da "Cronache Ribelli".

Oggi inizieranno i mondiali in Qatar (n.d.r. 20/11/22): era dai tempi di quelli in Argentina che non si assisteva a una tale vergogna.
Sono di pubblico dominio le condizioni schiavistiche a cui sono stati sottoposti i lavoratori che hanno preparato gli impianti, così come sono note le modalità attraverso le quali il paese del Golfo è arrivato a ospitare la competizione.
Per cui non ci soffermeremo su questo, preferendo ricordare un episodio storico nel quale tantissimi italiani misero i propri ideali davanti all’appartenenza nazionale, contestando duramente gli azzurri al loro esordio mondiale.
Era il 1938, mondiali di Francia.
L’Italia arrivava da detentrice del titolo conquistato, secondo molti resoconti dell’epoca, grazie ad arbitraggi quantomeno discutibili. Mussolini prima dell’inizio della competizione francese aveva rivolto parole al vetriolo nei confronti di Parigi, sostenendo che “Italia e Francia” erano, in ogni cosa, “ai lati opposti della barricata”.
La partita d’esordio della nazionale italiana era fissata per il 5 giugno a Marsiglia: l’avversario era la Norvegia. Sugli spalti quel giorno c’erano 10.000 italiani, ma non erano arrivati per sostenere gli azzurri. Si trattava in larga misura di esuli, costretti a lasciare l’Italia per sfuggire alla persecuzione del regime fascista.
Così appena partì l’inno “Giovinezza” quei 10.000 fecero sentire la loro voce. Secondo alcuni resoconti gli azzurri fecero due volte il saluto fascista, secondo altre versioni proprio per evitare un certo tipo di reazione, si astennero dal gesto in quell’occasione.
Fatto sta che la selezione italiana venne ricoperta da fischi e insulti. Forse questo clima contribuì a rendere più difficile del previsto una gara considerata abbordabile. Agli azzurri servirono i supplementari per avere la meglio sui norvegesi. Alla fine l’Italia conquisterà quel mondiale: una cavalcata vincente che il regime sfrutterà in funzione propagandistica.
Tutto questo ci fa pensare al presente, e anche a chi dice che la politica non dovrebbe entrare in questi contesti. Ma ci domandiamo come sia possibile che un evento che riguarda milioni e milioni di persone, e soprattutto miliardi di fatturato, possa restare estraneo a certe dinamiche.
Il calcio è un bellissimo sport, specie perché è riuscito a trasformarsi, in epoca contemporanea, da sport praticato dalle élite inglesi nel gioco più popolare del mondo. Come ogni altro fenomeno umano investito da certe logiche finisce per piegarsi a determinati meccanismi. Ma il calcio continua a essere della gente, di chi gioca per le strade, nei campetti di periferia, sui muri di Derry o nelle baraccopoli di Lagos, di tutti quei bambini che sognano di alzare la coppa del mondo.
Anche per loro dobbiamo avere lo stesso coraggio di quei 10.000 italiani. Ovvero denunciare ingiustizie, violenze e sfruttamento senza che nessuno evento sportivo o appartenenza nazionale possa frenarci.

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