Il crollo di Edo Bove a Firenze ha fatto rivivere la tragedia di Curi
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Come fare un angosciante salto indietro di quasi mezzo secolo. Nell'afflizione, nello sgomento, nel dolore.
Quando Edoardo Bove, 22 anni, centrocampista della "Viola", è stramazzato al suolo, chi ha la mia età ed era presente allo stadio di Pian di Massiano il 30 ottobre 1977, ha temuto un altro caso di morte sul campo, come avvenne per Renato Curi, 24 anni, appena compiuti un mese prima, in Perugia-Juventus.
Per fortuna Edo si è ripreso e si avvia verso la convalescenza (parla è vigile e vuole “Tornà a giocà”), ma in quei minuti è parso proprio di trovarsi, di nuovo, proiettati in un agghiacciante incubo.
Diciassettesimo del primo tempo di Fiorentina-Inter. Sulla fascia destra dei lombardi, Dumfries serve un pallone sul quale si avventa Lautaro che segna. Gol non valido in quanto il segnalinee aveva sbandierato il fallo laterale: l'interista era stato colto nel calciare la palla quando già uscita dal campo, sia pure di poco.
Davanti alla panchina nerazzurra, s'accendono vivaci discussioni sulla decisione della terna arbitrale. Ad un certo punto un giocatore, Edo Bove, appunto, s'accascia sull'erba. Poco prima l’ex romanista aveva avuto uno scontro con un interista subendo un colpo al petto. I telecronisti di Sky Sport narrano di aver visto il calciatore accosciarsi per stringere le stringhe degli scarpini (qualcun altro sostiene che avesse puntato le mani a terra, come per sorreggersi), poi rialzarsi, compiere alcuni passi (cinque ne hanno contati sulla scorta del filmato del cellulare di uno spettatore) e cadere. Davanti a Calhanoglu. Privo di sensi.
Si precipitano i medici e, subito dopo, i barellieri. Gli si fanno intorno i giocatori di entrambe le formazioni e pure i panchinari. Si dispongono a corona, per proteggerlo. Il compagno di maglia, Danilo Cataldi, con tanto di certificato internazionale per il soccorso di emergenza, ha con prontezza, poggiato di lato la testa dell’amico e gli ha tirato fuori la lingua, per impedire che occludesse la gola, col rischio di soffocamento.
Nel tentativo di raggiungerlo, l'allenatore avversario, Simone Inzaghi, scivola e rotola sull'erba. Molti giocatori viola cedono alle lacrime. Qualcun altro si passa le mani sul viso o tra i capelli. Di Marco, interista, al cancello del campo, discute energicamente con gli addetti per far entrare l'ambulanza. Che, a termini di regolamento, non può farlo (almeno per quanto assicurano gli esperti). Né per motivi calcistici, né sanitari.
Nel frattempo, Bove, sistemato in barella, sopraggiunge e caricato sul mezzo, viene trasportato all'ospedale Careggi, a pochi minuti di distanza dal "Franchi". Il tutto - secondo alcune fonti - in 13’ complessivi dall’istante del tracollo.
Lo stadio, ancora pieno, non si svuota. Si intuisce che difficilmente la partita potrà riprendere, però gli spettatori - silenziosi, abbattuti, sgomenti pure loro - vogliono sapere, capire. Avere una notizia buona per uscire dall’angoscia.
Lasceranno ordinatamente e lentamente gli spalti più tardi con il sopraggiungere di notizie tranquillizzanti ("Edo respira e il suo cuore batte autonomamente") e quando lo speaker annuncerà il rinvio, ufficiale, dell'incontro. Accanto al giovane il papà Giovanni, la mamma Tania, la fidanzata Martina, tutti saliti da Roma a Firenze per seguire la partita.
Viaggio indietro nel tempo. In quel 1977 sul campo di Perugia tutt'un altro clima: pioveva a dirotto. I biancorossi ed i bianconeri avevano ripreso a giocare, dopo l'intervallo, sullo 0-0. Appena entrato nel cerchio di centrocampo, il ragazzo abruzzese di Montefiore dell'Aso (già sposato, con la moglie, Clelia in attesa del secondogenito - che verrà battezzato col nome di Renatino - e padre di un bambina, Sabrina) era crollato al suolo. A poca distanza da Bettega, attaccante juventino. Tutti i giocatori si erano schierati intorno a Renato, per capire cosa gli fosse successo. Poi, velocissima, la lettiga che trasportava l'infortunato verso il tunnel degli spogliatoi. Si udì, nonostante la pioggia continuasse a scrosciare, il suono lugubre della sirena dell'ambulanza, che saliva verso l'ospedale, ai tempi ubicato a Monteluce, sull'altro versante della città. Corsa vana. Renato si spense. Uno dei primi soccorritori confidò che il calciatore, in verità, era già spirato, forse prima che la "croce rossa" sgommasse alla partenza.
Tradito dal cuore.
Il nubifragio su Perugia seguitava ad abbattersi, mentre i cronisti si accalcavano alla porta del nosocomio per ottenere la notizia che Renato riprendesse i sensi. Almeno lo sperava chi lo conosceva e lo aveva intervistato anche di recente. Ebbero invece il crudele verdetto. Come una coltellata alle spalle.
Per giorni la BMW, color magenta, con la quale Curi era arrivato allo stadio, rimase nel piazzale davanti agli spogliatoi della struttura sportiva.
Inviato da iPhone
L'incubo del Franchi per Edo Bove
ha fatto rivivere la tragedia di Curi
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Come fare un angosciante salto indietro di quasi mezzo secolo. Nell'afflizione, nello sgomento, nel dolore.
Quando Edoardo Bove, 22 anni, centrocampista della "Viola", è stramazzato al suolo, chi ha la mia età ed era presente allo stadio di Pian di Massiano il 30 ottobre 1977, ha temuto un altro caso di morte sul campo, come avvenne per Renato Curi, 24 anni, appena compiuti un mese prima, in Perugia-Juventus.
Per fortuna Edo si è ripreso e si avvia verso la convalescenza (parla è vigile e vuole “Tornà a giocà”), ma in quei minuti è parso proprio di trovarsi, di nuovo, proiettati in un agghiacciante incubo.
Diciassettesimo del primo tempo di Fiorentina-Inter. Sulla fascia destra dei lombardi, Dumfries serve un pallone sul quale si avventa Lautaro che segna. Gol non valido in quanto il segnalinee aveva sbandierato il fallo laterale: l'interista era stato colto nel calciare la palla quando già uscita dal campo, sia pure di poco.
Davanti alla panchina nerazzurra, s'accendono vivaci discussioni sulla decisione della terna arbitrale. Ad un certo punto un giocatore, Edo Bove, appunto, s'accascia sull'erba. Poco prima l’ex romanista aveva avuto uno scontro con un interista subendo un colpo al petto. I telecronisti di Sky Sport narrano di aver visto il calciatore accosciarsi per stringere le stringhe degli scarpini (qualcun altro sostiene che avesse puntato le mani a terra, come per sorreggersi), poi rialzarsi, compiere alcuni passi (cinque ne hanno contati sulla scorta del filmato del cellulare di uno spettatore) e cadere. Davanti a Calhanoglu. Privo di sensi.
Si precipitano i medici e, subito dopo, i barellieri. Gli si fanno intorno i giocatori di entrambe le formazioni e pure i panchinari. Si dispongono a corona, per proteggerlo. Il compagno di maglia, Danilo Cataldi, con tanto di certificato internazionale per il soccorso di emergenza, ha con prontezza, poggiato di lato la testa dell’amico e gli ha tirato fuori la lingua, per impedire che occludesse la gola, col rischio di soffocamento.
Nel tentativo di raggiungerlo, l'allenatore avversario, Simone Inzaghi, scivola e rotola sull'erba. Molti giocatori viola cedono alle lacrime. Qualcun altro si passa le mani sul viso o tra i capelli. Di Marco, interista, al cancello del campo, discute energicamente con gli addetti per far entrare l'ambulanza. Che, a termini di regolamento, non può farlo (almeno per quanto assicurano gli esperti). Né per motivi calcistici, né sanitari.
Nel frattempo, Bove, sistemato in barella, sopraggiunge e caricato sul mezzo, viene trasportato all'ospedale Careggi, a pochi minuti di distanza dal "Franchi". Il tutto - secondo alcune fonti - in 13’ complessivi dall’istante del tracollo.
Lo stadio, ancora pieno, non si svuota. Si intuisce che difficilmente la partita potrà riprendere, però gli spettatori - silenziosi, abbattuti, sgomenti pure loro - vogliono sapere, capire. Avere una notizia buona per uscire dall’angoscia.
Lasceranno ordinatamente e lentamente gli spalti più tardi con il sopraggiungere di notizie tranquillizzanti ("Edo respira e il suo cuore batte autonomamente") e quando lo speaker annuncerà il rinvio, ufficiale, dell'incontro. Accanto al giovane il papà Giovanni, la mamma Tania, la fidanzata Martina, tutti saliti da Roma a Firenze per seguire la partita.
Viaggio indietro nel tempo. In quel 1977 sul campo di Perugia tutt'un altro clima: pioveva a dirotto. I biancorossi ed i bianconeri avevano ripreso a giocare, dopo l'intervallo, sullo 0-0. Appena entrato nel cerchio di centrocampo, il ragazzo abruzzese di Montefiore dell'Aso (già sposato, con la moglie, Clelia in attesa del secondogenito - che verrà battezzato col nome di Renatino - e padre di un bambina, Sabrina) era crollato al suolo. A poca distanza da Bettega, attaccante juventino. Tutti i giocatori si erano schierati intorno a Renato, per capire cosa gli fosse successo. Poi, velocissima, la lettiga che trasportava l'infortunato verso il tunnel degli spogliatoi. Si udì, nonostante la pioggia continuasse a scrosciare, il suono lugubre della sirena dell'ambulanza, che saliva verso l'ospedale, ai tempi ubicato a Monteluce, sull'altro versante della città. Corsa vana. Renato si spense. Uno dei primi soccorritori confidò che il calciatore, in verità, era già spirato, forse prima che la "croce rossa" sgommasse alla partenza.
Tradito dal cuore.
Il nubifragio su Perugia seguitava ad abbattersi, mentre i cronisti si accalcavano alla porta del nosocomio per ottenere la notizia che Renato riprendesse i sensi. Almeno lo sperava chi lo conosceva e lo aveva intervistato anche di recente. Ebbero invece il crudele verdetto. Come una coltellata alle spalle.
Per giorni la BMW, color magenta, con la quale Curi era arrivato allo stadio, rimase nel piazzale davanti agli spogliatoi della struttura sportiva.
Inviato da iPhone
L'incubo del Franchi per Edo Bove
ha fatto rivivere la tragedia di Curi
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Come fare un angosciante salto indietro di quasi mezzo secolo. Nell'afflizione, nello sgomento, nel dolore.
Quando Edoardo Bove, 22 anni, centrocampista della "Viola", è stramazzato al suolo, chi ha la mia età ed era presente allo stadio di Pian di Massiano il 30 ottobre 1977, ha temuto un altro caso di morte sul campo, come avvenne per Renato Curi, 24 anni, appena compiuti un mese prima, in Perugia-Juventus.
Per fortuna Edo si è ripreso e si avvia verso la convalescenza (parla è vigile e vuole “Tornà a giocà”), ma in quei minuti è parso proprio di trovarsi, di nuovo, proiettati in un agghiacciante incubo.
Diciassettesimo del primo tempo di Fiorentina-Inter. Sulla fascia destra dei lombardi, Dumfries serve un pallone sul quale si avventa Lautaro che segna. Gol non valido in quanto il segnalinee aveva sbandierato il fallo laterale: l'interista era stato colto nel calciare la palla quando già uscita dal campo, sia pure di poco.
Davanti alla panchina nerazzurra, s'accendono vivaci discussioni sulla decisione della terna arbitrale. Ad un certo punto un giocatore, Edo Bove, appunto, s'accascia sull'erba. Poco prima l’ex romanista aveva avuto uno scontro con un interista subendo un colpo al petto. I telecronisti di Sky Sport narrano di aver visto il calciatore accosciarsi per stringere le stringhe degli scarpini (qualcun altro sostiene che avesse puntato le mani a terra, come per sorreggersi), poi rialzarsi, compiere alcuni passi (cinque ne hanno contati sulla scorta del filmato del cellulare di uno spettatore) e cadere. Davanti a Calhanoglu. Privo di sensi.
Si precipitano i medici e, subito dopo, i barellieri. Gli si fanno intorno i giocatori di entrambe le formazioni e pure i panchinari. Si dispongono a corona, per proteggerlo. Il compagno di maglia, Danilo Cataldi, con tanto di certificato internazionale per il soccorso di emergenza, ha con prontezza, poggiato di lato la testa dell’amico e gli ha tirato fuori la lingua, per impedire che occludesse la gola, col rischio di soffocamento.
Nel tentativo di raggiungerlo, l'allenatore avversario, Simone Inzaghi, scivola e rotola sull'erba. Molti giocatori viola cedono alle lacrime. Qualcun altro si passa le mani sul viso o tra i capelli. Di Marco, interista, al cancello del campo, discute energicamente con gli addetti per far entrare l'ambulanza. Che, a termini di regolamento, non può farlo (almeno per quanto assicurano gli esperti). Né per motivi calcistici, né sanitari.
Nel frattempo, Bove, sistemato in barella, sopraggiunge e caricato sul mezzo, viene trasportato all'ospedale Careggi, a pochi minuti di distanza dal "Franchi". Il tutto - secondo alcune fonti - in 13’ complessivi dall’istante del tracollo.
Lo stadio, ancora pieno, non si svuota. Si intuisce che difficilmente la partita potrà riprendere, però gli spettatori - silenziosi, abbattuti, sgomenti pure loro - vogliono sapere, capire. Avere una notizia buona per uscire dall’angoscia.
Lasceranno ordinatamente e lentamente gli spalti più tardi con il sopraggiungere di notizie tranquillizzanti ("Edo respira e il suo cuore batte autonomamente") e quando lo speaker annuncerà il rinvio, ufficiale, dell'incontro. Accanto al giovane il papà Giovanni, la mamma Tania, la fidanzata Martina, tutti saliti da Roma a Firenze per seguire la partita.
Viaggio indietro nel tempo. In quel 1977 sul campo di Perugia tutt'un altro clima: pioveva a dirotto. I biancorossi ed i bianconeri avevano ripreso a giocare, dopo l'intervallo, sullo 0-0. Appena entrato nel cerchio di centrocampo, il ragazzo abruzzese di Montefiore dell'Aso (già sposato, con la moglie, Clelia in attesa del secondogenito - che verrà battezzato col nome di Renatino - e padre di un bambina, Sabrina) era crollato al suolo. A poca distanza da Bettega, attaccante juventino. Tutti i giocatori si erano schierati intorno a Renato, per capire cosa gli fosse successo. Poi, velocissima, la lettiga che trasportava l'infortunato verso il tunnel degli spogliatoi. Si udì, nonostante la pioggia continuasse a scrosciare, il suono lugubre della sirena dell'ambulanza, che saliva verso l'ospedale, ai tempi ubicato a Monteluce, sull'altro versante della città. Corsa vana. Renato si spense. Uno dei primi soccorritori confidò che il calciatore, in verità, era già spirato, forse prima che la "croce rossa" sgommasse alla partenza.
Tradito dal cuore.
Il nubifragio su Perugia seguitava ad abbattersi, mentre i cronisti si accalcavano alla porta del nosocomio per ottenere la notizia che Renato riprendesse i sensi. Almeno lo sperava chi lo conosceva e lo aveva intervistato anche di recente. Ebbero invece il crudele verdetto. Come una coltellata alle spalle.
Per giorni la BMW, color magenta, con la quale Curi era arrivato allo stadio, rimase nel piazzale davanti agli spogliatoi della struttura sportiva.
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