Il sindacato respinge le accuse sulla vicenda dei 150 lavoratori ‘somministrati’ di ‘Umbria Salute’, partecipata dalla Regione. Ecco la nota del sindacato dopo l’articolo uscito mercoledì. Lo riportiamo integralmente, salvo fare qualche domanda perché ci sono cose, due soprattutto, che non appaiono convincenti.

“La pazienza dei 150 lavoratori somministrati della partecipata Umbriasalute in attesa della proroga del contratto è certamente messa alla prova, ma non per le ambiguità del sindacato, quanto piuttosto per le fake news che girano intorno all’argomento. Occorre far chiarezza. I sindacati di categoria Nidil Cgil, Felsa Cisl, e i rappresentanti dei lavoratori diretti Fisascat, Filcams e Uiltucs, a dicembre 2018 hanno sottoscritto con la partecipata Umbriasalute un accordo di prossimità col quale i livelli occupazionali saranno blindati almeno fino al 2021. Grazie ad esso, gli stessi lavoratori ora in forza potranno ancora rimanervi, in deroga agli impedimenti della legge 96/18. L’agenzia di somministrazione, recependo l’accordo senza il quale questi lavoratori sarebbero stati mandati a casa, sta facendo sottoscrivere in questi giorni le rispettive proroghe dei contratti”.

E ancora: “Il tutto - spiegano Luca Solano (Nidil Cgil Terni), Vanda Scarpelli (Nidil Cgil Perugia) e Rocco Ricciarelli (Felsa Cisl Umbria) - indipendentemente dalla firma della conciliazione, frutto di un accordo sindacale che dava la possibilità di recuperare una parte della somma persa da una applicazione dubbia del divisore orario. Ai lavoratori comunque è stata data la possibilità di scegliere se accettare quella transazione, oppure recuperare quelle somme con un percorso vertenziale. La vera preoccupazione dei lavoratori - continuano i tre sindacalisti - è quella di capire il reale impegno dell’azienda e della nuova giunta per l’avvio delle procedure di selezione pubblica, su cui si basa l’accordo di prossimità. Su quella vigileremo, perché questo sì, mette in difficoltà le lavoratrici e i lavoratori e i servizi pubblici, e di conseguenza tutta la cittadinanza”. 

Infine, “proprio per questo, le organizzazioni sindacali chiedono alla presidente Tesei di avviare un percorso di confronto per concretizzare le azioni già definite per la stabilizzazione del lavoro nelle partecipate della Regione Umbria”.

Due soprattutto le cose che non si capiscono. La prima è perché il sindacato, invece di preoccuparsi solo della prosecuzione del mantenimento dei livelli occupazionali (cosa meritoria), abbia proceduto ad un accordo di conciliazione con L’Agenzia di lavoro che ha avviato i 150 lavoratori. Il che, in soldoni, per i lavoratori che lo sigleranno significa mettere una pietra tombale sui diritti che avanzano (ritengono in sostanza illegittimo il contratto loro applicato), facendo recuperare a questi lavoratori, con la conciliazione, solo una parte di quello che reclamano. La decisione di fare vertenza per reclamare quanto si ritiene si debba avere è una decisione personale e anzi semmai il sindacato avrebbe dovuto lui promuovere, se ritiene che i lavoratori abbiano ragione, la vertenza stessa.

Invece che fa? Introduce questo accordo con l’Agenzia di lavoro proprio nel momento in cui negozia con Umbria Salute la proroga dei livelli occupazionali (senza la quale, peraltro, Umbria Salute andrebbe in grossa difficoltà nei servizi amministrativi, compreso il servizio Cup, Centro unico di prenotazione).Un accordo che di certo avvantaggia L’Agenzia di lavoro che, a occhio e croce, rispetto a quanto – a loro giudizio – dovrebbero avere i lavoratori in questione (i quali, beninteso, guadagnano al netto tra 900 e mille euro al mese) con la conciliazione si troverebbe ad avere risparmiato, negli anni trascorsi, una cifra non propio minimale (oltre a mettere una pietra tombale su un’eventuale vertenza, che il lavoratore ha tempo 5 anni per fare).

Cosa spinga il sindacato a sposare questa linea è davvero difficile da capire e pare, nel panorama sindacale italiano, una sorta di ‘unicum’.

La questione cruciale però è anche un’altra. Ossia se il bando che fu effettuato dalla Regione per questi posti fosse o no adeguatamente finanziato, alla luce della tipologia dei contrati da applicare. Perché, se non lo fosse stato (e qui il sindacato dovrebbe dare un giudizio chiaro e, eventualmente, spiegare perché all’epoca non lo contestò), allora è chiaro chi ne avrebbe pagato il prezzo: i lavoratori. Il dubbio nasce dal fatto che a quella gara, a quanto sembra, partecipò solo un’Agenzia di lavoro e che l’Agenzia di lavoro che precedentemente forniva il servizio (per 60 lavoratori) non partecipò ritenendo la cifra inadeguata per poter rispettare l’impegno (e su questo, ma anche su altro, fece anche una segnalazione all’Anac, Autorità nazionale anti corruzione). Insomma, se la cifra fosse stata inadeguata è chiaro quali erano gli stracci destinati a volare. E oggi a quegli ‘stracci’ il sindacato si dà da fare per far loro recuperare solo una parte della cifra, attraverso l’accordo di conciliazione. Se invece la cifra allora stanziata nel bando fosse adeguata, allora nulla quaestio. Ma su questo, di cui le sigle sindacali non parlano, dovrebbero dare una loro valutazione pubblica, alla luce del sole.

E se il sindacato avesse ritenuto inadeguata la cifra stanziata del bando (la cui cosa evidentemente sarebbe ricaduta in negativo sulle spalle dei lavoratori, non essendo un’Agenzia di lavoro una confraternita di beneficenza), c’è da chiedersi perché non abbia chiesto alla presidente Marini ciò che invece oggi chiede alla Tesei. La quale, prima di aprire il tavolo chiesto oggi dal sindacato, farebbe bene ad andare a fondo della questione e darne pubblica comunicazione. Tacitando tutti i dubbi o mettendo ognuno di fronte alle proprie responsabilità. Se la Tesei non farà attentamente questo approfondimento, rischia di finire in una trappola.

Di certo, è una cosa da continuare a seguire attentamente.

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