Cultura, cuore e motore della ripresa. Documento programmatico

DOCUMENTO PROGRAMMATICO DEL DIPARTIMENTO CULTURA ARTICOLO UNO

L’emergenza legata alla diffusione del Covid 19 ha messo in ginocchio il mondo della cultura italiana. La chiusura di musei e teatri, la cancellazione di concerti ed eventi pubblici, l’improvviso arresto del circuito del turismo e le disposizioni sul distanziamento fisico hanno comportato per molti lavoratori e professionisti del settore culturale l’impossibilità di esercitare la loro attività. Musicisti, attori, scenografi, danzatori, guide turistiche, tecnici del suono, macchinisti e decine di altre categorie professionali hanno subito una drastica diminuzione, quando non un totale azzeramento, del proprio reddito. L’intero comparto, che si stima occupi più di un milione e mezzo di persone e produca circa 100 miliardi di euro di fatturato ogni anno, è stato il primo ad andare in crisi e sarà, presumibilmente, l’ultimo a vederne la fine.

L’emergenza si è innestata su uno stato di crisi che già da tempo ha colpito il mondo della cultura italiana in tutte le sue sfaccettature, sia nel settore pubblico sia in quello privato. Il progressivo arretramento dello Stato dai suoi compiti di tutela, valorizzazione e promozione della cultura, sanciti dall’articolo 9 della nostra Costituzione, ha provocato un abbandono pressoché totale di ogni velleità di una politica culturale degna di tal nome. L’illusione neoliberista che ha dominato gli ultimi decenni ha portato a sacrificare il valore civile della cultura sull’altare del mercato, tagliando fondi ed esternalizzando competenze. In tal modo si è arrivati a svilire la professionalità e i diritti di artisti, operatori culturali e dello spettacolo, concentrandosi in larga misura su ciò che era grande, noto, mainstream e quindi immediatamente commercializzabile. Inoltre lavoratori e professionisti autonomi dello spettacolo dal vivo sono  stati e sono spesso vittima di richieste di prestazioni gratuite, sottopagate o in nero, di promesse di lavoro differito a fronte di quella ipocrita e insensata panacea chiamata “visibilità”. Infine anche il mercato digitale, che è stato naturale via d’uscita in epoca di lockdown, è soggetto alla dilagante speculazione sul lavoro creativo che viene estremizzata dalla condotta delle multinazionali del web attraverso retribuzioni irrisorie agli artisti quando addirittura al non riconoscimento del diritto d’autore, nonostante che maggiori utenti e maggior traffico prodotto dal consumo culturale abbiano rappresentato conseguentemente maggiori introiti per le piattaforme.

La crisi attuale ha mostrato nuovamente, ove mai ve ne fosse bisogno, l’insostenibilità, l’inefficacia e l’ingiustizia di una tale impostazione. Si sono dunque levati in questi settimane appelli nel mondo della cultura affinché si ripartisse il prima possibile. Il prima possibile, ma non come prima: le opportunità aperte da questa crisi devono essere colte nel senso di un cambiamento radicale di rotta e di prospettiva; affinché il ripensamento necessario del nostro stare insieme collettivo inizi da ciò che di tale stare insieme è cemento, radice e linfa, ovverosia dal nostro patrimonio culturale condiviso. Si avverte la consapevolezza diffusa che la ricostruzione non possa essere, solo, questione di bilanci, ma che sia necessaria una grande operazione intellettuale di rifondazione di un pensiero e di una pratica culturale.

Perché ciò sia possibile è necessario che, come in molti altri ambiti del nostro agire comune, lo Stato riprenda il ruolo che ha abbandonato. Lo richiede la nostra Costituzione; lo richiede chi nelle biblioteche e nei musei, negli archivi e nei siti archeologici, nelle sale cinematografiche, negli atelier, nei teatri e nei conservatori, negli auditorium, nei centri sociali e ricreativi e nel mondo dell’associazionismo culturale vive e lavora ogni giorno per creare, valorizzare e prendersi cura del nostro sapere e della nostra identità collettiva; e lo richiede da ultimo la situazione peculiare e forse irripetibile che avremo di fronte nelle prossime settimane. L’esito positivo della trattativa sui fondi messi in campo dall’Unione Europea ci pone davanti a una grande possibilità e a una ineludibile necessità: la possibilità di attingere a contributi che permetteranno davvero di rimodellare strutturalmente molti ambiti del nostro Paese; e la necessità di farlo secondo un piano specifico, che ne illustri in maniera coerente visione, obiettivi, tempi, risorse e finalità.

Mentre anche in altri settori del lavoro (tanto nella produzione quanto nei servizi) si affacciano proposte neo-padronali e si ripropongono ricette obsolete e pericolose, noi riteniamo che tale piano debba essere innovativo e coraggioso e debba avere come componente essenziale un ripensamento e un rilancio vero del mondo culturale italiano, che veda nella tutela e valorizzazione del Patrimonio culturale, nell’educazione, nella ricerca e nella produzione di contenuti culturali i suoi assi portanti. Perché la cultura, l’educazione e l’arte sono essenziali per lo sviluppo individuale, per la possibilità di intessere relazioni significative, per la capacità di partecipare consapevolmente alla vita collettiva e di creare valori condivisi. Perché l’Italia è, per tradizione e capacità, uno dei fari mondiali della cultura mondiale; e perché tale ruolo, se ben inteso e valorizzato, può costituire un volano eccezionale per lo sviluppo sociale, civile ed economico del nostro Paese.

Il presente documento, redatto dal Dipartimento Cultura di Articolo Uno, vuole offrire alle istituzioni e al dibattito pubblico alcuni spunti di riflessione ed alcune proposte di azione per affrontare la crisi di oggi e per iniziare a pianificare il domani.

 

MISURE STRAORDINARIE

Affrontare l’emergenza comune

Affinché i lavoratori del comparto cultura possano superare la situazione drammatica generata dalla crisi del Covid 19, occorrono misure immediate ed efficaci. Una parte di esse è già compresa, in parte o in tutto, nell’azione del governo. Ci limitiamo qui a indicare e ricapitolare alcuni dei provvedimenti più urgenti e trasversali, tralasciando volutamente le richieste specifiche di ogni settore che andranno tuttavia a loro volta prese in seria considerazione. Appare quindi nell’immediato di particolare importanza:

prevedere, sulla scia di quanto finora fatto a livello generale, forme di sostegno al reddito che accompagnino i professionisti della cultura almeno per tutto il 2020 e comunque fino alla fine della crisi del comparto;
confermare e allargare lo sforzo di protezione economica a quelle categorie di lavoratori culturali che, per le loro peculiarità, sono finora rimaste parzialmente escluse dai sussidi (lavoratori a contratto, intermittenti, artisti solisti e gruppi, liberi professionisti);
convocare con urgenza un tavolo tecnico nazionale con i rappresentanti di tutti i settori coinvolti al fine di stabilire tempi, modalità e criteri per una rapida e sicura riapertura di tutti gli spazi ed i luoghi della cultura, superando la fase di emergenza Covid 19;
dotare gli Enti Locali dei fondi necessari all’organizzazione di spettacoli ed eventi culturali;
creare una piattaforma digitale per la diffusione in streaming di opere, concerti, performance e contenuti audiovideo per la circuitazione di produzioni nazionali che permetta agli artisti italiani di ristabilire una corretta retribuzione relativa alla vendita e agli introiti dai diritti;
finanziare immediatamente gli spettacoli dal vivo, le mostre e gli eventi già in calendario ed erogare prontamente gli anticipi sui fondi per il 2020, come ad esempio il FUS;
istituire formalmente uno o più Albi degli operatori culturali e dello spettacolo, regolati da statuti che indichino i requisiti, differenziati per settore, necessari all’accesso;
rimandare di un anno le scadenze fiscali degli operatori del settore in comprovata difficoltà e prevedere forme di rateizzazione degli importi dovuti;
confermare ed estendere per tutti i teatri, i cinema, le associazioni e le fondazioni culturali un credito di imposta per gli affitti degli immobili, l’esenzione Irap per le imprese che hanno subito danni significativi e contributi a fondo perduto per l’adeguamento degli spazi e per l’acquisto di dispositivi e apparecchiature per ridurre la diffusione del virus Covid 19.

 

MISURE ORDINARIE

Progettare il futuro

Accanto a queste misure di carattere emergenziale è necessario mettere mano a un profondo ripensamento del ruolo dello Stato nella gestione, nella tutela e nella promozione delle attività culturali.

Il processo di de-responsabilizzazione del pubblico a favore del privato è ormai storia acclarata. Secondo i dati Ocse relativi al 2015, l’Italia è ormai tra i Paesi UE stabilmente in fondo alla classifica di finanziamenti pubblici per l’istruzione e la formazione con il 4% del Pil (media europea 4,9%) e per la cultura con lo 0,7% (media europea 1,1%). Un dato che stride soprattutto in considerazione del patrimonio artistico e culturale di cui dispone l’Italia. Un panorama desolante che ha trasformato e impoverito drammaticamente la nostra società e che dimostra come la politica culturale sia stata gravemente penalizzata dai vari governi che si sono succeduti. È necessario approfittare di questo momento per cambiare passo, attuando una serie di riforme profonde che siano in grado di mutare radicalmente il quadro degli ultimi decenni.

BENI CULTURALI

Ripensare il sistema dei Beni culturali

È indispensabile mutare il paradigma culturale che ha dominato le scelte politiche relative al nostro Patrimonio Culturale nell’ultimo trentennio. L’idea che il Patrimonio sia solamente una merce, una risorsa da sfruttare e che tale sfruttamento debba attuarsi prevalentemente attraverso logiche di mercato ha mostrato tutti i suoi limiti. Il quadro attuale mostra ovunque situazioni di abbandono, di assenza di regole, di mancanza di diritti e tutele, in un contesto generale di privatizzazione degli utili legati alla gestione e alla valorizzazione dei Beni e di socializzazione delle perdite legate alla loro tutela. Occorre perciò prima di tutto abbandonare questa visione e ricominciare a ripensare il Patrimonio come eredità di cui prendersi cura, come sostrato vivificante della produzione culturale contemporanea, come tessuto connettivo e identitario della società e come mezzo per la creazione di una cittadinanza consapevole.

Perché ciò sia possibile, occorre che lo Stato si doti dei mezzi e delle risorse necessarie per fare fronte a questa sfida. Non contro il privato, ma coinvolgendo imprenditori e professionisti in un nuovo grande piano per la salvaguardia e la valorizzazione del Patrimonio. A tal fine occorrerà:

creare un grande fondo per la cultura, finanziato principalmente da denaro pubblico ma aperto a modelli sostenibili di collaborazione col privato e a forme di mecenatismo;
come proposto dalla rete “Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali”, creare un Piano Culturale Nazionale di coordinamento dei diversi Enti culturali, sia quelli pubblici sia quelli privati che usufruiscono di fondi pubblici, che stabilisca gli standard minimi relativi alla tutela dei Beni, alla qualità dei servizi offerti, alla fruibilità rispetto alle comunità di afferenza, alle professionalità impiegate, agli standard occupazionali e ai diritti dei lavoratori e si impegni a garantire i fondi necessari al rispetto di tali standard;
dotare il MIBACT, gli Enti Locali e gli enti culturali pubblici delle competenze necessarie ad affrontare le sfide che ci attendono: tutela, valorizzazione digitalizzazione ed utilizzo dei nuovi media, internazionalizzazione, con l’assunzione di personale qualificato attraverso concorsi pubblici ordinari. Valutare l’opportunità di re-internalizzare alcuni servizi affidati in passato a privati, cooperative e società in house (bigliettazione, accoglienza, didattica, editoria, allestimento mostre) laddove questo possa generare valore aggiunto in termini economici e sociali per la cittadinanza;
rimettere al centro il patrimonio diffuso, con particolare attenzione alle aree interne e alle piccole realtà. La ricchezza insostituibile dell’Italia risiede nella capillarità e nella varietà del patrimonio diffuso che è cemento della nostra identità e deve essere alimento del nostro vivere comune, e che come tale va tutelato;
aprire il Patrimonio al mondo dell’arte e della cultura contemporanea, attraverso la concessione di spazi, l’organizzazione di mostre, concerti e performance, l’acquisto di opere (come previsto nel 2017 dalle linee guida per l’applicazione legge 717/1949), valorizzando il ruolo vivificante e propulsivo della produzione artistica;
dotare gli Enti culturali delle risorse umane e materiali per tornare ad essere centri di ricerca funzionanti, capaci di produrre stabilmente cultura e non solo di ospitare opere d’arte e oggetti di valore.

 

Regolamentare il volontariato

Occorre integrare con maggiore trasparenza quelle attività di volontariato che troppo spesso in ambito culturale hanno affiancato quelle professionali. Nell’ultimo decennio, infatti, una concezione distorta – complice la mancanza di fondi pubblici, la crisi del settore privato e regole di mercato sempre più competitive – ed un utilizzo generalizzato ha messo questa opera in rotta di collisione con la sussistenza di molte figure professionali e artistiche. Di fatto il ricorso al volontariato è valso per molti Enti quale strumento per operare risparmi e non valorizzare le figure professionali già presenti.

Questo processo ha quindi reso ancora più deboli i diritti e le tutele delle professionalità specializzate togliendo oltretutto valore alle competenze, causando uno scadimento del lavoro creativo ed intellettuale e un declino degli standard qualitativi della produzione culturale.

Senza voler demonizzare il volontariato, quindi, è necessario vigilare affinché esso non venga mai utilizzato per sostituire il lavoro previsto e contrattualmente retribuito, per abbassare gli standard di qualità dell’offerta culturale e per minacciare o indebolire i diritti dei lavoratori.

Il Codice del Terzo Settore (117/2017) e la recente sentenza della Corte Costituzionale (131/2000), che si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della co-programmazione, dell’accreditamento e convenzionamento con gli Enti del Terzo settore in relazione a una vasta gamma di attività culturali, consentirebbero di procedere a una vera e propria rivoluzione che consenta ai soggetti pubblici e a quelli del privato sociale di agire in forma integrata e cooperativa.

Quel che è certo, in ogni caso, è che l’obiettivo deve essere la modifica della legge Ronchey del 1993 e il Codice dei Beni Culturali in maniera tale da vietare l’utilizzo del volontariato come sostituzione del lavoro regolarmente retribuito dei professionisti, lasciando ai volontari la possibilità di coadiuvare il personale regolarmente assunto e sempre in maniera numericamente proporzionale, valorizzandone la capacità di advocacy e relazionale; vietare l’impiego dei volontari in attività riguardanti la conservazione, la promozione, la valorizzazione, la catalogazione, lo studio e l’inventariazione del patrimonio culturale, archivistico e librario, nonché in attività educative e artistiche (eccezion fatta per gli interventi legati a studi, approfondimenti o stage di studenti e universitari, regolati da apposite convenzioni).

 

PRODUZIONE E LAVORO CULTURALE, ARTISTICO E CREATIVO

Creare un ponte tra scuola e produzione culturale

Le istituzioni scolastiche possono oggi essere il volano della produzione culturale, attraverso la creazione di un circuito di distribuzione artistica, alternativa a quella tradizionale negli spazi interni agli istituti (sale teatro e cinema, auditorium, aule magne). Immaginiamo un grande progetto di pedagogia pubblica e riorganizzazione culturale che parta dalle scuole e dalle Università come polo culturale e volano produttivo. Un processo che già avviene parzialmente con alcune esperienze di programmazione musicale o cinematografica all’interno del polo museale nazionale.

Una maggiore interazione tra produzione culturale e scuola può inoltre generare un circuito compatibile a integrare in ambito didattico la circolazione di opere di interesse culturale e realtà artistiche nazionali che faticano a trovare una distribuzione nei tradizionali canali commerciali dell’industria dello spettacolo. La scuola inoltre può favorire, nell’ambito della programmazione formativa extracurricolare, la valorizzazione e il ricollocamento di figure professionali attualmente in sofferenza o non ancora radicate nella realizzazione di progetti di edutainment che coniughino le nuove arti digitali con la conoscenza del patrimonio artistico e dei beni culturali presenti nel territorio.

Inoltre, la scuola può avere un ruolo eccezionale anche nella rinascita e nella ripartenza dei musei e dei siti archeologici italiani, soprattutto di quelli più distanti dal circuito turistico tradizionale. Si dovrebbe immaginare un nuovo rapporto tra istituzioni culturali e scolastiche, aprendo stabilmente gli spazi museali ai bambini e ai ragazzi e tenendo in questi spazi lezioni di storia dell’arte, storia, geografia, italiano, tecnologia. Una riappropriazione popolare degli spazi culturali che, se attuata in maniera compatibile con le esigenza degli insegnanti, delle famiglie e del personale museale, potrebbe generare un enorme valore sociale e offrire ai siti culturali un’alternativa al solo circuito turistico.

 

Creazione diffusa di Case della cultura

L’amministrazione pubblica deve tornare a farsi carico di una politica culturale in grado di offrire spazi, fondi e programmi per supportare e ripristinare una visione sociale della cultura come bene pubblico e declinato in tutte le sue forme: dall’arte alla ricerca, dall’istruzione all’informazione. Un processo che può essere attivato anche a livello locale con la creazione di spazi dedicati alla circolazione delle culture e delle espressioni artistiche. Casa della cultura intese come luogo d’incontro aperto alla realizzazione e alla diffusione di progetti, idee e iniziative delle realtà culturali, artistiche e associative presenti nel territorio, da istituire in maniera decentrata e valorizzando le istanze di auto-organizzazione delle realtà sociali già attive.

 

Applicazione della direttiva europea sul copyright

Come l’acceso dibattito sulla direttiva europea sul copyright ha ampiamente dimostrato, occorre fare chiarezza sul rapporto molto conflittuale tra diritto d’autore e web. Le normative vigenti sono spesso state superate dalla veloce evoluzione del mercato favorito dalle nuove tecnologie. E’ un fatto assodato che l’attività professionale degli autori e della piccola e media editoria, nell’accezione più generale del termine (dalla musica alla carta stampata), sia stata fortemente penalizzata dall’avvento del web. Un intero comparto si è dissolto nel giro di un decennio (negozi, edicole, cinema, case editrici, testate giornalistiche fino ad arrivare agli studi cinematografici e musicali, attività professionali legate alla riproduzione e stampa). Il passaggio storico dal mercato tradizionale a quello digitale, che pure ha avuto esiti positivi in altri settori lavorativi, per molti motivi non ha dato gli effetti sperati in ambito culturale. In prima istanza perché, sottovalutando la crescita esponenziale del mercato digitale, l’istituto giuridico del diritto d’autore non è stato applicato sistematicamente nel web. Da tempo infatti il copyright viene percepito come una sorta di imposta tributaria e non per quello che invece effettivamente è, cioè il riconoscimento remunerativo del lavoro dell’autore di un’opera. L’applicazione su larga scala di questa errata convinzione ha prodotto l’opinione che, essendo una tassa, potesse essere abrogata. Inoltre la conseguente abitudine ormai consolidata da parte degli utenti di scaricare gratuitamente e illegalmente contenuti artistici nella cosiddetta forma liquida (files di film, musica) ha fatto mancare ad autori ed editori quei proventi che ne garantiscono la sussistenza. La svalutazione del lavoro artistico e intellettuale ha infine progressivamente consegnato ai colossi del web (Google, Spotify, Youtube) la gestione e il monopolio del mercato dell’editoria mondiale a condizioni commerciali molto più che vantaggiose. Uniformare e declinare la regolamentazione dei mercati tradizionale e digitale, in particolare nell’applicazione del diritto d’autore, è una necessità improrogabile per la produzione culturale e intellettuale e per la salvaguardia delle professioni creative.

Un’applicazione attenta ed equa di questo principio non può essere strumentalmente considerato come una limitazione della libertà di informazione ma è un diritto riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che, all’art. 27, comma 2, riconosce il valore supremo dello sforzo dell’ingegno umano, con le seguenti parole: “Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore”.

 

Bandi, Web Tax e Fondi europei

Un programma di politica culturale fondato su basi credibili non può che partire dalla constatazione che gli investimenti sulla cultura in rapporto alla spesa pubblica devono perlomeno corrispondere alla media europea. L’istituzione di un Fondo per la Cultura adeguatamente finanziato è quindi una priorità e ad esso si dovrebbe destinare anche una quota degli incassi provenienti dalla Web Tax. Inoltre una maggiore chiarezza e trasparenza nelle modalità, criteri e procedure dei bandi rivolti alla concessione di contributi pubblici per la cultura, con un servizio di tutoring vicino ai modelli di altri paesi UE, sarebbe un’iniziativa che andrebbe a sanare un ritardo nello sviluppo e nella circolazione di nuove progettualità: dal sostegno alle opere prime e alla ricerca, dalle produzioni artistiche per la didattica ai lavori multimediali.

La cultura non rientra nelle competenze esclusive dell’UE perché la legislazione relativa al patrimonio culturale è di competenza dei singoli Stati. Ciò nonostante, attraverso programmi quadro come Europa Creativa, il sostegno alla cultura è stato incrementato con uno stanziamento previsto di 1,85 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Anche in questo caso in Italia, nonostante  che Europa Creativa abbia da tempo favorito una serie di incontri periodici su temi specifici aperti a tutti gli operatori, la difficoltà nella gestione delle domande ha contribuito spesso a rendere inutilizzati i fondi culturali.

 

Valorizzare l’innovazione tecnologica, la produzione creativa e le opere inedite

Investire nel comparto dell’impresa culturale creativa sarebbe un importante segnale di avanzamento di pensiero per quello che da decenni è ormai un gap culturale e conseguentemente economico nonostante la legge sul riconoscimento delle imprese culturali e creative. Da decenni si è fermata la “produzione di opere inedite” fraintendendola con la “ri-produzione” di opere di repertorio esistenti. Al contrario, importiamo annualmente, ad esempio, diritti di musical al punto tale che i creativi italiani si cimentano in operazioni ispirate alla cultura anglosassone ma quasi niente viene esportato.

È inoltre indispensabile valorizzare la ricerca e la sperimentazione attraverso nuove forme e mezzi alimentando l’innovazione tecnologica in campo culturale e supportando sia la digitalizzazione del nostro patrimonio sia le produzioni multimediali didattiche e artistiche.

 

Questo documento, elaborato dal dipartimento Cultura di Articolo Uno, si propone come contributo alla sinistra e all’azione del Governo, per il presente e il futuro del nostro Paese.

Vorremmo che esso fungesse da stimolo a una discussione più ampia promossa nei nostri territori e coinvolgendo il maggior numero e la maggiore qualità degli interlocutori possibili, dai creatori di cultura ai fruitori che costituiscono, insieme, il patrimonio più grande di cui il nostro Paese può disporre.

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