di Isabella Rossi

Centinaia di migliaia di indignati sono attesi domani a Roma. Ma i “preamboli” della protesta che in questi giorni ha interessato Roma, Milano, Bologna, Trento e Napoli sono già parte di un movimento globale. Wall street come via Nazionale: a pochi passi da Palazzo Koch di Bankitalia, dove gli indignados italiani, poi fatti sgombrare, erano accampati mercoledì.

E anche se i dati che rimbalzano dalla rete raccontano che le piazze di ben 791 città, in 71 paesi, ospiteranno i cortei di “United for a global change”, non è la quantità ma la qualità della protesta ad aver creato i presupposti per un movimento globale. “99% > 1%”, è scritto in uno cartellone italiano. Ma il tam tam, rilanciato dal movimento di Occupy Wall Street, suona come un appello per la redistribuzione e contro la disuguaglianza sancita da tagli governativi che in Europa come negli Stati Uniti stabiliscono destini di migliaia di cittadini. Diritto alla salute, all’istruzione, al reddito, all’occupazione. Diritto al futuro. Di questo si parlerà domani nelle piazze di buona parte del globo.

Da Wall Street al London Stock Exchange. Lì gli indignados britannici hanno infatti dichiarato di voler convergere per occupare domani la sede della borsa di Londra. Sabato sarà la giornata di protesta globale dai movimenti d’oltre Manica. E dalla borsa si intende occupare pacificamente la City di Londra per protestare contro le ingiustizie economiche e sociali e far parte così del “movimento globale per la democrazia reale.
Su questi temi gli indignati vogliono interpellare i governi ed il mondo bancario, oggi firmatari dei programmi “salva stati”, ma ieri attori di politiche che hanno considerato la tenuta dei salari di tutti superflua al fine del lucro di pochi, causando anche un impoverimento di quelle economie in grado di creare occupazione e quindi reddito.

"In Italia i ricchi sono più ricchi – rivela una ricerca dell’Ires del 2010 - il ceto medio è più povero e i poveri sono molto più poveri". In un decennio le diseguaglianze sono aumentate di oltre cinque punti, da 29 a 34. E ora l’indice misura 35 ma la situazione non può che peggiorare visto che a livello regionale mancheranno i trasferimenti ministeriali al welfare, alla sanità, all’istruzione che hanno reso meno intollerabili le disuguaglianze.

Donne indignate ed unite per un cambiamento globale? Sarebbe auspicabile. In Italia l’ammortizzatore sociale per eccellenza continua ad essere il lavoro di cura gratuito delle donne. Le donne che da sempre generano il welfare familiare, rendendo le disuguaglianze meno aspre, avranno pensioni da fame visto che il lavoro di cura gratuito non fa acquisire punteggio nella pensione ed è anzi considerato un ostacolo all’inserimento lavorativo e quindi all’acquisizione di un reddito.

Legato a doppio filo al tema delle disuguaglianze è quello della democrazia reale. “Un popolo sovrano può essere privato del futuro in nome della sopravvivenza delle banche?” La domanda chiama in causa i principi sui quali si fonda lo stato democratico, secondo i movimenti che domani convergeranno in piazza. Ecco perché il cambiamento può venire dall’unione. Questo il motto di un movimento partito in Spagna ma esploso a livello planetario. La prima rivoluzione in atto è sicuramente quella di una percezione univoca espressa da migliaia di persone, nell’era del contradditorio alle notizie. E’ la comune percezione di una disuguaglianza non più tollerabile Il minimo comun denominatore di una protesta che vuole essere innanzitutto pacifica.

 

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