di Fabrizio Giustizieri 

Chissà che penserebbe oggi De André di quello che avviene nel Mediterraneo, lui che lo ha cantato come nessun altro in Italia, immergendosi nei dialetti, nelle storie, nelle tragedie e nell'allegria di questo grande mare che dovrebbe unire ed in realtà divide; chissà che strumenti userebbe per metterlo oggi in musica dopo aver mescolato, per anni, i suoni delle varie tradizioni che si affacciano sul mare nostrum, fino a farli diventare colori, odori, sapori e, perché no, leccornie.
Chissà cosa direbbe il Faber che ha condizionato la vita di tutti coloro che lo hanno incrociato in adolescenza ed ai quali non sembrava vero che si potesse parlare di alcol, puttane e disgraziati  "coperti" da un siffatto monumento, a cui genitori e professori mostravano rispetto. 
Chissà come appellerebbe questi uomini che si riconoscono come tali in mezzo al mare ma che, per qualche disposizione assurda fatta da chi sta con il culo a riva, sono costretti a viaggi della sofferenza che si aggiunge alla tanta sofferenza già patita. Queste barche, cariche di disperati, costrette a risalire dalle coste prossime alla Libia  fino ai porti emiliani o marchigiani, per il solo gusto di far vivere a quei poveretti, come colpa da espiare, la volontà di provare ad avere una chance, come sarebbero cantate  oggi da De André? Io lo immagino seduto, con le gambe incrociate, in uno stato di quasi trance come quando cantava Sidun, ma sono consapevole di essere banale e probabilmente, con la sua irriverenza, userebbe un ritmo più simile a quello de "A Duménega", perché chi vuole vivere sorride e chi coltiva il dolore altrui dev'essere deriso.
Intanto sono passati 24 anni da quando ci ha lasciati ed ancora ci manca tanto ed ancora è così tanto presente.

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