Capoccia su "Qui devo stare"
Finito. Ed è finito come non poteva che finire. E non poteva che svolgersi a Perugia, la città sfigata tra le tre capoluogo delle ex regioni rosse. Non quella degli studenti, della Fontana Maggiore, di Umbria jazz, dell'Arco etrusco, ma la Perugia che pare "un cristiano stremato dagli anni" tra sfigati ex comunisti, mogli stanche, marocchini con figli spacciatori e poliziotti che li menano.
Una città dove i morti non muoiono ammazzati ma pongono fine ai loro "giorni infelici sulla Terra" andando a schiantare in auto su un albero.
In quarta di copertina c'è scritto "Servirebbe meno dolore/e servirebbe meno paura." È vero, servirebbe meno dolore e meno paura ma per arrivarci il dolore e la paura devono essere attraversati fino in fondo.
È quello che ti costringe a fare Giovanni nei sedici giorni di questo libro che non segue le mode editoriali e i gusti del momento ma il bisogno di raccontare la parabola di un mondo in una ex regione rossa. Cosa che fa di "Qui dovevo stare" un romanzo vero, politico, realista. E molto bello. Con esso
Giovanni
ha sancito la sua definitiva maturità di scrittore.
da un post facebook di Vanni Capoccia
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