Cremaschi: "Il manifesto del patto sociale è inutile e dannoso"
Di Fabio Sebastiani
L’hanno chiamato in molti modi questo manifesto, ma alla fine il concetto è quello del “patto sociale”. O no?
E’ la prima volta che mi capita di condividere una affermazione del segretario generale della Uil Luigi Angeletti, che ha detto che questo è un puro manifesto democristiano. Vuol dire nella sostanza che, come nei congressi della Dc, si fanno affermazioni di principio più o meno condivisibili ma prive di sostanza reale dietro le quali ci sono cose che non si possono dire. Il manifesto parla di una discontinuità per avere la crescita che è come dire che dopo il brutto tempo deve arrivare il sole.
Ma tra le cose che non dice ci sarà qualcosa di interessante...
In realtà si possono avanzare due interpretazioni entrambi autentiche: la prima, del partito del giornale Repubblica, che allude al governo Monti, di unità nazionale e presentabile alle agenzie di rating; la seconda, più concreta, e sostenuta sia da Bonanni, che credo sia l’autentico ispiratore di questo documento, sia dal “Sole 24 ore”, è che bisogna rifare come nel ’92: una terapia d’urto che ripropone il taglio dei salari, tasse, attacco alle pensioni e riduzione dei diritti. Quello che irrita è che questo documento queste cose non le dice. C’è un aspetto dannoso, ma anche uno ridicolo, quando auspica un cambiamento di governo non viene valutato che se Berlusconi non fosse nella fase in cui si trova potrebbe benissimo prendere in mano quello schieramento.
Che c’entrano le banche con i sindacati?
Le banche sono le prime firmatarie di quel documento. Non si esce dalla crisi riproponendo i patti sociali degli anni novanta e senza intervenire contro la speculazione finanziaria e sulle banche. Paradossale che le firme dei commercianti e degli artigiani che sono taglieggiati dagli istituti di credito compaiano accanto a questi. Si vive ormai alla giornata.
E la Cgil?
Sì, appunto. “L’unica firma che stona è quella della Cgil”: è questo che avrei detto un mese fa. Ma le scelte strategiche della Cgil oggi sono in mano alla Cisl.
Tutti dicono che manca la crescita...
Il mito della crescita è una riproposizione edulcorata del berlusconismo. Che vuol dire crescita? Per produrre cosa? Si arriva a dire che bisogna tagliare i servizi sociali e aumentare la produttività. Oltre che danni sociali quel manifesto non risolverà il problema. Il punto è che non pagano i maggiori responsabili, ovvero le banche e il mondo finanziario che hanno provocato la crisi.
Di cosa ci sarebbe bisogno?
Ci vogliono investimenti in nuovi settori produttivi e nella scuola. Occorre fermare la devastazione delle grandi opere. Una rivoluzione democratica che proponga non semplicemente qualche taglio ma la fine di questa casta che ha occupato la politica. Non è che mettendoci attorno a un tavolo vittime e aggressori troviamo il compromesso e riparte il paese. Il massimo che può ottenere questo appello è cambiare qualche ministro. Una battaglia miope e confusa che non è in grado di dire qualcosa di concreto. E’ scandaloso che la Cgil appoggi tutto questo.
Cosa accadrà a settembre?
Ci dovremo opporre alla politica del patto sociale sia nella forma del “28 giugno” che nella forma del patto della crescita. Tutti coloro, quale che sia la loro appartenenza di organizzazione, non sono d’accordo con questa riproposizione della politica corporativa e concertativa devono trovarsi e costruire una alternativa. Quello che abbiamo di fronte è o Berlusconi o un governo di unità nazionale che riproponga i tagli dei primi anni novanta. Questo implica una radicalizzazione della battaglia anche dentro la Cgil. Il “28 giugno” è un accordo costituente di un’altra Cgil a cui non a caso ha fatto seguito questo documento. Dentro la Cgil occorre costruire una alternativa a questa linea e anche a questo gruppo dirigente. Le prime settimane di settembre saranno le settimane della verità per tutti. Anche per la sinistra della Cgil e anche per la Fiom.
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