Chi ha smacchiato l'Umbria Rossa?Chi ha chiuso il Pci e “dato spago” agli ex Dc
Di Ciuenlai - La prima domanda, Sen. Caponi, è sempre la stessa. L'Umbria rossa è stata smacchiata? E, immagino che anche la risposta sia sempre la stessa? Si!
Chi o cosa l'ha smacchiata? L’Umbria rossa l’hanno smacchiata la parte del gruppo dirigente nazionale che, capeggiato da Achille Occhetto, decise lo scioglimento del Pci e la parte di quello umbro che condivise quella scelta. Continuo a ritenere che fu una scelta sbagliata. Il Pci andava rinnovato, ma non tolto di mezzo. Primo perché l’eutanasia del Partito comunista eliminò l’argine culturale che si opponeva in qualche modo al trionfo definitivo dell’ideologia liberista, che è divenuta unica e dominante. Secondo perché la scomparsa del Partito comunista aprì o allargò la strada a quello che, presentato come una falsa modernità, è stato un progressivo smantellamento delle conquiste dei lavoratori, la espropriazione sistematica dei loro diritti, il peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro, la loro attuale condizione di mutismo e ininfluenza nella vita politica del Paese.
E sul piano istituzionale che cosa ha portato? Lo scioglimento del Pci ha contribuito a una svolta regressiva del sistema politico italiano e alla costruzione di una democrazia autoritaria con la quale le classi dominanti vogliono affermare la dittatura dell’impresa e del mercato e rendere le istituzioni impermeabili alle contraddizioni e al conflitto sociale. Si sono affermate e attuate concezioni e pratiche presidenzialiste, leaderistiche e maggioritarie che, con la scusa dell’efficienza e della governabilità, hanno via via ridotto la nostra bella democrazia costituzionale e parlamentare e scoraggiato la gente dalla partecipazione attiva alla politica. La personalizzazione ha portato alla scomparsa dei partiti (il mio discorso è particolarmente rivolto alla sinistra) come soggetti collettivi democratici rivolti al bene comune e legati da un comune ideale e alla loro trasformazione in comitati elettorali, agglomerati di gruppi di interesse, confederazioni di potentati personali o territoriali. Il malcostume del quale ci si lamenta deriva per lo più da questo.
Ma perchè e chi avrebbe determinato questa svolta? Io credo che, per quello che ho detto, sul gruppo degli ex comunisti del Pci pesa una responsabilità storica imperdonabile. La cosa incredibile (e che personalmente ho sempre considerato incomprensibile) è infatti che a perseguire con maggiore convinzione e guidare il processo di “americanizzazione” della politica italiana, siano stati proprio quei partiti della sinistra, Pds e Ds, nati dopo lo scioglimento del Pci. Quale vantaggio ne abbiano ricavato loro e l’Italia, non l’ho mai capito. Il Pd non lo considero neanche, perché credo che il Pd non sia più un partito di sinistra. C’è stato qualcuno che si è particolarmente distinto in questa deriva “nuovista”. Penso a Veltroni (che da membro della segreteria comunista, disse di non essere mai stato comunista) che ha fatto più danni della grandine, ma anche ad altri e al gruppo del quale parlavo nel suo complesso. Era inevitabile che l’ossessivo inseguimento di novità presunte o reali, l’abdicazione teorico culturale ai principi della sinistra, la subalternità ai dogmi del liberismo, di cui quei dirigenti sono stati protagonisti, partorisse, alla fine, del “mostri” come Renzi, che ha poi “divorato” i suoi stessi creatori. Renzi naturalmente ha avuto i suoi i omologhi in Umbria, che, come lui, con la sinistra non hanno niente a che spartire.
Appunto Veniamo all'Umbria. La tradizione del vecchio partito ha retto in Umbria più a lungo che altrove; probabilmente per la struttura sociale della regione e per l’antica egemonia ingraiana (cioè di sinistra) che, almeno a parole, ha governato per molti decenni il Pci umbro. Poi però gradualmente anche l’Umbria si è omologata alla tendenza nazionale. Particolarmente dopo l’avvento di Renzi (e il triste graduale apparente e spesso opportunistico passaggio di quasi tutti i membri del gruppo dirigente umbro nelle sue file) il verbo della nuova finta “modernità” di stampo sostanzialmente liberista, ha conquistato la regione. Il fatto che in Umbria sopravviva qualche elemento di politica keynesiana maggiore che altrove, più che alla volontà del gruppo dirigente mi pare determinata dalla struttura sociale della regione e dal fatto che le sue principali risorse risiedono ancora nella spesa pubblica. Ma, distinguere una amministrazione del Pd da una amministrazione di destra, diventa sempre più difficile, forse impossibile, perché fenomeni come la cementificazione, la desertificazione dei centri storici, la proliferazione delle megastrutture commerciali, la politica di privatizzazioni, la mancata ammissione di una crisi gravissima e quella di politiche pianificate e più incisive contro la disoccupazione, l’ossessione del rigore finanziario, sono comuni a tutti quanti.
L’avvento del renzismo in Umbria è coinciso o ha acuito una forte crisi del partito? Ai tempi del Pci il collante principale che teneva unito il partito era l’ideale; oggi è la gestione del potere. Se perdesse, da un momento all’altro i suoi principali centri di potere (la sanità, i fondi Ue, le risorse pubbliche trasferite dallo stato) il Pd cadrebbe come una pera cotta. La crisi del partito e i conflitti personali e territoriali, che sembrano renderlo ingovernabile dipendono, al fondo, dai tagli alla spesa pubblica che riducono la disponibilità di risorse da dividere tra personaggi, gruppi e territori. Questa crisi del Pd mi pare così forte che molto spesso, se vuol vincere qualche elezione, il Pd deve ricorrere a candidati indipendenti e non è in grado di proporre proprie figure all’altezza della situazione.
Una curiosità. Ma qui in Umbria comandano ancora gli ex comunisti? Comanda chi gestisce il potere. La componente di dirigenti ex comunisti in Umbria era fortissima e dominante. Oggi non è più così. Primo perché, come era prevedibile, gli ex democristiani si sono dimostrati più abili sul piano della gestione clientelare. Ma più ancora perché, venuto a cadere un comune cemento ideale, nei gruppi dirigenti di origine comunista (come a livello nazionale) si sono scatenati divisioni, rivalità, conflitti che ne hanno scompaginato le file e incarognito i rapporti. Oggi il loro ruolo è sempre più ridotto. Anche se non è affatto detto che, con loro al comando, l’Umbria sarebbe rimasta un po’ più rossa di quella sbiancata che è diventata.
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