Città di Castello/ Tradizione e territorio: un De.Co per il crostino briaco
CITTA’ DI CASTELLO - Il crostino briaco, dolce tipico della tradizione tifernate, diventerà un prodotto a denominazione comunale (de.co): lo ha confermato il sindaco di Città di Castello Luciano Bacchetta nella conferenza stampa in cui, insieme al comitato promotore dell’iniziativa, ha presentato il progetto.
“Concedere un riconoscimento di tutela e provenienza al crostino briaco mi sembra un modo per valorizzare la città attraverso le sue tradizioni” ha spiegato Bacchetta, aggiungendo come “anche le azioni che potrebbero apparire minori o autoreferenziali in realtà esprimono un forte potenziale, quando autentiche e non surrettizie, nella rappresentazione turistica del territorio. Inoltre il comitato per il deco, direi, usando un gioco di parole, è composto da prestigiosi tifernati doc, se per prestigio si intende l’autorevolezza con cui hanno contribuito a far conoscere e a promuovere il patrimonio storico e culturale cittadino. L’amministrazione comunale appoggerà dunque la proposta del comitato perché il crostino briaco è di fatto, se non ancora di diritto, un marchio collettivo di Città di Castello”.
“Non esiste localmente racconto od usanza carnevalesca che non si ricolleghi al crostino briaco” ha ricordato Alessandra Carmignani, presidente dell’Accademia del cioccolato e membro del comitato “dolce tipico ma anche esclusivo della tradizione tifernate. È ed è stato il protagonista assoluto di feste popolari e veglioni d’elite per i suoi ingredienti, una fortunata combinazione dettata dagli avanzi dei poveri menù domestici di una volta. In Umbria sono molti i prodotti con la tutela De.co, che certifica la provenienza pur non essendo una denominazione regolamentata da leggi: l’Alto Tevere non ne ha nemmeno uno. Lanciando l’idea, vogliamo stimolare la partecipazione al progetto dei nostri concittadini con il contributo di chi coltiva ancora questa antica usanza affinché si possa risalire alla ricetta originale e condivisa. La serata che da nove anni l’Accademia del cioccolato dedica a questa specialità è stata in terreno in cui è nata e poi, grazie ai suggerimenti di Mauro Bacinelli, direttore del settore promozione dei prodotti tipici di Arusia, è maturata l’idea di conferire un blasone al crostino briaco, sventando il pericolo che la tradizione, confinata ad un preciso periodo dell’anno e senza una commercializzazione, possa appannarsi o spegnersi”.
Il de.co. La paternità della sigla è di Gino Veronelli, che nel 1999 propone uno strumento con cui i Comuni possano valorizzare il proprio territorio attraverso le produzioni artigianali ed agricole. Li chiama “giacimenti gastronomici” d’Italia, parte di un patrimonio storico e civile che affonda le sue radici nella stessa antichità umana. La Denominazione Comunale non è un marchio di qualità, ma la carta d’identità di un prodotto, un’attestazione che lega in maniera anagrafica un prodotto/produzione al luogo storico di origine. In altri termini, è un certificato notarile contrassegnato dal sindaco, il primo cittadino, a seguito di una delibera comunale, che certifica, con pochi e semplici parametri, il luogo di “nascita” e di “crescita” di un prodotto e che ha un forte e significativo valore identitario per una Comunità. Aspetti importanti che collocano il mondo delle de.co all’interno di un percorso culturale e di pensiero volto alla difesa delle caratteristiche territoriali e delle biodiversità.
Del comitato per il crostino briaco de.co fanno parte anche Liana Sgaravizzi, vicepresidente dell’Accademia del cioccolato, Dino Marinelli, Alberto Barelli per il Castello di Sorci, in cui a Carnevale il crostino briaco è il dolce ufficiale, Ubaldo Mariucci e Tommaso Bigi, che ha indicato, allo stato attuale della ricerca, quale sia la ricetta ortodossa, fedele cioè alla tradizione orale: “In primo luogo il pane deve essere lievitato naturalmente per conservare il sapore degli elementi che si sviluppano durante questo processo. Una fetta sarà sufficiente per almeno quattro crostini. In una tazza si fa la bagna, mischiando rhum ad alchermes; quindi si procede a spezzettare dentro un panno, ma senza triturare, le mandorle, che andranno tostate su una padella rigorosamente di ferro e quindi unite a zucchero e cacao amaro. Nel tempo sono stati introdotti barbarismi, come il caffè, o varianti che però non rispondono ai canoni”.
“Il progetto sta muovendo i primi passi - ha concluso Alessandra Carmignani - auspichiamo che il comitato possa infoltirsi con nuove adesioni e che l’idea possa essere sposata dagli operatori della ristorazione, dei caffè, dei bar, delle pasticcerie e dei forni, per caratterizzare le proprie offerte durante il Carnevale o nella promozione delle eccellenze locali”.
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