Di Rosaria Amato

Una ripresa stentata, che ha come conseguenza un ulteriore allargamento dei divario tra l'Italia e i partner europei, accompagnata da "una situazione di persistente deterioramento del mercato del lavoro" che penalizza soprattutto donne e giovani, "un'evoluzione stagnante della produttività" e dei salari e una crescita delle esportazioni compensata però da un forte aumento delle importazioni. E' così che appare l'Italia nel "Rapporto Annuale" dell'Istat, presentato questa mattina dal presidente Enrico Giovannini a Montecitorio, alla presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini. E se ci sono circa 295.000 imprese che sono riuscite a prosperare persino nel biennio della crisi (tra il 2007 e il 2009), con conseguenze positive su occupazione, redditività e competitività, il ritorno ai valori precrisi della produzione appare lontanissimo: l'attività produttiva del settore industriale si colloca su livelli inferiori di oltre il 19% rispetto ai massimi dell'estate 2007 (punto di svolta negativo del ciclo).

La stagnazione dell'economia si riflette sul calo del potere dell'acquisto delle famiglie, costrette a erodere i risparmi per mantere stabile il proprio tenore di vita (la propensione al risparmio nel 2010 si è attestata al 9,1%, il valore più basso dal 1990). Le difficoltà economiche accentuano le distanze dagli obiettivi Europa 2020: è in particolare sotto i profili della spesa per ricerca e sviluppo e dell'istruzione che l'Italia
appare lontana.

Una debolezza strutturale. Non è che l'Italia abbia sofferto così tanto per la crisi che, certo, l'ha colpita. Il problema, osserva l'Istat, è soprattutto che quella italiana "è l'economia europea cresciuta meno nell'intero decennio 2001-2010, con un tasso medio annuo pari allo 0,2%, contro l'1,1% dell'Uem". Risultato: "Il ritmo di espansione della nostra economia è stato inferiore di circa la metà a quello medio europeo nel periodo 2001-2007, e il divario si è allargato nel corso della crisi e della ripresa attuale". Infatti il modesto +1,3% del 2010 si confornta all'1,8% della Uem, l'ancora più modesto +0,1% del primo trimestre 2011 con lo 0,8% della media europea.

La Cig spesso senza ritorno. Ecco perché il mercato del lavoro è "più debole", e presenta "una minore qualità dell'occupazione", come risulta dal titolo del capitolo centrale del Rapporto Istat. Nel biennio 2009-2010 gli occupati sono scesi di 532.000 unità: oltre la metà è concentrata nel Mezzogiorno, anche se la flessione riguarda anche il Nord (-228.000). Il danno peggiore si è prodotto nell'industria (404.000 posti di lavoro persi). La Cassa Integrazione (aspetto sottolineato più volte anche dal governo) ha fatto in parte da paracadute, un ruolo che però è ormai in via di esaurimento; infatti, scrive l'Istat, "circa un quarto di quanti erano in Cig nel 2009 lo sono anche un anno dopo; uno su due ritorna al lavoro e uno su cinque non è più occupato". Ancora una volta, "la situazione è particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove si registra il maggior numero di persone in Cig a distanza di un anno e il minor numero di rientri sul posto di lavoro (33,6% a fronte del 64,2% nel Nord) con un flusso più alto di uscite verso la disoccupazione (7,9%) e, soprattutto, verso l'inattività".

Due milioni di disoccupati, di scoraggiati e di NEET. Lo "zoccolo duro" della disoccupazione rimane dunque di circa due milioni di disoccupati. Ma sono due milioni anche gli scoraggiati, coloro che cioè nel 2010 non hanno più cercato un lavoro o perché in attesa degli "esiti di passate azioni di ricerca" o più semplicemente perché convinti che non avrebbero trovato nulla. Due milioni sono anche i NEET, i giovani che cioè non hanno un impiego, non studiano e non fanno alcun tipo di pratica professionale o apprendistato.

Crollo della propensione al risparmio. In questa situazione, non deve stupire che il potere d'acquisto cali ancora, nonostante nel 2010 sia tornato a crescere il reddito disponibile delle famiglie (+1%), che invece nel 2001 aveva registrato un calo del 3,1%. Considerando però l'inflazione, il potere d'acquisto ha subito una riduzione dello 0,5% nel 2010. Pertanto, per poter mantenere un tenore di vita stabile gli italiani sono stati costretti a far ricorso ai risparmi: la propensione al risparmio delle famiglie nel 2010 si è attestata al 9,1%, il valore più basso dal 1990, 1,4 punti percentuali in meno rispetto all'anno precedenti. E se il 19,1% delle famiglie si è limitato a risparmiare meno, il 16,2% ha dovuto intaccare il proprio patrimonio o indebitarsi.

Ancora lontani gli obiettivi Europa 2020. In una situazione di debolezza dell'economia e di arretramento sociale, la Strategia Europa 2020 (che sostituisce quella di Lisbona) appare in molti casi un miraggio. A cominciare dalla spesa in R&S, che certo favorisce il progresso di un Paese, e alla lunga fa aumentare occupazione e produttività. La Ue fissa l'obiettivo al 3% del Pil, l'Italia aspira più modestamente all'1,53, ma al momento è ferma all'1,23%, in una posizione di media classifica (attualmente la media Ue è dell'1,92%).

Ancora più problematico il raggiungimento degli obiettivi europei nel campo dell'istruzione. Nella Strategia Europa 2020, il 40% dei 30-34enni deve avere un'istruzione universitaria o equivalente: attualmente l'Italia si attesta al 19,8% contro una media Ue pari già al 32,3%. Ci sono dieci Paesi europei, tra i quali Francia e Regno Unito, che hanno già superato l'obiettivo fissato dalla Ue. Inoltre gli abbandoni scolastici prematuri dovrebbero essere contenuti al di sotto della soglia del 10%. La media europea attuale è del 14,4%, quella italiana nel 2010 si attestava al 18,8%, con grandi differenze territoriali: in Sicilia oltre un quarto dei giovani lascia la scuola con al più la licenza media. Distanze siderali anche sotto il profilo dell'occupazione dei 20-64enni: dovrebbe arrivare al 75%, la media Ue attuale è pari al 68,6%, l'Italia è tra i Paesi con il tasso più basso. Nella Ue, infine, le persone a rischio povertà (dopo i trasferimenti sociali) sono il 16,3%, in Italia il 18,4%.

Il digital divide delle famiglie italiane. Rimane ancora alto, osserva l'Istat, il digital divide delle famiglie italiane: "La quota di quelle che hanno accesso a Internet da casa è più contenuta rispetto a molti paesi dell'Unione, con un tasso di penetrazione del 59% (media europea del 70%). Inoltre, meno del 50% delle famiglie italiane che possiede un accesso a Internet si connette tramite la banda larga (media europea del 61%).

Fonte: Repubblica del 23 maggio 2011

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