A Perugia un duplice femminicidio viene narrato come l'ennesima strage familiare. Ancora una volta la narrazione della violenza non è corretta: la cronaca, non solo umbra, parla di tre persone morte, di omicidio-suicidio, ma stenta ad utilizzare il termine femminicidio.

Qualora fossero confermate le ricostruzioni che stanno emergendo, saremmo di fronte ad un uomo che imbraccia il fucile e uccide moglie e figlia, prima di suicidarsi. Un padre-marito che decide di togliere la vita a due donne, che avrebbe dovuto amare, stabilendo che la loro vita non valeva la pena di essere vissuta, senza dar loro alcuna scelta, e scrivendo così la fine non solo per se stesso, ma anche per loro.

Siamo stanche di ripetere che non è la depressione, non sono i disturbi psichiatrici o gli abusi di alcol o sostanze a rendere gli uomini violenti. Concentrarsi sulle condizioni individuali, personali, specifiche del singolo caso, serve solo a spostare l'attenzione da un problema che è invece sociale e culturale e riguarda tutte e tutti noi. A ciò si aggiunga che la disponibilità di armi da fuoco nelle mani sbagliate può risultare, come in questo caso, letale. La violenza si nutre di stereotipi e linguaggi e quello utilizzato dalla stampa non rispetta le donne che muoiono per mano dei loro partner, mariti, figli, padri.

Ogni volta che si qualificano fatti con termini inesatti si toglie peso e valore ai fatti stessi, minimizzando e "normalizzando" anche crimini di evidente matrice patriarcale, come è nella tradizione dell'omicidio-suicidio, dove le vittime, in questo caso ben due, sono state uccise in quanto donne. O forse è troppo duro immaginare come reale un delitto così efferato consumato tra le mura domestiche, in una casa piccolo-borghese, senza il paravento facile della classe sociale, della provenienza geografica, della cultura, dell'alcol, della droga?

L'assassino ha le chiavi di casa, l'assassino vive in casa. La famiglia è troppo spesso il luogo in cui si consumano i reati più gravi, tra cui il femminicidio. Rendiamo giustizia alle donne che non hanno più parola.

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