Il disastro criminale dei Cie, ma il governo balbetta
Un testo di 19 pagine, corposo e denso, approntato con un lavoro collettivo dagli avvocati Alessandra Ballerini, Michele Passione e dal professor Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università di Palermo. Un esposto denuncia inviato al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, al Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio di Europa (CPT), all’UNHCHR e alla Commissione dell’Unione Europea.
Il testo (fatto proprio dall’Asgi e dalla campagna LasciateCIEntrare, è scaricabile dal sito www.lasciatecientrare.it e può essere inviato da ogni soggetto, individuale o collettivo, in tal caso vale il rappresentante legale) chiarisce sin dall’incipit le proprie intenzioni: «Il/la sottoscritta……………. impegnato/a nella difesa dei diritti dei migranti espone quanto segue in particolare nell'interesse dei cittadini stranieri, attualmente trattenuti presso il Centro di soccorso e prima accoglienza (CSPA) di Contrada Imbriacola a Lampedusa, cittadini eritrei e siriani rispettivamente approdati sull'isola il 3.10.2013 e l'11.10.2013 e da allora illegittimamente privati della libertà personale senza notifica di alcun provvedimento di trattenimento né convalida giudiziaria. Tra di loro vi sono alcuni dei superstiti della strage del 3 ottobre scorso. I suddetti migranti sono detenuti nel centro di Contrada Imbriacola – ufficialmente preposto al soccorso ed alla mera accoglienza e non alla detenzione amministrativa - in condizioni disumane e degradanti, come peraltro testimoniato dal video (http://www.liberazione.it/MultimediaPanelVideo.aspx) andato in onda sulla televisione di Stato Italiana».
I 17 ancora trattenuti a Lampedusa, fra cui una donna in grave stato depressivo, risultano testimoni di giustizia, ma non ne è stato ancora disposto il trasferimento in un luogo che non li veda privati della libertà personale né sottoposti alla stessa autorità dei gestori del centro denunciati. L’esposto, già sottoscritto e che sarà inviato anche dal Prc nei prossimi giorni, ricostruisce in maniera certosina la miriade di violazioni di cui il governo italiano si sarebbe reso responsabile nei confronti dei trattenuti e racconta l’evolversi negli anni della situazione a Lampedusa. Ma non solo. I legali che lo hanno sapientemente realizzato intendono farne un testo base attraverso cui esplicare denunce verso gli organismi europei preposti negli infiniti casi di violazione delle già restrittive norme nazionali e comunitarie.
Può valere per il CARA di Mineo, provincia di Catania, dove 4000 persone sono ristrette in uno spazio che ne può tenere la metà, dove sono stati denunciati casi di prostituzione minorile delle trattenute, dove pochi giorni fa, un ragazzo eritreo di 21 anni si è tolto la vita, stanco dei 7 mesi di inutile attesa per una risposta alla propria richiesta di asilo. A Mineo ci sono persone ferme da oltre 18 mesi. E restando sempre in Sicilia, vicende simili riguardano il CARA di Caltanissetta, a cui è adiacente un CIE e nei cui pressi sorgono baraccopoli simbolo del fallimento di questa gestione della “cosiddetta accoglienza”. E riguarda la tendopoli del campo da baseball di Messina, che finalmente ora, dopo le piogge e l’allagamento dovrebbe essere sgomberato; 200 persone tenute in condizioni miserevoli e inumane.
Uscendo dalla Sicilia e risalendo per la penisola, come non pensare alle rivolte scoppiate al CIE di Bari, dove sembrano siano reclusi cittadini siriani, provenienti dalla Sicilia, normalmente ammessi alle procedure di asilo. Trattamento disumano e degradante che riguarda l’intero sistema dei CIE e gran parte dei CARA, in condizioni diverse e per ragioni diverse, ovviamente, ma comunque situazioni illegali. Le mobilitazioni di questi giorni natalizi hanno permesso di far conoscere meglio quanto già era noto a molti. L’azione del parlamentare del Pd Khalid Chaouki a Lampedusa ha permesso di migliorare le condizioni di circa 200 persone altrimenti dimenticate; le visite al CIE romano di Ponte Galeria hanno permesso di interrompere, anche se solo momentaneamente, la rivolta delle bocche cucite, ma quelle immagini hanno fatto irruzione nei canali televisivi.
La politica italiana presente in parlamento balbetta, si contraddice, attende, cerca di rimandare decisioni urgenti. Ci sono scontri feroci nella maggioranza, il vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico parla di drastica riduzione dei tempi di trattenimento nei centri e di revisione del sistema; il suo capo, Angelino Alfano, afferma al contrario che «la Bossi-Fini non si tocca». C’è chi sta operando in parlamento per la definizione di una legge quadro sul diritto di asilo (la si attende dagli anni Cinquanta) e chi contemporaneamente vorrebbe rendere più difficili le pratiche per ottenere protezione umanitaria. Il governo aveva recentemente aumentato il numero di posti disponibili per il sistema SPRAR (sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati), che permette di “spalmare” fra i Comuni oneri e risorse per l’accoglienza e dal Viminale si definisce la realizzazione di cosiddetti “hub”, centri di smistamento per richiedenti asilo da chiudere in caserme in dismisssione o altre strutture. Uno di questi a S.Giugliano di Puglie, in Molise, potrebbe ospitare 800 persone. Peccato che il paese vicino sia di 1200 abitanti.
Stante la confusione imperante e la non volontà di segnare una rottura col passato dei pacchetti sicurezza e delle strutture inutili, cattive e costose, sembrano inevitabili gli appelli agli organismi europei in condizione di vigilare sul rispetto delle direttive ratificate anche dall’Italia. A breve dovrebbe giungere il responso in merito alle modalità con cui l’allora governo Berlusconi (2011) ratificò la direttiva 115/2008, detta anche “direttiva rimpatri” che definisce soltanto come extrema ratio la possibilità di trattenere e solo per il tempo strettamente necessario, persone destinate all’espulsione, al contrario di quanto accade in Italia, dove invece i tempi lunghi sono la norma.
L’anno si chiude con un CIE chiuso forse definitivamente, quello di Modena, come si apprende da decreto ministeriale del 23/12 e con il quattordicesimo anniversario della strage del Serraino Vulpitta, il CIE (allora CPT) di Trapani. Sei ragazzi morti arsi vivi, Rabah, Nashreddine, Jamal, Ramsi, Lofti e Nasim, i loro nomi. Allora al governo c’era il centrosinistra e quei centri li aveva fortemente voluti colui che ancora siede al Quirinale.
Stefano Galieni
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