Al referendum del 12 e 13 giugno 2011, 26 milioni di cittadini italiani sancirono che sull’acqua non si sarebbe potuto più fare profitto. E con quel “Sì” tracciato sulla scheda -si trattava del secondo di quattro quesiti su servizio idrico, nucleare e legittimo impedimento- decisero di abrogare (parzialmente) una norma relativa alla tariffa dell’acqua che prevedeva l’“adeguata remunerazione del capitale investito”. Il referendum sull'acqua passò con il 96% dei consensi, una decisione quasi unanime dei cittadini, adesso il governo Draghi affossa definitivamente quella decisione popolare e lo fa inserendolo nel ddl concorrenza.
Nei precedenti 10 anni, i vari governi e chi voleva lucrare sul servizio idrico, hanno tentato continuamente di boicottare l'esito di questo referendum, spesso riuscendoci, ma adesso con questa nuova decisione, il volere popolare sarà definitivamente cancellato a favore delle speculazioni degli industriali che vorranno fare profitto anche su un bene di importanza vitale come l'acqua.
Togliere il passaggio “adeguata remunerazione del capitale investito” dal referendum, comportava niente più margini, finanza speculativa o business, semmai un servizio efficiente a fronte di investimenti sulla rete tangibili, ad esempio per ridurre le perdite. In forza del fatto che “il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici” -come sancito dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 26 luglio 2010- è “un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”. 
L'acqua quindi non sarà più un bene pubblico e primario per il popolo ma diverrà un altro settore qualsiasi su cui Confindustria e i grandi industriali anche multinazionali potranno iniziare a lucrare come e quanto vorranno, andando a peggiorare il servizio e aumentando i costi al cittadino, il tutto, in nome del profitto.
 

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