un incendio che lascia solo macerie fumanti e paesaggi desolati.
Così tanti, uomini e donne, hanno sentito dentro una sconfitta che non e' solo - ne' tanto - elettorale ma quasi antropologica.

Come se non ci si sentisse piu' se stessi, come un grande popolo decimato, la sua storia, la sua tradizione, cacciato dal proprio territorio.

Se non si capisce questo, questa interrogazione stringente su se stessi, non si capisce niente di quello che e' successo.

Tattiche istituzionali, lotte di leadership, contese politiciste, danno il segno di una poverta' arida di idee, una miseria culturale e politica non estranea all'aspra condizione che ci e' toccata in sorte.

Siamo stati un " popolo" non solo un partito. Un modo di stare al mondo. Comunisti e socialisti, extraparlamentari e movimentisti, togliattiani o sociademocratici, comunque accomunati - nella differenza di culture politiche e di tattiche - da quell'imperioso desiderio di introdurre nel consesso umano diritti piu' larghi di quelli naturali, dare all'umanita' un compito storico piu' grande della sua condizione in fondo fragile e transeunte.

E questo sogno, diventato nel tempo un progetto vero , ha edificato per decenni strutture e istituzioni, luoghi di incontro e alfabetizzazione intellettuale e politica di massa.

Per carita' limiti ed errori tanti ma sempre restava la nobilta' del tentativo. E la sua efficacia civile che metteva nel circuito della democrazia anche le spinte sociali piu' sofferenti e rozze. Dava ad esse speranza di civilizzazione, di conquista, perfino al di la' del puro aspetto materiale , di dignita' e valore.

Si e' stratificato così il Movimento Operaio classico, costruttore della modernita' e protagonista della Storia. Le sue filosofie, le sue culture, le sue letterature.

E chi come me ha superato i sessanta ebbe il privilegio grande di stare sull'onda di quella storia nei propri anni piu' belli. Non solo i grandi partiti e movimenti ma il mondo intorno a spingere la nostra felicita' e passione.

Julian Beck e Judith Malina a sperimentare col Living la decostruzione del vecchio teatro, Pietro Manzoni a provocare con la sua " merda d'artista ", mentre John Lennon intonava Imagine e un pugile nero squassava il conformismo militarista dell'America.

Perfino gli avversari cattolico - democratici nobilitarono le nostre lotte e battaglie. Fanfani, Moro, Papa Montini. E quel Giovanneo Concilio Vaticano secondo che sconvolse il mondo cristiano, lo avvicinò a sinistra.

Proprio qualche giorno fa abbiamo pianto sulla bara di Domenico Iervolino, uno tra i piu' grandi e colti cattolici del dissenso che sulla spinta conciliare approdarono a sinistra.

Non e' uno scranno elettorale o un decimale di punto che scompare ma tutto questo, tutto un mondo, la nostra vita.

E non c'entrano i 5 stelle ne' la Lega e Salvini. Loro qui da noi occupano un vuoto, che ormai c'era da tempo.

A metterci fuori gioco e' il cambio d'epoca, mai così intenso e profondo prima. Un tempo le comunita' umane ai cambiamenti, e ai traumi conseguenti, trovavano sempre le energie e le scelte per andare avanti, aprire nuovi orizzonti.

Di questo cambio d'epoca odierno il globo, almeno la sua parte storicamente piu' ricca, sembra trarre solo difficolta' e disagio.

Per questo sbotta in quel modo il Nord del Paese nostro , e il Sud nella maniera che sembra quasi opposta.Uguali e contrari. Senza piu' equilibrio sociale.

E' la solitudine, privi tutti di luoghi, di appartenenze, di corpi di intermediazione, di speranze comuni. In ultima analisi privi di fede

Ora certo riprendiamo a riflettere. Ma , spero, senza quel chiacchiericcio inutile, sul pelo d'acqua, che ci caratterizza da anni.

Dovremo chiederci non solo perche' non sappiamo e non possiamo piu' rappresentare tanti ceti che pure vivono disagi. Ma anche se abbiamo ancora voglia di rappresentarli, se non ci sia dentro di noi come un sentimento di declino, di congedo , di cupio dissolvi.
Di fronte alle tante repliche crudeli della storia.

Quando, nei mesi scorsi , i marittimi della mia citta' fecero pullman e andarono a Roma per chiedere di non imbarcare piu' lavoratori stranieri su navi italiane , avvertii un senso di stanca e desolata impotenza. Compresi che chi, con loro, saliva in quei pullman li avrebbe poi rappresentati, ma che - su quei pullman - io non potevo salirci, non con quell' obiettivo.

Per loro giusto, forse oggettivamente legittimo, ma per me , per la mia coscienza, storia, antropologia, impossibile.

Se non ci interroghiano così, dolorosamente alla radice, sui nodi profondi, replicheremo solo gli spettacoli miseri e anche a volte un po' ridicoli degli ultimi anni.

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