di Dante Cerilli

Un paese una piazza
Una piazza
Un paese
Mia la gente
Mio il paese
Scroscia il Cielo
E il Cielo si ferma
Tante persone
Tanta musica
Corre inarrestabile
la musica
non si ferma
Note distillano il canto
e il canto si sposa 
alle note liberate
Il cielo si apre:
c'è solo musica
eternità d’un momento
d’un'emozione infinito
MUSICA
La profondità del sentire
l'essenza dell'uomo
il sentire profondo
GIOIA!
Penso che la pittura, nemmeno per un raffinato e sinestetico prodigio, possa essere musica in sé e trasmettere un messaggio sonoro come se fosse un’immagine sonora su una tela, su una tavolozza; non so se almeno con la pittura si possa immaginare la musica, senza che il fruitore abbia qualche indizio creativo dell’autore, o ne conosca le dichiarate intenzioni e linee di poetica. 

Mi spiego meglio. Secondo una poetica ed estetica dell’arte, come quella che scaturisce dai concetti elaborati e studiati da Kandisnkij, il giallo è sinonimo di vitalità, di energia, di irrazionalità e può essere  paragonato al suono di una tromba, il blu richiama la quiete e si associa al violoncello, l'azzurro, per i suoi toni digradanti dal blu a quelli più chiari, è sinonimo di  indifferenza e distacco, paragonabile al flauto;  il blu scuro incarna la maestosità e l’intensità  di un organo; il rosso accende di calore e di vivacità irrequieta la vita rivelandosi “ironico” (il virgolettato è mio) come fa, talvolta, il suono di una tuba; l'arancione esprime movimento, è paragonabile al suono di una campana. Il verde è noioso, suggerisce ricchezza e sontuosità ma si fa più interessante quando vira, più acidulo, verso il giallo e può accostarsi ai toni ampi, caldi e “sfregati” del violino.
Così, sì che la pittura rappresenta, nel segno che può “disegnare”, la musica! Ma non farcela sentire fisicamente.
Il discorso della pittura che non può rappresentare la musica è qui filosoficamente e praticamente calzante poiché le immagini stesse non possono rappresentare la musica, quindi, queste annotazioni possono essere utili ad inquadrare meglio la relazione tra l’immagine filmica di cui Ennio Morricone si fa interprete e commentatore, tanto da poter ipotizzare una superiorità della musica sull’immagine e sulla rappresentazione “visiva”: vale a dire che si può godere della musica da film, tipo quella di Morricone, senza vedere le immagini, risultando, però, cosa “monca” vedere le immagini e le scene senza musica o gli altri effetti fonici.   
E la questione non è scontata se si pensa proprio a quella grande ricerca sulla relazione tra Musica e Pittura che vi è stata e continua ad esserci da Vasili Kandinskij (che ha dato avvio alla pittura astratta) e Arnold Schönberg (il compositore che ha aperto i varchi alla musica atonale, dodecafonica), fino alla fisica e all’arte a noi più contemporanea, del professor Giuseppe Caglioti, docente di fisica al Politecnico di Milano, della regista e docente Tatiana Tchouvileva, nota come regista e anch’ella docente, e dell’artista docente Goram Ramm che seguono, insieme, percorsi di ricerca. Non da meno è stato nel passato quando il rapporto tra musica e immagine interessò anche Isaac Newton. 
I fenomeni fisico-armonici portano anche a considerare gli studi sul parallelismo tra onde sonore e onde luminose condotti nel prestigioso istituto universitario del capoluogo lombardo, proprio per cercare di dare un aspetto visivo alla musica, per cui, secondo le linee di un progetto denominato Musicolor, i calcoli matematici fanno da supporto alla “rappresentazione”, mentre l’ Audiovisual si presenta come una pratica che introduce il  tentativo di tradurre la musica in immagini attraverso altri algoritmi predefiniti. L’esito non è sempre ottimale in quanto essi stessi, essendo soggetti alla ripetitività schematica, risultano prevedibili (il musicolor non è solo questo, tuttavia non se ne può sviluppare una trattazione). 
Ancora una volta un tentativo, a mio avviso rimasto tale, di una “pittura” (di onde-immagini riflesse) che “legge” la musica, ma non ce la suona e non la raffigura.
Facendo un passo indietro, il pittore Kandinskij e il musicista Schonberg, dunque, come si è accennato, all’inizio del XX secolo, in una fitta corrispondenza iniziata nel 1911, dissertavano su come la pittura potesse rappresentare la musica e viceversa, proprio al culmine della loro evoluzione artistica, e ciò lo riprendo per ribadire che la pittura può rappresentare la musica solo se l’artista appalesa i semantemi del figurativo che ne scaturirebbe. Insomma, Kandinskij desiderava che le sue opere fossero “ascoltate”, mentre il compositore asseriva che era la musica a farsi guardare. Sono concetti questi assai complessi che devono porci sull’avviso d’intendere l’ascolto come sentire, cioè come la traslazione di significato di ascoltare come “vedere” e col senso, appunto, di “ascoltare”, come percezione di sentimento, di “sentire” ciò che si vede: sembra un ossimoro, ma si tratta proprio di “vedere” “ascoltando” e di “ascoltare”-“sentire” vedendo). 
L’intento era quello di raggiungere l’iterazione fra le arti, cioè il passaggio fluido dalla musica alla pittura e viceversa.  E non sempre i due si trovavano d’accordo. E l’esperimento rimane un fatto della loro poetica.
Per quanto interessanti le teorie di ogni artista o filosofo posso essere strutturate, ma possono anche non essere “oro colato” e non trovare nella realtà, come nella logica, un vero e probante nesso di corrispondenza.
Con il senno di poi, noi (gli studiosi, io e voi lettori, ovvio) che guardiamo l’arte otto-novecentesca dopo che si sono succedute molte forme e discipline espressive, con l’esperienza e i confronti di quanto si è manifestato sino ad oggi, possiamo affermare che, in puro, e in assoluto, di fatto la pittura non può rappresentare la musica se non attraverso una fitta rete di simboli e di analogie, dove i simboli sono i medesimi impiegati per costruire delle metafore e delle allegorie, che hanno in questa materia una funzione, appunto analogica, ovvero la funzione di rappresentare oggetti o concetti, elementi concreti o sinestetici, o astratti delle varie sfere sensoriali, secondo un grado di corrispondenza assai lontano e difficile da interpretare. Forme di queste analogie, a mio avviso, si intravedono già nell’impressionismo (in minima valenza) e si conclamano nell’espressionismo e nelle altre discipline artistiche del Decadentismo e delle Avanguardie di inizio secolo Novecento. 
Trattando qui di cultura musico-filmografica, sullo spunto del compositore Morricone, non perdo l’obiettivo di portare il lettore a considerare che dentro l’immagine cinematografica possiamo considerare un’immagine visiva e un’immagine sonora. Vale il significato di “Immagine” come “rappresentazione materiale”, fisica, devo precisare; e tale rappresentazione che allo sguardo è figurativa, può avvenire anche in campo sonoro per cui la rappresentazione è uditiva, basata sull’ascolto. Quindi un’immagine visiva riproduce un oggetto, mettiamo una fontana, mentre un’immagine sonora riproduce il rumore (o il suono) di quella fontana. L’una e l’altra sono vere e proprie immagini, benché di diversa natura. Tuttavia, sono immagini che afferiscono a una sfera sensoriale diversa: udito, occhi. Anzi posso senz’altro affermare, in aggiunta al pensiero convergente sull’argomento, forse influenzato da quel saggio di Raffaele La Capria che s’intitola Letteratura e salti mortali e dal romanzo di Domenico Rea, Vivere a Napoli (che parlano e stimolano, tra l’altro, alla letteratura e alle “mentalità” della letteratura), che tanto l’immagine figurativa, quanto quella sonora, in ultimo sono entrambi (forse la seconda di più)  “immagini mentali” e l’efficacia tanto dell’una quanto dell’altra non può prescindere da simboli, tecniche e segni: per questo mi sento di dire che non sono d’accordo con Nazareno Taddei quando sostiene che la musica è “asemantica” (ovvio che la musica in quanto “pensiero” non ha segno, ma altrimenti è fisica), ma la semantica non è altro che scienza dei segni e l’Epistemologia, oggi, insegna (o direbbe, se volete) che la semantica diventa a sua volta criterio strutturale della scrittura musicale e le forme e i generi della composizione (toccata, fuga, sinfonia, madrigale, minuetto, opera lirica e così via) non sarebbero altro che parametri operazionali correlati all’effetto visivo finale (la musica scritta sulla carta) e dell’ascolto (l’esecuzione  della musica composta); la semantica quindi è pure, secondo me, una prassi epistemologica della musica. 
L’immagine cinematografica, superato il cinema muto, dunque, è essenzialmente un’immagine visiva a cui si accompagna un’immagine sonora. Quest’ultima è il risultato di ciò che fanno i rumori, i suoni (non intesi specificamente come musica), oppure le colonne sonore o i commenti fonici o musicali alla scena), oppure la musica vera e propria costituendo un’immagine sonora che si associa all’immagine visiva. 
Anche Nazareno Taddei, già richiamato, e questa volta a buon titolo, nella sua opera, Trattato di teoria cinematografica del 1963, frequenta l’idea che l’immagine cinematografica sia quello che la scena effettivamente presenta, mentre  l’immagine sonora sia astratta (al di là della figurazione) ma che possa suggerire, non solo particolari dello stato d’animo delle persone, le atmosfere degli ambienti e dei luoghi, in verità, impressioni al pubblico, all’ascoltatore e proiettarli in un’immagine mentale di cui abbiano una percezione visiva, attraverso le chimiche e le interazioni neurologiche del cervello. 
Tra il “visivo” ed il “sonoro” deve stabilirsi un equilibrio, tuttavia e obiettivamente, come nel caso della musica di Morricone, anche se e è assai difficile misurare materialmente quando il rapporto tra l’una e l’altra immagine sia equilibrato. In questo caso, in effetti, si potrebbe dire proprio il contrario, ovvero la forza icastica della musica, cui il compositore dedica la maestria della sua arte, pare essere di gran lunga maggiore dell’impatto visivo-fisico. All’atto pratico, sembra proprio che le scene di certi film, intendendo con esse l’atmosfera e la scenografia, non avrebbero quell’impatto mediatico, drammaturgico e coinvolgente, sullo spettatore.
Dopo questa disamina, si avvalora l’assunto che la Pittura, e in senso lato, le Immagini non possono rappresentare la musica come fenomeno fisico-armonico, che le immagini sonore hanno bisogno di una “mentalizzazione” per essere “viste” sul filo degli occhi e della percezione del senso. Quindi l’assunto diventa “tesi” Sono più che mai convinto la musica può essere poesia e la musica può essere pittura e il quadro che ci si pone davanti agli occhi è un quadro figurativo che non ha bisogno di strutture semantiche, se non di quelle che ogni essere umano possiede allo stadio attivo dell’“Io”. 
Questo quadro noi possiamo prendere e gustare proprio attraverso la suggestione che le note ci danno. In aggiunta sostengo che la poesia possa essere sia pittura, sia musica ed è per questa ragione che ho scelto Una piazza un paese, digitata in esordio dell’articolo (che non è una mia poesia), per raccontare “Il Concerto al tramonto”, un evento straordinario che si è tenuto a Torgiano, in provincia di Perugia, organizzato dall’“Associazione Ciro Scarponi”, perché so che questa poesia è stata scritta in maniera estemporanea proprio subito dopo l’ascolto d’una meravigliosa musica, diretta 
con impareggiabile estro artistico dal maestro Giampaolo Lazzeri, di cui è superflua ogni presentazione, con la partecipazione straordinaria della cantante pop-jazz-world music (che non difetta d’impostazione classica), Celeste Ieffa, in arte Andrea Celeste, la cui performance è stata motivo di acclamata richiesta di bis. 
Dai versi, di fatto, si evince tutto il potere di bellezza, di grazia e di suggestione di cui è capace la musica, apprezzatissima e godibilissima, che ha tenuto inchiodati alle poltroncine, in silenzio attento e quasi irreale, un pubblico numerosissimo, per oltre due ore, a partire dalle 21,30, in Piazza Matteotti.
Sono stati eseguiti i brani: ONCE UPON A TIME IN AMERICA (con arr. di Ted Parson); THE MISSION (Gabriel’s Oboe) con la strumentazione di Giampaolo Lazzeri; C’ERA UNA VOLTA IL WEST (Idem); THE ECSTASY OF GOLD (idem); PER UN PUGNO DI DOLLARI (con la strum.  di Eduardo Ramirez Parra); CINEMA PARADISO. Tema D’amore (con arr. di Jan Rypens); IL CLAN DEI SICILIANI. Main Theme (con strum. di Giampaolo Lazzeri); IL PIANISTA SULL’OCEANO. Playing Love (Idem), MEDLY FOR MORRICONE (con Elab. Di Maurizio Billi): Metti Una Sera A Cena, Giù La Testa, Saharan Dream, Here’s To You; SE TELEFONANDO (con arr. di Secondino De Palma).
Quella poesia, dunque, non è una poesia messa a caso nell’incipit di questo articolo. Non solo descrive le atmosfere del luogo, ma esalta la centralità della musica e la bravura degli esecutori, del loro maestro concertatore, Lazzeri, e dei solisti che hanno costituito il distinguo di una interpretazione che altrimenti mancava di qualcosa, che ha fatto emergere, dal binomio interprete e strumento, l’individualità del sentire soggettivo che si propaga in una espansione, in una proiezione dell’anima attraverso il suono, che raggiunge ogni presente. Nella poesia c’è tutto, anche se tutto non sembra esservi dichiarato, eppure la “poesia” ci ha fatto scoprire la passione e il cuore di Gabriele Betti (Tromba, Trombino, flicorno  soprano), Cristian Pepe (Sax Soprano),  Lucrezia Di Caro (Oboe), Raffaele Betti (Clarinetto), Rossana Panzani (Flauto), Sara Fabrizi (Ottavino), di Alice Ulivi (pianoforte), persino il “bucolico” e “malinconico” suono del corno inglese di Jessica Spinelli (che non è sfuggito all’orecchio attento, sebbene non in prima linea), ma anche della gwen star aggiunta, dal Castello di Brufa di Torgiano, l’eclettico musicista Alessandro Zucchetti, che ha dato corda all’assolo di chitarra in Il clan dei siciliani, opera a cui forse Giampaolo Lazzeri, che in hotel rileggeva e postillava la partitura, ha dedicato una cura maggiore nella trascrizione e nell’accordare le parti degli strumenti tradizionali a quello folcloristico (marranzano, detto altrimenti ‘ngangarancuni) e a quello caratteristico del brano che è appunto la chitarra. Bella e rara a vedersi nelle orchestre di fiati, dal lato sinistro del palco campeggiava, con il suo metallico e scintillante echeggiare, l’arpa di Veronica Toni. 
Della poesia è autore Attilio Gambacorta, presidente, guarda caso, dell'Associazione Ciro Scarponi, intitolata al grandissimo clarinettista e teorico della musica, precocemente scomparso e che gli amici hanno voluto ricordare con questo sodalizio, che ha pensato l’evento in ogni suo particolare: vi hanno collaborato la Pro-Loco, di cui è presidente Fabrizio Burini insieme al presidente del “Comitato Vinarelli”, Marino Burini e la moglie, l’enologa prof.ssa Ilse Menganna, (questi ultimi hanno atteso a un gustoso banchetto per gli artisti e gli ospiti  convenuti dopo il Concerto) e reso una preziosa sinergia, il sindaco, geom. Eridano Liberti, e l’ass.ra  alla cultura, dott.ssa Elena Falaschi (con l’Amministrazione Comunale). 
Il testo di Attilio Gambacorta rispecchia autenticamente lo stato d'animo di chi l'ha scritta, la sensibilità di chi sa gioire del bene che l'uomo sa creare nella pace e nella serenità del cuore; rappresenta l'anelito dello spirito di accostarsi all'ineffabile linguaggio dell'armonia dei suoni, i quali, 
al di là degli ingranaggi arrugginiti della razza umana che distrugge tutto, danneggia il pianeta, rende convulsa e frenetica la vita di tutti i giorni, restituiscono la nuova e ricostituita affabilità – come mi ha svelato Gambacorta – dell'“umana gente”.
Dite poi se la poesia non possa “leggere”!! Se la musica possa fare a meno della poesia!!
Tutto ciò è impossibile, come invece è stato propizio l’incontro tra Attilio Gambacorta e Giampaolo Lazzeri che qualche tempo fa si accordarono per preparare questo “Concerto al tramonto”, cui anche la natura si è saputa inchinare dissolvendo la minacciosa e piovasca coltre di nubi nere nel cielo di Torgiano che avrebbe impedito un normale svolgimento delle prove musicali e tecniche prima del debutto. Ma tutto è andato nei migliori dei modi poiché la “Filarmonica Gaetano Luporini di San Gennaro (Lucca)” ha rivelato tutta la sua competenza e l’incomparabile livello di preparazione e professionalità nel suonare i brani, cosa inevitabile conoscendo la meticolosità e lo zelo che Giampaolo Lazzeri mette nelle concertazioni, ma anche la scrupolosità del capobanda, stretto collaboratore, Stefano Sodini, e del presidente e il suo vice, Guido Sodini e Fabrizio Michelini, musicante (che disciplinano la partecipazione alle prove e raccomandano il tempo dedicato allo studio). Guido Sodini ha parlato in chiusura del concerto ringraziando gli organizzatori e tutti i partecipanti, Fabrizio Michelini ha preso la parola in apertura delineando un breve profilo della Filarmonica e annunciando l’apparizione sul palco del maestro Giampaolo Lazzeri. 
Per altro, circa il merito, forse mi ripeterò, per aver già scritto di lui, ma quando Lazzeri arrangia un brano, in realtà lo “strumenta” ed il metodo fondamentale è quello di non snaturare l’idea melodica ed armonica dell’autore, anzi, egli si immedesima nella lettura delle tracce verticali e orizzontali della partitura per ricavare il giusto equilibrio nella distribuzione delle “voci” e nell’intessere i raccordi, i legami e le modulazioni che dovessero mancare per il determinato organico, il tutto come in una grande tela.
Dunque, anche in questo caso, Giampaolo Lazzeri è pittore e poeta, poeta della musica, che “legge” e “intellegge” la… musica. 
Nell’atmosfera del pathos che si genera dal sublime, dal sentimento, diventa poesia universale anche la voce della cantante e vocalista Andrea Celeste alla quale ho detto che è stata ammirevole nel governare il suo registro espressivo, dovendo modulare spesso la voce, con salti e intervalli di vario tipo, dall’estensione del soprano a quella del contralto, così come lo spartito richiedeva, tutto reso con un timbro sempre pieno, tondo, intonato all’infinitesimo della frequenza: tanto si trattasse di melodiare su una vocale, quanto di interpretare il canto a romanza, come è stato, rispettivamente, in L’estasi dell’Oro, in C’era una volta l’America, in Medley for Morricone o in Se telefonando.
Il pubblico ha apprezzato moltissimo tutto il concerto, non solo perché molte arie e molte melodie aveva già orecchiato dai mezzi di comunicazione e di diffusione di massa, ma anche e soprattutto per l’avvincente presentazione ai brani fatta dal docente universitario di Storia della Musica, musicologo, prof. Stefano Ragni, le cui narrazioni hanno carpito applausi, suscitato buon umore, ilarità e il giusto clima a tre voci: narrazione del concerto, poesia del concerto, musica del Concerto. Ragni si è addentrato tra i “retroscena” delle… scene (dei film), gli aneddoti, le informazioni edite e inedite, tra colore ed affabilità della vita personale raccordata alla vita di paese. Ha chiamato in causa la moglie dicendo  che la musica e il pianoforte lo hanno fatto innamorare e sorretto nei momenti critici, ha più volte menzionato il parroco ottantenne, vivo, don Giuseppe (che tra l’altro ho apprezzato nella predica pomeridiana in chiesa, quando mi ha colpito dicendo che “sia su di noi la dolcezza del Signore” e che Dio per noi “è sempre rifugio, di generazione in generazione”), impegnato con le associazioni e i gruppi parrocchiali del paese e il sindaco a combatte la noia e l’inedia dell’indifferenza che nei giorni passati ha portato qualcuno ad atti di vandalismo alla “Sala del Cardinale”. 
Il prof. Ragni ha dato ad intendere al Sindaco e all’assessore – e in questo sono pienamente d’accordo – che il “Concerto al tramonto” tipo quello del maestro Lazzeri con la Filarmonica Luporini e manifestazioni varie di cultura possono diventare un motore per il turismo e rafforzare l’economia del paese! Insomma, non è mancata, da lui, una parola per tanti altri: “a ciascuno il suo”.
Ma… Non ho forse accennato ad un “gustoso banchetto”? Ecco appunto! Non c’è musica senza un conviviale momento di condivisione. Gli orchestrali e i collaboratori si avviano verso una caratteristica ed ampia Piazza Ciro Scarponi (inaugurata nel 2017), interna al Palazzo Malizia. Quando Giampaolo Lazzeri, la sua gentile signora, Rita Ragni, e un certo Dante Cerilli vi fanno ingresso mentre sta per scoccare la mezzanotte. 
Arriva l’ora e – prodigio! – non una carrozza che si trasforma in zucca, né i cocchieri e i cavalli in topolini, tutt’altro! Si alza un corposo coro di auguri: il maestro Lazzeri (31.7.2022) compie Sessant’anni. Tutto assume l’aspetto di una familiare riunione, si brinda con uno spumante (di metodo champenoise, ma non facciamo pubblicità), poi si mangia stinco di maiale (prediletto nelle corti medievali), altri piatti, tra cui la bruschetta con la coratella che faceva persino mia nonna Angela Ruzza che era del Basso Lazio. La dott.ssa Roberta Ricci, vice presidente del Consiglio Comunale di Perugia, Alessandro Zucchetti, chitarrista, il compositore e musicologo Stefano Ragni e consorte Maria Hansson, nonché l’estensore di questo articolo, commensali al tavolo del maestro e di sua moglie, mostrano tutti la loro affabilità e il senso di condivisione dell’arte come mezzo di civiltà e di elevazione dello spirito, stimano come la musica possa essere più efficace e più fruibile, come pure ragionano e apprezzano come Finanza, motore della dinamicità produttiva dell’uomo, debba avere una sua “moralità”, tutto con i propositi di una collaborazione proficua, fatto assai normale per chi pratica il “pensiero della vita” come filosofia ella ragion pura, fatto raro a cui altri dovrebbero essere educati.
Infine, il maestro Giampaolo Lazzeri, acclamato al discorso, prende la parola… La vita che incede… I traguardi degli altri con lui e suoi…. L’umanità degli incontri… I tratti della gente…. L’affabilità per gli altri… L’importanza degli altri per il suo percorso... Ogni amico messo su un piedistallo... Ogni frase faceva apparire il maestro una persona speciale; del resto, si è maestri se dentro si è (di) “più”, e maestro deriva da “magis”, magis che è anche “re” e magis che è, consentitemelo – alla romanaccia – “Er più”. 
Giampaolo Lazzeri sembrava volesse dire “che la vita non s’inventa all’ombra di un paralume verde” (riferisco io parafrasando lo storico Antonio Piromalli che evoca il nisseno Luca Pignato) e che “la vita è fatta di generosità, affabilità e comunione”. Sapete cosa me ne rende convinto? Il fatto che il maestro Lazzeri abbia dato visibilità anche all’ultimo degli arrivati. Ripensate a quel “certo Dante Cerilli”? Bene! È vero – come tutti hanno notato – che questi è stato innalzato da ultimo a primo! Ma non occorre scendere nei particolari, del bene che ne ha saputo elogiare. 
Chi conosce Giampaolo Lazzeri, dunque, né sa ogni dote, ogni pregio e anche qualche…. “testardaggine” (che non guasta mai! Perderà la pazienza, qualche volta, questo Maestro?); chi non lo conosce ha già sufficienti spunti per capire la sensibilità e il suo liberale e democratico altruismo, se non altro ne avrà la curiosità di cercare e di leggerne.
Quando la festa è terminata erano le ore piccole del giorno, come si usa dire, e, quasi emergendo dallo snocciolarsi dei partecipanti che si ritiravano, si stagliava nella penombra, è il caso che ve lo faccia notare, l’“immagine mentale” di Ennio Morricone (che, a dire il vero, non ho sempre apprezzato al 100%, ma sicuramente più che lodevolmente), quella della foto in cui ha il dito indice su naso e bocca, come a dire: «silenzio, è la musica che parla».
 

 

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