L’Umbria può giocare un ruolo nella nuova ondata di sviluppo della chimica: le scelte strategiche della Giunta regionale di puntare sulla “green economy”, le basi che sono già state gettate per avviare e potenziare iniziative imprenditoriali sul fronte della chimica verde, delle biotecnologie, dell’energia rinnovabile, costituiscono il punto di partenza per il rafforzamento e la competitività del tessuto produttivo. È una delle analisi del rapporto “La chimica tra passato e futuro” realizzato, su incarico della Regione Umbria, dall’Agenzia Umbria Ricerche e presentato oggi nel corso di un convegno a Terni.

Una parte del rapporto “Aur” è dedicata alle indicazioni di prospettiva e alle nuove frontiere della chimica a Terni e in Umbria che, dopo una storia non secondaria a livello nazionale, oggi conosce una dimensione critica e una consistenza minore del passato, richiamando – sottolinea nell’introduzione il presidente dell’Aur, Claudio Carnieri - l’urgenza di continuare a rinnovare quell’impegno che le istituzioni regionali e locali hanno sviluppato in questi mesi e riaprire un discorso sulla prospettiva. La chimica nel mondo non è un settore in declino. Nonostante l’incalzare dei Paesi asiatici un gruppo di Paesi occidentali (Usa ed europei) continua a sostenere sui mercati una sfida basata sulla specializzazione di settore, piuttosto che sui costi. L’Italia “regge” in virtù del dinamismo delle sue imprese.

La chimica mondiale è comunque alla vigilia di grandi trasformazioni (in relazione alle biotecnologie e alla “chimica verde”) che tenderanno a proporre la qualità dell’”idea” imprenditoriale in posizione di superiorità rispetto alla tradizione delle dimensioni e del “modello fordista”.
L’Umbria può giocare un ruolo in questa dimensione competitiva, avendo già fatto, la programmazione regionale, la scelta della green economy come cardine della nuova fase economica e istituzionale. Chimica verde, energie rinnovabili, biotecnologie sono i settori sui quali puntare, a giudizio della ricerca “Aur”, con imprese ad alto tasso di innovazione e strettamente collegate all’Università e alle acquisizioni e agli input della ricerca accademica.

E proprio quella del collegamento con l’Ateneo può essere, secondo la ricerca “Aur”, la chiave di volta per la “chimica” umbra, insieme ad una politica di sostegno regionale (che però, avverte “Aur”, non può esistere senza quella nazionale) che miri a far emergere le potenzialità di “rete” che esistono nel tessuto imprenditoriale, che incentivi la ricerca, l’innovazione, la capacità di attrarre investimenti esterni non puramente motivati da competizione da costi e che sia rivolta alla aggregazione tra le microimprese e ad una interazione con le regioni limitrofe, tra le quali viene in particolare indicata la Toscana.
Sempre a giudizio di “Aur”, il primato umbro di ospitare molte strutture della grande distribuzione commerciale, può costituire risorsa positiva nel campo della produzione di sacchi e imballaggi biodegradabili e della sostenibilità ambientale.

Le imprese della chimica in Umbria, censite al 2010, sono 137. Impiegano 1411 addetti. Ecco la loro ripartizione in base ai settori di produzione (tra parentesi la percentuale sul totale): chimica di base 14 (10,2%); riciclaggio materie plastiche 4 (2,9); chimica per agricoltura e agroalimentare 4 (2,9); detergenti e specialità per industria e casa 6 (4,4); chimica per edilizia 20 (14,6); farmaceutica e cosmetica 13 (9,5); fibre artificiali e sintetiche 3 (2,2); imballaggi e packaging 10 (7,3); biotecnologie, laboratori, spin off 4 (2,9); lavorazione materie plastiche 59 (43,1). Prevalgono le dimensioni “micro” e “piccola” con una marcata dispersione territoriale.
Quest’ultima ricalca abbastanza fedelmente la caratteristica localizzazione degli insediamenti industriali in Umbria. I comuni interessati sono 40 (sui 92 totali) e, se si escludono le concentrazioni situate tra Perugia e Corciano (con 33 imprese, circa un quarto del totale) e il polo Terni-Narni (23 imprese, il 17% del totale), la polverizzazione delle imprese sul resto del territorio mostra qualche piccolo addensamento nella fascia nord-orientale della regione, quella che attraversa l’Alto Tevere, l’Eugubino-gualdese e il Folignate, per una quasi ininterrotta continuità di insediamenti.

Le informazioni e i dati che seguono, relative alla occupazione ed ai mercati di destinazione, sono riferiti ad un campione di 43 imprese censite dagli autori della ricerca. In questo ambito gli occupati si concentrano per i due quinti nella Chimica di base, per il 29% nella Chimica fine e delle specialità, per il 22% nella Lavorazione delle materie plastiche e per il restante 8% nella Chimica per il consumo. Il primo ed il quarto dei macrosettori nella graduatoria per rilevanza di addetti complessivi sono anche il primo e il quarto nella graduatoria costruita per la dimensione media (rispettivamente con 64 e 18 unità per impresa).
La distribuzione delle imprese per classi di addetti mostra una prevalenza di micro (fino a 5 addetti) e piccolissime (6-10) imprese, che insieme assommano quasi la metà delle imprese censite. Le classi dimensionali dagli 11 ai 50 addetti annoverano più di un terzo delle imprese; ammonta al 17% il gruppo delle aziende con oltre 50 addetti, prevalentemente rappresentato dalle unità che superano i 100. Se si escludono le realtà di piccolissime dimensioni, le imprese mostrano una distribuzione per classi di addetti sostanzialmente omogenea.

Un profilo della struttura “tipo” per qualifiche professionali (da considerarsi puramente indicativo in quanto costruito sulla base dei valori medi) configura un’impresa dove lavorano mediamente 20 operai, di cui 5 specializzati, 2 addetti alla ricerca e sviluppo, 12 addetti rappresentati da personale amministrativo e dirigenti. Delle 34 unità lavorative complessive, 4 risultano laureate.
Per ciò che concerne i mercati di destinazione, la maggior parte delle imprese (62%) produce prevalentemente per il consumo intermedio, ovvero realizza semilavorati o componenti utilizzati come input da altre industrie per le loro produzioni. Quasi un terzo delle imprese si rivolge direttamente al mercato finale, mentre il restante 7% opera in entrambi i canali di vendita.

Il settore che si rivolge maggiormente al mercato intermedio è, come era naturale attendersi, quello della Chimica di base (88% delle imprese), seguito dalla Lavorazione delle materie plastiche (67%). Viceversa, il settore che opera più a ridosso del mercato finale è – per definizione – quello della Chimica per il consumo, che tuttavia comprende anche casi di imprese (un terzo del settore) che producono beni rivolti al soddisfacimento della domanda di altre aziende per l’espletamento della loro attività.
Il mercato di sbocco delle imprese censite è piuttosto variegato dal punto di vista delle localizzazione geografica dei clienti. Un primo elemento di rilievo è la scarsa interrelazione (dal punto di vista dei flussi in uscita) con il territorio regionale. Infatti, solo il 7% delle imprese realizza una quota molto consistente (oltre l’80%) del fatturato entro i confini regionali (sono due le imprese che vendono solo ad acquirenti umbri).

Viceversa, per tre quarti delle imprese il fatturato nel mercato locale non oltrepassa il 20% del totale.
Il 40% delle imprese vende i propri prodotti esclusivamente entro i confini nazionali, il 14% si rivolge solo alle regioni del Centro. Solo 4 imprese ricavano almeno il 50% di fatturato dall’estero. E 6 sono quelle che non hanno mercato nel Centro Italia, ma un raggio di azione nelle vendite di livello (almeno) nazionale. La metà delle aziende realizza fino al 30% del proprio fatturato nel Centro Italia (Umbria compresa). L’apertura verso l’estero si polarizza tra due quinti di imprese, che non esportano, ed un quinto che, invece, esporta almeno il 40% del proprio fatturato. Volendo sintetizzare, la propensione all’export delle imprese censite, intesa come semplice media aritmetica delle quote di fatturato realizzate all’estero, non raggiunge il 20%. Una quota analoga viene conseguita mediamente solo nel mercato locale.

 

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