Città di Castello/Stati generali economia,“Scuola e imprese: il patto possibile"
CITTA’ DI CASTELLO - Terzo appuntamento con gli Stati generali dell’economia di Città di Castello che presso l’Officina della Lana si sono occupati di “Formazione, scuole, imprese: il patto possibile”.
“La scuola che cosa può chiedere al territorio e in che modo le diverse possibilità formative possono incunearsi nei processi virtuosi di sviluppi?” a questa domanda il coordinatore dell’incontro Rosario Salvato ha aggiunto un ulteriore interrogativo per circoscrivere il tema della giornata: “Che cosa la scuola può fare per il territorio? Soprattutto dopo la conquista dell’autonomia, che è una libertà ma anche una carta da giocare”.
Il primo a coniugare le prospettive aperte è stato Mario Tosti, docente della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università degli studi di Perugia: “Cosa significa oggi nel XXI° affrontare i temi della formazione e dell’educazione, servono ad affrontare le sfide della globalizzazione e con quali orizzonti rispetto a prima? Nel 1996 l’ex presidente della Commissione europea Jaques Delors diceva che l’educazione, l’istruzione e la formazione sono mezzi preziosi ed indispensabili per raggiungere gli ideali di pace di giustizia sociale e libertà. C’è un contesto crescente di globalizzazione dei problemi e dobbiamo imparare insieme nel villaggio globale. Oggi assistiamo ad un paradosso: la democrazia ha conquistato nuovi spazi ma mostra segni di indebolimento in paesi che hanno una tradizione secolare di istituzioni democratiche.
È necessario cambiare gli obiettivi dell’educazione, superando l’impostazione strumentale e mettendo al centro il processo stesso e lo sviluppo della persona nella sua interezza. Delors aggiungeva che oggi per tutta la vita della persona è necessario mantenere un ampio bagaglio culturale e approfondire poche definite materie. Se facciamo una sintetica analisi dei progressi delle conoscenze e della ricerca in particolare, ci rendiamo conto che le scoperte più importanti sono avvenute ai confini delle discipline, da qui l’importanza di un approccio trasversale.
C’è un cambiamento antropologico: dal lavoro stabile alla pensione, oggi il paradigma non c’è più. La sostituzione delle macchine all’uomo, rende il lavoro dell’uomo immateriale, aggiungendo valore al settore del servizio. La chiave è trovare dall’innovazione processi che portano a nuove attività. Sintetizzando potremmo dire che bisognerebbe passare dall’abilità alla competenza. La supremazia dell’elemento cognitivo sta rendendo superata l’idea di abilità professionali.
La risposta alla forbice tra scuola e mondo del lavPro può venire da un sistema a maggiore diversificazione curriculare, che preveda passaggi incrociati dalla formazione al lavoro e comunque una educazione permanente. Apprendimento per tutta la vita è una delle chiavi del XXI secolo.
In Italia c’è una buona scuola primaria, abbiamo un problema nella scuola media e grave problema nelle scuole secondarie, fanno una brutta figura nel pensiero educativo. La soluzione è una forte diversificazione dei tipi di studi, fino ad un’alternazione della formazione e del percorso lavorativo. Oggi i percorsi sono troppo rigidi e poco correggibili: il destino dei ragazzi ora è deciso dallo spartiacque delle superiori e non si puà tornare indietro. L’università è un segmento importante perché può sussumere tutti gli aspetti poco recepiti dai gradi inferiori, essendo centro di collaborazione internazionale e degli scambi.
In questo modo le università potrebbero superare quello che viene visto come un conflitto tra logica del mercato e del servizio pubblico. L’autonomia che abbiamo è falsa, in realtà siamo tornati ad un centralismo molto forte. I finanziamenti recenti del Ministero sono l’esempio di un controllo dall’altro. Rispetto ai contenuti, non dobbiamo proiettarci sono sulla ricerca scientifica ma sull’interazione con la didattica, valorizzando l’interdisciplinarietà. Il criterio della flessibilità suggerisce di conservare per quanto possibile il carattere pluridimensionale della formazione. Competenze, professione e soddisfare il bisogno di cultura, dal campo dell’intelligenza a quello dell’immaginazione. Questo significa rimettere al centro dell’istituzione universitaria gli studi e metterli al servizio della comunità”.
Gianni Bidini, preside della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Perugia, ha sottolineato come “Nel nuovo Statuto, l’università ha tre funzioni formazione, ricerca e trasferimento tecnologico. Il legame università e territorio non deve significare provincialismo: il villaggio globale ha dimostrato paradossalmente che la contiguità fisica è importante.
Come università pubblica, dobbiamo desiderare tanti iscritti o tanti laureati? Il bilancio si fa con i dati dell’uscita. Non tante matricole ma tanti buoni laureati. Se un Ministero valuta un Ateneo per gli esami che gli studenti superano allora è difficile riqualificare il sistema. L’interazione con le scuole superiori permetterà di aiutare la preparazione del ragazzo grazie ai testi di autovalutazione, che riguardano competenze e logica e che sono proposti fin dal quarto anno.
Se la didattica non funziona non diamo colpa agli studenti. In questa direzione va anche l’orientamento, motivazionale e culturale. Dobbiamo aiutare lo studente a capire se si è fatto un’idea giusta della Facoltà, anche con sopralluoghi alla sede e ai suoi laboratori, assistendo alle lezioni. C’è poi la questione del metodo. Noi abbiamo istituito il tutoraggio per seguire i ragazzi, valorizzando i migliori del corso e comunicando con le scuole per sottolineare su quali punti evidenziamo le carenze. Inoltre è attivo un filo diretto con le aziende per mantenere un rapporto con il territorio anche rispetto ai filoni di ricerca: a Città di Castello collaboriamo con Godioli&Bellanti, con Pomec ed altri. Il trasferimento tecnologico ha molte declinazioni, creando un circuito tra scuole e territorio”. In chiusura Bidini ha specificato rispetto alla scuola per geometri “che la nuova normativa apre al problema degli istituti tecnici superiori, che dal 2012 dovranno diventare pervasivi. Laddove in una Facoltà esiste un corso its non è possibile una laurea breve, anche prevedendo percorsi a metà. Ma i geometri per esercitare dovranno avere un titolo superiore o
“Il tasso di formazione e di alta formazione dell’Alta Valle del Tevere è basso rispetto alla presenza industriale: se perdiamo dal punto di vista generazione nelle lauree a numero programmato avremmo delle ricadute negative soprattutto per i percorsi di innovazione. Portiamoci avanti con gli istituti speciali e con i centri territoriali permanenti che presto o tardi saranno approvati” ha detto Salvato introducendo il preside della Facoltà di Agraria dell’Ateneo perugino Francesco Pennacchi, per il quale “il punto di partenza è la forte recessione che il mondo dei Paesi sviluppati sta vivendo in questi anni.
La manifestazione finanziaria la sta facendo da padrona per cui non ci preoccupiamo dei lavoratori ma monitoriamo lo spread in tempo reale. Il tema di oggi è Crisi globale, sviluppo locale, l’emergente glocal, stare dentro al mondo e dentro al proprio contesto. Ma quale è il locale a cui fare riferimento? Quale è il sistema locale? dobbiamo identificarlo e convergere anche se spesso non rispetta i confini amministrativi. Il glocal è importante perché riesce a stare sulle reti lunghe ma deve consolidarsi sulle reti corte, così che il locale si avvantaggi del globale. Questo sistema dovrebbe giungere ad esportare le idee piuttosto che i beni. È chiaro che le imprese sono importanti ma devono secondare le esportazioni delle idee perché questo produce ricchezza. La qualificazione del fattore umano è fondamentale.
Il nostro sistema della formazione è deficitario nella alta formazione, anche perché ha subito un grande attacco negli ultimi anni. Convinti dell’importanza della formazione come Facoltà di Agraria certifichiamo i corsi con Iso9000, un processo che monitora e ci dice che tra preparazione scolastica e università c’è un rapporto diretto. È necessario una collaborazione più stretta tra docenti, mettere a punto modelli formativi minimali per le materie scientifiche, un percorso comune per l’educazione permanente, sfida importante insieme a quello del trasferimento tecnologico.
L’assenza di una qualsiasi strategia da parte del Ministero ha portato la situazione al punto in cui siamo. Sono convinto dell’autonomia, il vero problema è che la carenza di una strategia l’ha trasformata in anarchia. Il sistema è rigido rispetto all’evoluzione della società perché l’offerta deve adeguarsi alla domanda che cambia. Per questo se sono incardinato su economisti come possono renderli interscambiabili con un letterato? I due problemi maggiori sono il trasferimento dell’innovazione, una terza gamba che non decolla, e la didattica: i nostri giovani devono saper utilizzare le conoscenze, da qui l’importanza dell’apprendimento. Su questo la politica universitaria basata sul numero degli iscritti non aiuta e c’è ancora molto da fare”.
“Il patto necessario più che possibile tra scuole e imprese” ha detto Mario Gatti, direttore Ufficio Professione lavoro dell’Isfol, nel suo intervento descrittivo della situazione italiana ed europea. “La strategia di Lisbona 2010, per la conoscenza competitiva e dinamica, non è stata messa in atto dall’Italia. I dati sono lontani anche a causa dello iato tra sistema formazione e istruzioni, oltre alla crisi. L’Italia da 15 anni ha un tasso di crescita pari a zero. L’Europa ha rilanciato allora in vista del 2020 con innalzamento del tasso di occupazione al 75%, tre per cento del Pil diretti alla ricerca sviluppo ed innovazione ed altre misure che vanno nella direzione di Lisbona.
C’è un progetto di Istat ed Isfol per una semantica della professioni, descritte da 400 variabili con i dati di stop di occupazione, i dati di Unioncamere, le prospettive di occupazione a medio termine e l’offerta formativa, riconducibile alle professioni, infine l’intermediazione tramite il sito ministeriale. Queste informazioni servono per riflettere sulle professioni ed operare scelte consapevoli. Tra livelli di istruzioni e presenza nel mercato del lavoro emerge che solo il 17,6 per cento delle persone occupate possiede un titolo universitario, la media europea è il 29, 1 per cento. Se incrociamo il dato con le professioni intellettuali, in Italia solo il 50% di chi svolge mansioni intellettuali ha un titolo universitario. Il trend delle professioni con elevata professionalità è piatto: non tenderanno a crescere quelle professioni che garantiscono sviluppo e competitività al contrario delle professioni a basso contenuto intellettuale.
Significa che davanti alla crisi ci si difende con un approccio difensivo, abbattendo i costi e non investendo in capitale umano. L’allocazione dei laureati invece tende ad aumentare nelle professioni che richiedono un titolo inferiore. Questo crea un allarme su cui non è facile intervenire per i parametri di Maastricht e il Patto di stabilità. Lo spazio per politiche di sviluppo è stretto ma inevitabile per incidere sul sistema di educazione e sul sistema economico. Il primo va qualificato e collocato in una prospettiva di lunga formazione e di adattabilità; è necessario attenuare la divisione tra tutelati e non tutelati, altrimenti non possiamo introdurre la flessibilità necessaria a discapito dei giovani, che hanno il diritto di coltivare un progetto di vita”.
La seconda parte dell’incontro è stata dedicata agli interventi dei dirigenti degli istituti superiori di Città di Castello: Rossella Mercati per il Liceo classico, Scientifico e delle Scienze applicate “Plinio il giovane”, citando il manifesto “Più cultura più progresso” del Sole24ore, ha detto che “I licei continuano ad essere le scuole preparatorie di elite. La scuola superiore è uno dei soggetti educativi insieme alla famiglia, ai gruppi di elezione, la società, i media. Sta subendo una tensione a causa della riforma, del cambiamento dei curricula, mancando di spazi e risorse per le sperimentazioni, per l’indifferenza sociale. Chi si preoccupa di conoscere dall’interno le trasformazioni. Dobbiamo guardare la scuola come sistema e creare sinergie con le aziende, perché diventi fattore di sviluppo.
La nostra città che è al centro di un’area vasta dovrebbe condividere con i comuni viciniori un progetto per sviluppo. Abbiamo tre poli nella riformata rete scolastica, che soddisfano gran parte delle esigenze di formazioni. Il nostro istituto oltre al classico, alle scienze applicate e allo scientifico, dovrà espandersi. Lo scientifico è un grande risultato e si lavora su didattica, formazione della persona. La scelta di chi esce è l’università. La scuola al territorio può dare competenze professionale, attraverso il proprio personale; offre la formazione permanente, spazi ma soprattutto può dare idee. Chiede servizi, trasporti, attività giovanili e non a pagamento, collegamento tra scuola, economia, mondo delle professioni, come oggi con questo incontro si sta cercando di fare”.
Anna Maria Giacalone, dirigente dell’Istituto d’istruzione superiore “Patrizi-Baldelli-Cavallotti” ha sottolineato come “la scuola tecnica professionale deve preparare i giovani per inserirsi nel mondo del lavoro, purché questo mondo sia preparato ad accoglierli. Oggi questa corrispondenza non esiste. La scuola deve impostare i suoi indirizzi prestando attenzione alle possibilità che il territorio offre. I tre settori della nostra scuola offre una notevole flessibilità, adeguando sul piano teorico i nostri corsi all’innovazione tecnologico, modificando ed integrando i profili. Tuttavia la scienza corre più veloce e questo scarto può colmarlo uno stretto rapporto tra scuola ed imprese. I nostri alunni hanno vinto il primo premio in un concorso che si è svolto a Brescia dove hanno presentato anche i prodotti tipici, realizzando un’integrazione naturale. Gli studenti familiarizzano nelle imprese con la tecnologia in uso, capiscono cosa significa il lavoro con i progetti di alternanza. Chiediamo all’economia di investire, di credere nella scuola come accade nel Nord Italia. Se non si semina nella scuola non si raccoglie fuori di essa. Vorremmo essere coinvolti anche quando accadono fatti epocali, come la transizione dal tabacco. Alcune esperienze sono state condotte a termine con agenzie pubbliche e università. Nel disegno di questo inserimento attivo nel mondo del lavoro, vediamo come fondamentale il ruolo degli enti pubblici. Nel polo professionale avviene l’integrazione sociale di studenti provenienti da altri paesi o di ragazzi con disabilità”.
Valeria Vaccari, dirigente del Polo tecnico “Franchetti-Salviani”, “il dimensionamento è stata un’operazione importante anche se letta nella chiave predominante dell’acquisizione del liceo scientifico, In realtà è nato anche un polo tecnico e in territorio ad un alto tasso di industrializzazione il ruolo di questa agenzia è fondamentale. Purtroppo l’istruzione tecnica è stata vittima della licealizzazione che sta creando problemi nel momento in cui l’Italia ha bisogno di competitività per crescere. L’auspicio è che ci sia una crescita dell’istruzione tecnica in termini numerici. C’è un grosso problema di orientamento a livello di scuole medie. Bisogna ripensarlo e da questo punto di vista sarebbe molto importante rilanciare l’idea di un’indagine conoscitiva.
C’è domanda di tecnici, quotidianamente nonostante la crisi, a cui non possiamo fare fronte. Che cosa fanno le scuole? Il problema della matematica è fondamentale e per gli istituti come il nostro è una spina nel fianco. Partecipiamo ad un progetto innovativo di fare matematica ma un nodo critico sono anche i docenti, perché la scuola è cambiata ma la didattica no. In un istituto tecnico c’è la necessità di fare investimenti ma non abbiamo risorse. Da questo punto di vista è fondamentale la collaborazione con le aziende e imparare a lavorare insieme, ad esempio nelle aree di progetto. Rispetto agli istituti tecnici speciali, stiamo lavorando su un’ipotesi, varata dalla Regione che adegui la formazione dei geometri alle nuove prescrizioni di legge”.
Gnucci, docente del Liceo delle Scienze umane “San Francesco di Sales”, “siamo la più antica scuola dell’Umbria e l’unica parificata del Centro Italia ad avere tutti e cinque i gradi. Un motivo di vanto e di eccellenza anche per Città di Castello. In questo momento di crisi, l’investimento in educazione e capitale umano è fondamentale. La nostra proposta si basa sulla capacità di educare le persone, che sta alla base del progresso. L’educazione non è un problema di apprendimento o di addestramento in modo utilitaristico e poi dare alla scuola una funzione omnicomprensiva.
La società chiede persone capaci di cambiare ed adattarsi. La scuola studia i fenomeni nel loro cambiare e fornisce allo studente le competenze necessarie per cogliere i processi e nel curriculum sono previste due lingue straniere con particolare riferimento nel campo giuridico ed economico. Anche nell’ottica del Ministero c’è l’idea di rafforzare l’identità del liceo delle Scienze umane. Le peculiarità specifiche sono il soggiorno di studio all’estero e lo stage del quarto anno. È necessario un raccordo tra scuola e territorio nei suoi passaggi, una divisione che soffre la scuola è tra cultura umanistica e tecnica”.
Claudio Ceci, membro del Cda del Centro Bufalini, “l’evoluzione di questa scuola è la testimoniata da questa sala dove ci troviamo, nella quale si riflette i progressi di un istituto, considerato di serie C fino a qualche decennio fa. La Bufalini era in realtà la scuola operaia, una sorta di punizione. Ora è un’agenzia pienamente inserita nel tessuto locale, che coniuga professionalità a un impianto formativo su un piano generale. Questo si deve ai precedenti consigli, agli enti locali, alla Provincia, alla Regione.
Esiste uno scollamento tra domanda ed offerta e le richieste maggiori riguardano gli informatici, idraulici, elettricisti, camerieri, parrucchieri ed estetisti. Sono queste le figure di cui in questo momento stiamo tenendo i corsi. La missione della Bufalini si articola in rapporti con le aziende, potenziamento Comitato tecnico, progetti di politica giovanile con il Comune, relazioni con altre agenzie e con il territorio. Stiamo lavorando per integrare il ventaglio dell’offerta formativa per realizzare un programma di qualità. Inoltre la Bufalini è dentro progetto internazionali, volendo inserirsi in questo circuito per effettuare scambi con scuole analoghe alle nostre e in generale con il territorio di riferimento. Questo aspetto non è in competizione o antitetico con la scuola di secondo grado, che è stato ed è nostro partner in molte iniziative, che esulano dalla formazione vera e propria per porsi nell’ambito della formazione della persona”.
I lavori sono stati chiusi dall’assessore provinciale all’Istruzione Donatella Porzi, che nel suo intervento ha condiviso la necessità di un patto “indispensabile e non solo possibile tra scuola ed imprese. Non abbiamo ricette ma possiamo essere attenti alle esigenze del territorio e al fattore umano della persona, che è centrale. Non è difficile trovare accanto ad attività professionalizzanti iniziative di autocoscienza e di formazione permanente. Nessuno, nel sistema dell’istruzione, è di serie B. I nostri ragazzi devono sapere che non esistono posizioni di rendita e che dovranno sempre studiare. Il mondo della scuola sta vivendo, al pari della società, un momento di crisi: l’integrazione trova qui però una camera di compensazione.
Questo da un lato è una ricchezza e dall’altro un problema, perché abbassa i processi di apprendimento non avendo gli strumenti sufficienti ad attivare spazi di recupero autonomi e non interferenti con la vita della classe. Lo stesso si può dire della disabilità. Riguardo i temi del lavoro, una difficoltà è la conoscenza della seconda lingua. L’orientamento spesso è una campagna acquisti, poco nobile ma che agisce.
La settimana scorsa abbiamo avuto l’ispezione ministeriale: le prime notizie sembrano confortanti anche rispetto all’its. I livello però debbono essere alti. Guardando i prerequisiti richiesti a questo tipo di formazione postuniversitaria, noi non ci siamo. Questo primo anno di sperimentazione sarà fatto anche con corsi di recupero ma non possiamo agire abbassando i livelli. Dobbiamo invece allargando l’orizzonte e accedere in maniera stabile ai programmi europei, attraverso scambi, come quelli di cui siamo attivi portatori nell’ambito delle nuove prassi. Stiamo dando e non prendendo ma è importante. Mi corre l’obbligo di sottolineare che stiamo lavorando tanto anche contro la dispersione, per contrastare i due milioni di giovani Nec, non lavorano, non studiano, non di formano, che potrebbero essere un problema sociale nei prossimi anni”.
![Condividi](/sites/all/modules/addtoany/images/share_save_171_16.png)
Recent comments
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago
12 years 2 weeks ago