CONGRESSO PD – IL “GENERALE” COVID E LE INCERTE CERTEZZE DI BORI
Di Ciuenlai - Una montagna di problemi si stanno abbattendo sulla prossima puntata di quel triste quanto inutile “votatoio”, che i dirigenti del Pd si ostinano a chiamare congresso.
Intanto la prima domanda è si farà davvero o verrà rinviato, come hanno chiesto ufficialmente alla Direzione Nazionale 3 dei 4 candidati e alcuni autorevoli circoli? Ufficialmente, essendo la macchina ormai avviata e giunta ormai alla sua fase finale, da Roma fanno sapere che, al momento, non ci sono margini per cambiare programma. Già al momento. Purtuttavia se la vicenda covid dovesse peggiorare e se il numero dei circoli contrari andasse aumentando in maniera esponenziale, la Direzione potrebbe anche prendere in seria considerazione l’ipotesi di un rinvio, magari allineando l’assise umbra a quella di altre regioni che stanno iniziando adesso l’iter del loro congresso. La situazione Covid è tenuta sotto controllo e potrebbe giocare un ruolo chiave nella decisione dello slittamento. Anche perché si fa notare che un buon terzo dei 5.600 iscritti e aventi diritto a voto, sono persone oltre i 60 anni, che nessuno vuole chiaramente mettere a rischio.
Ma, sotto sotto, le ragioni per cui un rinvio sarebbe auspicato potrebbero essere squisitamente politiche. Zingaretti , sommerso dalle carte bollate dei ricorsi, non avrebbe gradito che tre tra i suoi principali sostenitori umbri (Bori, De Rebotti e Torrini) si sfidino e si dividano con toni da guerra santa. Il segretario vorrebbe una ricomposizione della profonda rottura che c’è tra di loro. E il tempo potrebbe favorire un nuovo inizio della vicenda. Anche perché il Pd ha bisogno come il pane di un rilancio che riesca ad approfittare dei primi segnali di crisi politica, ma non ancora elettorale, della destra nella regione.
Ci vorrebbero delle novità che i contendenti, a parere di Roma, non sarebbero in grado di garantire, avendo fatto tutti parte, in un modo o nell’altro, della squadra e delle dinamiche politiche che in questi anni hanno determinato la disfatta del centrosinistra in Umbria. Ma al momento queste sembrano parole e intenzioni affidate al vento. Bori procede come un treno verso la stazione “segreteria”, gli altri rispondono per le rime. Risultato i 4 se le danno di santa ragione. Se tutto verrà confermato, a guardare gli effetti speciali della comunicazione, l’esito sembrerebbe scontato. Bori dovrebbe vincere con percentuali bulgare.
Questo dicono le apparenze, ma ci sono dei numeri che mostrano una realtà diversa e non così certa, che dona un pizzico di suspence alla sfida. Tra candidati e firme Bori ha messo in campo circa 1000 iscritti, gli altri tre 1400 tesserati. Basta fare due conti per capire che essendo solo 5.600 gli aventi diritto al voto, se l’affluenza non supera il 70%, Bori rischia qualcosina in meno di Gagarin, ma rischia (es. se votano solo 3500 iscritti , dando per scontato che chi ha firmato confermerà il suo sostegno al candidato scelto, ai tre “sicuri perdenti” bastano 350 voti in più per fare bingo) .
Per questo si parla con insistenza di un accordo che prevedrebbe l’elezione a segretario di quello dei tre che avrà ottenuto più voti. Certo si sono sentite voci anche di intese fra Presciutti e Bori e segnali di dialogo tra il capogruppo regionale e Torrini, ma, al momento, l’ipotesi più accreditata nei corridoi nel Pd umbro è quella che vi abbiamo raccontato. E intanto, sullo sfondo, va a tutto volume la canzone di Guccini cantata dai Nomadi ” ……una politica che è solo far carriera…….” .
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