TODI - “Il mondo di oggi reclama sacerdoti santi! Soltanto un sacerdote santo può diventare, in un mondo sempre più secolarizzato, un testimone trasparente di Cristo e del suo Vangelo…Gli uomini, soprattutto i giovani, aspettano una tale guida. Il sacerdote può essere guida e maestro nella misura in cui diventa un autentico testimone!”.  Questa  citazione tratta da “Dono e Mistero” di Giovanni Paolo II è lo spunto che ha ispirato  gli Amici del Cineforum di Todi a proporre questa rassegna - patrocinata dalla Diocesi di Orvieto/Todi, dal Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza  e dal Comune di Todi - che verrà proposta da febbraio a maggio 2017.

Dicono gli Amici del Cineforum: “Abbiamo raccolto l’esortazione di Giovanni Paolo II, perché ora come mai prima la nostra società ha bisogno di trovare una guida per uscire dalle nebbie e dalle sacche buie della storia”. E in fondo, lo sottolinea anche Papa Francesco :  “Questo io vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore”. Dunque, il sacerdote deve avere addosso l’odore delle anime che pascola. Con in più, l’aggiunta di un’altra fragranza: l’olio di Cristo, l’Unto di Dio venuto a cospargere l’umanità di questa sua sostanza divina.

“Il buon sacerdote, – afferma il Papa – si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa – dice – è una prova chiara” (Messa Crismale del 28 marzo 2013).

La rassegna vuole offrire uno sguardo nuovo sulla figura del sacerdote che, come ricorda Mons. Benedetto Tuzia - Vescovo della Diocesi Orvieto/Todi - è “dono straordinario per il popolo di Dio: da conoscere, amare e ringraziare”

Film Un Dio Proibito di Pablo Moreno

Il cinema sulla guerra civile continua a mostrare una ferita aperta. Non è facile avere uno sguardo sereno dinanzi all’insieme dei conflitti che si sovrapposero generando nella dittatura una lunga marea di dolore. Le pellicole più recenti si aprono a nuove prospettive, e sono impegnate a sfumare  impostazioni ideologicamente sempliciste o manichee. 

“Un Dio proibito” si colloca fra queste pellicole.  Innanzitutto, è un film che non tratta della guerra del 36, ma del martirio di un gruppo di seminaristi che, lontani dai conflitti politici, decidono di vivere coerentemente la loro fede nel Vangelo. La partitura, seguendo una ricca e attenta documentazione storica, rifugge da una divisione tra buoni e cattivi, concentrandosi invece sulle motivazioni religiose di un gruppo di 51 clarettiani che furono fucilati a Barbastro.

Realizzata con un rigore forse eccessivo per fedeltà ai fatti storici, ci offre una prima parte in cui contestualizza il conflitto che si avvicinava  la presentazione della vita nel seminario, così come la preoccupazione che nasce dal momento  per poi trattenersi sulla permanenza durata un mese nel salone degli Scolopi dove i giovani furono detenuti e dove stabiliscono relazioni con i miliziani e il comitato, la convivenza tra di essi, la vita spirituale e la loro disposizione a donare la vita; gli ultimi venti minuti del film  trattano  della fucilazione, avvenuta in momenti diversi e in vari luoghi,  dei padri che li accompagnavano e dei seminaristi. Qui si mette in evidenza il loro coraggio interiore e la decisione coerente con la fede da essi professata. 

Pablo Moreno, il regista che già conosciamo per il suo cortometraggio “Alba”  (2012) e per i lungometraggi “Taità Kum” (2010) e “Paolo di Tarso: l’ultimo viaggio”, intraprende questa scommessa con la casa produttrice “Controcorrente” e con l’appoggio dei Missionari Clarettiani. Con uno stile televisivo, una messa in scena  degna e  molto attenta e con  un gruppo di giovani attori entusiasti (Elena Furiase, Raul Escudero, Javier Suarez, Emma Caballero, Iñigo Etayo, Jeronimo Salas e Alex Larumbre) ai quali si aggiungono alcuni più maturi, come Juan Lombardero, nel ruolo del fratello Vall, il cuoco,  e Mauro Muñiz,  nel ruolo del gitano beato Ceferino Giménez, “il Pelé”. Tutto questo, per offrirci una proposta emotiva, con una prospettiva agiografica equilibrata e un contenuto evangelico che si caratterizza per la testimonianza e non certo per la condanna dei violenti.

Trattandosi di una pellicola povera di fondi, l’impostazione rigorosa, l’attenzione alle immagini e l’intelligenza dei mezzi digitali, offrono una fattura significativa che, secondo lo stile televisivo, risulta attrattiva sia per la storia che racconta, sia per il valore della testimonianza che trasmette. Questo comporta un salto qualitativo nella produzione del cinema religioso,  fra di noi, così che possiamo superare il fatto di doverci rassegnare a pellicole italiane o nord-americane. Una proposta, in tempi che sono anche per il cinema piuttosto modesti, che speriamo si consolidi al cospetto di un pubblico che ha risposto in maniera piuttosto fredda dinanzi a pellicole come “Encontraràs dragones”, o “Cristiada”, ma che fu conquistato da “El gran silencio”, da “De dioses y hombres”, o da “La ultima cima”. 

Il ruolo di Eugenio Sopena, leader del CNT di Barbastro (molto bene drammaticamente Jacobo  Muñoz) e della miliziana Trini, la Pallaresa (credibile la Furiase) mettono in rilievo i tratti di umanità nel campo repubblicano e danno un contrappunto alla storia. Tuttavia non è facile seguire un elenco tanto ampio, specie quello dei giovani seminaristi, per consentirci di cogliere l’evoluzione dei diversi personaggi e forse vi sono sottolineature nella partitura che, se fossero rimaste più implicite, avrebbero portato maggiore profondità drammatica. 

Vi sono però anche momenti emotivi come la lettura del congedo dalla Congregazione: “Moriamo tutti contenti senza che nessuno provi timore né sofferenza: moriamo tutti pregando Dio che il sangue che cada dalle nostre ferite non sia sangue di vendetta,  ma sangue che entrando nelle tue vene rosso e vivo, stimoli il tuo sviluppo e la tua espansione nel mondo”, o il momento nel quale mettono insieme i loro sudori come ricordo per quanto sopravviveranno come testimoni. La pellicola mostra un impegno chiaro a favore dell’esperienza di fede in Dio come ragione ultima dell’esistere, la generosità di coloro che ne sentono la chiamata, il valore della vita religiosa e il cammino trascendente del perdono. Così, dunque: cinema religioso  con valore di storia e con forza di testimonianza.  _____________________________________________________________________

Peio Sanchez - Critico cinematografico- 

Traduzione a cura del  Padre Clarettiano Franco Stano

La rassegna è totalmente autofinanziata dagli Amici del Cineforum di Todi,  persuasi che una attività  di buona  cultura cinematografica sia la piattaforma ideale per ripensare ad una cultura  dell’incontro e del senso di comunità.  Ben venga dunque il buon cinema!  

Invitiamo proprio tutti affinché  la  rassegna possa diventare uno dei luoghi identitari dove la  comunità di Todi sia in grado di riconoscersi, per riscoprire se stessa, le proprie radici culturali e spirituali, con orgoglio e fierezza. L’intero programma è consultabile su Facebook: Amici del Cineforum di Todi.

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