Luca Kocci

 

Cano­niz­za­zione dei papi o san­ti­fi­ca­zione del papato? Ne abbiamo par­lato con Daniele Menozzi, docente di Sto­ria con­tem­po­ra­nea alla Nor­male di Pisa, stu­dioso del papato in età moderna e con­tem­po­ra­nea, autore di volumi come Chiesa e diritti umani (2012), Chiesa, pace e guerra nel Nove­cento(2008), entrambi editi dal Mulino, e Gio­vanni Paolo II. Una tran­si­zione incom­piuta? (Mor­cel­liana, 2006), un’analisi sto­rica del pon­ti­fi­cato di Woj­tyla. «La cano­niz­za­zione dei papi dell’età con­tem­po­ra­nea, ini­ziata da Pio XII con la san­ti­fi­ca­zione di Pio X, è ormai una linea con­so­li­data della Santa sede – spiega Menozzi –. La con­ce­zione della teo­cra­zia medie­vale per cui il mero accesso al trono di Pie­tro com­porta la san­tità di chi vi accede si è sal­data in que­sto periodo da un lato con il pro­cesso di cen­tra­liz­za­zione romana che ha por­tato all’identificazione della Chiesa con chi la guida, dall’altro con le dif­fi­coltà di pre­senza del cat­to­li­ce­simo nel mondo moderno. In que­sto con­te­sto la cano­niz­za­zione di un papa vuole for­nire alla Chiesa la ras­si­cu­ra­zione che chi l’ha gui­data si è com­por­tato, nel mare tem­pe­stoso della moder­nità, in maniera tanto ade­guata da tro­vare il rico­no­sci­mento della bea­ti­tu­dine ultraterrena».

Quando Gio­vanni XXIII è stato bea­ti­fi­cato, gli è stato affian­cato Pio IX: il papa del dia­logo con il mondo moderno e quello della con­danna della moder­nità. Ora sta insieme a Gio­vanni Paolo II, che ha ridi­men­sio­nato il Con­ci­lio Vati­cano II. Come inter­preta que­ste scelte?

Mi sem­bra un modo per rela­ti­viz­zare le posi­zioni inno­va­tive assunte da Ron­calli. Iso­lare la cano­niz­za­zione di Ron­calli impli­cava attri­buire un valore uffi­ciale alla sua linea di governo; affian­carla a quella di Woj­tyla signi­fica che entrambe le posi­zioni sono ugual­mente valide. Ma non va sot­to­va­lu­tato il cam­mino di que­sti anni: met­tere sullo stesso piano Ron­calli e Mastai Fer­retti signi­fi­cava mostrare che la Chiesa non aveva ancora deciso se con­ti­nuare nella posi­zione di con­trap­po­si­zione o di dia­logo con la moder­nità. Affian­care Gio­vanni XXIII e Gio­vanni Paolo II implica mostrare che sono ormai in gioco sol­tanto due diverse linee di rela­zione con la moder­nità e quindi che il dia­logo con il mondo moderno è irreversibile.

Dal punto di vista sto­rico cosa hanno rap­pre­sen­tato Gio­vanni XXIII e Gio­vanni Paolo II?

Gio­vanni XXIII ha aperto la Chiesa al supe­ra­mento dell’eredità dell’intransigentismo otto-novecentesco, mostrando che la pre­senza della Chiesa nella sto­ria poteva pre­scin­dere dalla pro­spet­tiva di rico­stru­zione di una società cri­stiana. Gio­vanni Paolo II ha ela­bo­rato un pro­getto di inter­vento sulla società che, pur abban­do­nando la pre­tesa di una guida eccle­sia­stica su tutti gli aspetti del con­sor­zio civile, riven­di­cava comun­que al magi­stero il com­pito di indi­care alcuni aspetti dell’organizzazione della vita col­let­tiva a cui tutti sem­pre, comun­que e dovun­que erano tenuti ad ade­rire. Per Ron­calli la Chiesa poteva entrare nella sto­ria senza un pro­getto di cri­stia­nità, per Woj­tyla essa doveva essere gui­data da un’ottica di neo-cristianità.

Ber­go­glio parla di col­le­gia­lità e sino­da­lità ma, anche per il suo grande cari­sma, sem­bra esserci un ritorno della papo­la­tria. È una sorta di ete­ro­ge­nesi dei fini? O non cor­ri­spon­dono alla realtà le inten­zioni “demo­cra­ti­che” di Bergoglio?

Mi pare indub­bio che Ber­go­glio intenda rea­liz­zare una mag­giore col­le­gia­lità nel governo della Chiesa; d’altra parte, a quanto pare, que­sta era anche una delle con­di­zioni che hanno reso pos­si­bile la sua ele­zione. Natu­ral­mente le moda­lità con cui la col­le­gia­lità si può rea­liz­zare sono mol­te­plici: per ora si è assi­stito ad un mag­giore ascolto delle Chiese locali e all’annuncio dell’attribuzione di un ruolo dot­tri­nale alle con­fe­renze epi­sco­pali. È pos­si­bile che si arrivi a ristrut­tu­ra­zioni isti­tu­zio­nali che for­ma­liz­zino que­ste aper­ture ad un effet­tivo governo col­le­giale della Chiesa. Resta comun­que il fatto che esse non impli­che­ranno l’introduzione di un regime demo­cra­tico: la Chiesa è un popolo di Dio in cam­mino nella sto­ria, ma è pur sem­pre un popolo gerar­chi­ca­mente ordinato.

Quella di Ber­go­glio è una rivoluzione?

È troppo pre­sto per dare giu­dizi così impe­gna­tivi. È certo che Ber­go­glio ha cam­biato per tanti aspetti la linea di Bene­detto XVI il quale del resto, con la sua rinun­cia, ne ha rico­no­sciuto il fal­li­mento. Fin dove si spin­gerà il muta­mento e soprat­tutto per sapere se que­sto muta­mento sarà in linea con una let­tura evan­ge­lica dei segni dei tempi biso­gnerà ancora aspettare.

Condividi