di Massimo Franchi, Inviato a Rimini

Era stato l’ultimo a riunirli assieme prima delle elezioni a luglio. È stato il primo a rimetterli a confronto dopo la batosta del 25 settembre. Maurizio Landini, accusato da molti in Cgil di aver lasciato la sinistra sola nella sconfitta, ha portato sul palco del congresso di Rimini la finora sfilacciata opposizione al governo: Elly Schlein, Nicola Fratoianni, Giuseppe Conte e Carlo Calenda per un dibattito concluso con la promessa di rivedersi presto. «Il patto anti Papete» lo ha battezzato la cerimoniera Lucia Annunziata, calata nel ruolo di ricostruttrice dell’opposizione, sottolineando la frase di Elly Schlein: «Chiudiamoci in una stanza finché non troviamo un accordo».

UN DIBATTITO che ha mostrato, da una parte, nuove assonanze fra il Pd e il M5s, dall’altra, abissali differenze con il fantomatico Terzo Polo. Carlo Calenda ha avuto il merito della chiarezza: si è preso i fischi della platea fin da subito spiegando che «con gli altri con ci governerei mai».

Lo scopo del dibattito era capire «se l’opposizione la vogliono fare», aveva spiegato inizialmente Landini, e se «vogliono tornare a dar voce al lavoro».

Le risposte sono state tutte positive, partendo dalla constatazione che «la crisi della democrazia è fatta soprattutto dall’astensionismo dei lavoratori e delle classi più povere che prima votavano a sinistra e ora non si sentono più rappresentate».

Elly Schlein si è impegnata a «riaggrapparli ai fili della politica». Per la nuova segretaria del Pd «se ragioniamo di temi e non di alleanze lo spazio per fare battaglie comuni c’è e il primo è sicuramente la sanità pubblica», seguito dalla «scuola pubblica come elemento di emancipazione sociale».

Senza dimenticare la «riforma fiscale» che Landini mercoledì aveva definito «la madre di tutte le battaglie» snocciolando i numeri dell’Irpef «pagata solo da lavoratori dipendenti e pensionati che coprono la spesa sanitaria che i ricchi si godono anche se potrebbero permettersi di pagarla», ha tuonato ieri.

TUTTI D’ACCORDO FINCHÉ Carlo Calenda se ne esce con la sua proposta di «destinarvi i dieci miliardi di risparmi per i calcoli sbagliati sugli effetti delle misure anti inflazione e della maggiore crescita – e fin qua nessun problema – di cui almeno un miliardo all’intramoenia», dunque regalando soldi pubblici alla sanità privata.

Sul lavoro invece le posizioni sono più distanti, sebbene lo stesso Calenda abbia raccontato di essersi «scambiato le proposte sul reddito minimo con Giuseppe» Conte. Il tema è delicato e complesso anche per il sindacato. Una «complessità» tagliata con l’accetta da Elly Schlein quando propone «di alzare i minimi contrattuali e fissare una soglia per tutti gli altri». Calenda la bacchetta: «Sbagli perché tutti i lavoratori dipendenti formalmente hanno un contratto nazionale e applicare il salario minimo significa indebolire la contrattazione».

Quando Calenda prende le stesse posizioni del governo Meloni nella richiesta di allungare i tempi della transizione verso l’auto elettrica con l’allungamento dello stop al 2035 dello stop al motore a scoppio, Landini sbotta. Fremeva da tempo ma si scatena: «Lo so anch’io che se a un lavoratore non dai un’alternativa difenderà il suo posto di lavoro, ma proprio per questo bisogna investire per tempo nelle auto elettriche perché diversamente nel 2040 ci troveremo con un ritardo tecnologico che farà sparire molti più posti di lavoro. I problemi vanno affrontati e risolti dalla politica, diversamente vince il modello autoritario». Sul salario minimo Landini ricorda il grande rimosso, la storica richiesta della Fiom: «Prima del salario minimo serve una legge sulla rappresentanza che certifichi imprese e sindacati che firmano i contratti, li faccia votare ai lavoratori e – novità della relazione di ieri – che produce la validità erga omnes degli stessi contratti a tutti i lavoratori: precari, degli appalti, fase partite Iva e autonomi».

LA PRIMOGENITURA della proposta sul salario minimo è stata giustamente rivendicata da Giuseppe Conte, a suo agio nel citare «Piketty che ci spiega che i ricchi non lavorano» e nel definire «il Jobs act fallimentare», meno nel rispondere a Calenda e, in generale, apparso preoccupato per la nuova concorrenza di Schlein.

L’applausometro ha comunque premiato Nicola Fratoianni, l’unico a parlare esplicitamente di «patrimoniale» e di «riduzione delle spese militari per finanziare la sanità pubbblica».

Oggi arriva Giorgia Meloni. L’attesa è palpabile: polizia e funzionari di palazzo Chigi ieri pomeriggio hanno preparato ingresso e uscita della presidente del Consiglio. A contestarla apertamente ci sarà la minoranza Cgil «Le radici del sindacato» guidata da Eliana Como. Per il resto, la platea ha già mostrato di saper fischiare chi è di destra.

Fonte: Il Manifesto

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