di Isabella Rossi

PERUGIA - Di che vogliamo parlare? Del bunga bunga completamente bandito dal primo telegiornale italiano e sinonimo del degrado nostrano nei tg di tutto il mondo? O di quel popolo molto più credulone che in altre epoche, disposto ora a farsi prendere per i fondelli dai politici?

Se c’è qualcuno che oggi in Italia può intrattenere sbattendo in faccia realtà nude e crude, cariche di verità indigeste, quello è Marco Travaglio. Ancora una volta superstar del Festival del Giornalismo, quest’anno alla sua quinta edizione. Già, intrattenere. Ma informazione ed intrattenimento non dovrebbero viaggiare su binari distinti? E un giornalista è meno serio se viene accolto con applausi scroscianti e tifo da stadio, come è accaduto venerdì sera al Teatro Morlacchi di Perugia?

Per rispondere occorre dare uno sguardo non solo ai giornali ma anche alla comunicazione politica ed istituzionale protagonista dell’ultimo ventennio italiano. Anni – questa la lucida analisi del giornalista - in cui progressivamente la tragedia è stata trasformata in farsa. Non solo spostando in basso il limite del comune senso del pudore, cioè del “sentimento di vergogna che induce avversione alle cose disoneste”, ma anche condizionandola percezione di lecito ed illecito.

Ne sono testimonianza i manifesti – riferisce Travaglio - che da ieri campeggiano sui muri di Milano: “Via le Br dalle Procure”, recitano. Un segno attuale, ma l’elenco della cronaca di una morte annunciata, quella della “religione civile” di uno Stato democratico, è lungo. E’ iniziato con Craxi – riferisce Travaglio – “che ha cominciato a prendersela con i giudici quando arrestarono Calvi” per dichiarare poi in Parlamento “qui rubano tutti”. E se oggi c’è chi enfatizza che “Craxi ha dato tanto al paese!” Travaglio secco precisa: “Io dico che ha preso tanto dal paese”. E subito scoppia una fragorosa risata in sala. E’ così che funziona la serata.

Il giornalista fa il suo lavoro di sempre, sono le notizie ad essere diventate spettacolo. Almeno nella misura in cui rendono necessaria l’ironia e qualche volta il sarcasmo. Forse perché riferire una palese presa per i fondelli in tono ufficiale equivale a sorridere quando si annuncia una strage di bambini. E’ il caso della casa davanti al Colosseo che il ministro dichiara in conferenza stampa essere stata pagata a sua insaputa. L’evidenza dell’abnormità impone la lettura farsesca, o tragica.

E come non sottolineare la portata grottesca delle affermazioni di quel capo di governo che si attribuisce 100 processi”, quando i processi “sono soltanto 24” o che pretende 1000 giudici si siano occupati di lui, “cioè circa un sesto di tutti i giudici italiani”. L’immaginario collettivo coglie solo in parte l’umoristica mostruosità generata dalla scomparsa dei freni inibitori dalle dichiarazioni ufficiali. Per non parlare “della sua casa a Lampedusa, scelta a Cala Galera con un abuso precedente a lui”.

L’inventario è infinito e passando per Frattini, Bertolaso e il caso Ruby la carrellata continua con il decreto regio che annetteva Mantova ed il Veneto “bruciati da una fumata di Calderoli”. E per una la legge anticorruzione, che in Italia non esiste, c’è una legge sull’immigrazione che costituisce il classico esempio di paradosso: “Cerchi lavoro in Italia? Per venire in Italia devi avere un lavoro”.

Al paradosso si aggiunge paradosso. Non c’è bisogno di enfatizzare i difetti di una classe politica che continua a servire provocatorie affermazioni, tra l’eversivo e il ridicolo salvo poi ritrattare – il giorno dopo – con sempre meno clamorose smentite. Ma se “l’autosputtanamento” dei politici è ampiamente sdoganato, come è possibile che non perdano la legittimazione popolare? Forse è tutto dovuto ad un diabolico “embé?” Ovvero la formula italiana che permette di sublimare ogni incoerenza, sia fatto illecito o voltafaccia alla squadra del cuore. Tutto si normalizza con un “embé” opposto al buon senso, che non la dovrebbe smettere di interrogare.

E se il gioco al massacro dell’identità civica è un atto consapevole e voluto, attuato da una classe politica mercenaria, il popolo italiano non può chiamarsi fuori. Ha avuto anche lui la sua parte, quella di spettatore pronto a farsi sedurre dimenticando di chiedere conto a chi di dovere e accontentandosi di un oblio sempre meno facile da consumare. Travaglio fa il suo lavoro e per qualcuno che esce da un suo spettacolo qualcosa è cambiato. Come minimo la percezione del ridicolo che in Italia non può scollegarsi da quella del degrado.

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