di Leonardo Caponi

Nelle meditazioni, anche imposte di questi tempi, mi viene pensato che, nato nella seconda metà degli anni '60 per spinta principale del Pci, della Cgil e in parte del Psi, il nostro Paese ebbe, per molti anni, uno dei sistemi previdenziali più belli d'Europa e, quindi, del mondo. Era ispirato ad un principio di straordinaria solidarietà che garantiva anche il massimo di coesione sociale. Si chiamava sistema a ripartizione ed era fondato sulla pratica, naturale direi, che, come in una famiglia, i giovani mantengono gli anziani. Il punto debole di questo sistema, seppure sopportabile in relazione alla conquista che sanciva, era che, essendo molti ex contadini o ex contadine senza contributi e i salari italiani bassi, era basso anche il montante moltiplicatore e, conseguentemente, basso l'assegno di quiescenza.
Il primo drammatico colpo alle pensioni, aumento dell'età pensionabile e dell'età contributiva, fu dato nel 1992, dal governo Amato, quadripartito di centro sinistra, con una manovra spaventosa di 92mila miliardi di lire che avviò l'epoca tribolata dei tagli alla spesa pubblica. Ma la riforma che cambiò realmente volto al sistema previdenziale fu quella Dini, nel 1998 governo retto dal Pds, che introdusse il calcolo contributivo a partire da una certa data, sostituendo quello precedente retributivo. Scusate la mia vanità, ma ricordo di avere fatto, come vicepresidente del Gruppo senatoriale di Rifondazione comunista (Presidente Ersilia Salvato) uno dei miei più bei (forse il migliore) discorsi parlamentari contro la "riforma", che smontai pezzo per pezzo. Ma, la riforma delle riforme, che ha segnato il de profundis per il sistema previdenziale pubblico italiano, è stata quella Fornero, governo Monti, sostenuto tanto per cambiare coi voti del Pd, con l'abolizione della anzianità e l'aumento a quote inverosimili dell'età pensionabile.
Questa opera di distruzione del sistema previdenziale pubblico, che ha avuto come principale artefice protagonista il Pds, Ds, Pd, è stata condotta con la tesi della sua insostenibilità rispetto ai conti pubblici. Quella di presentare l'Inps come causale del crac finanziario nazionale è stata ed è una tesi bugiarda e mascalzona. Se alll'Inps fosse stato evitato, come è giusto, il compito di pagare la cassa integrazione, trasferendola alla fiscalità generale, se si fosse anche in piccola parte recuperata la evasione e l'elusione fiscale, se si fosse praticata una politica per il lavoro e l'occupazione invece che trasferire soldi ai mercati, l'Inps avrebbe avuto e avrebbe i conti perfettamente in linea e soldi da spendere. Del resto credo che ancora oggi il bilancio del Fondo lavoratori dipendenti dell'Istituto sia, come è sempre stato, in attivo e che il disavanzo, oltre che dalle casse integrazioni, è causato dal Fondo lavoratori autonomi che ricevono, è vero, poco, ma avendo versato pochissimo.
Sono pronto a scommettere che, di qui a breve, l'Insp tornerà di nuovo sotto la scure non appena dovremo cominciare a rimborsare i debiti a cui l'Italia si sta impiccando.,Si proporranno, come passo finale, di ricalcolare tutte le pensioni in essere col metodo contributivo. A chi protesterà gli diranno, come hanno sempre fatto, che ci stanno i spiccacaldari europei alle frontiere.
 

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