CAPITOL HILL A BRASILIA, LULA MOBILITA L’ESERCITO
di Marco Boccitto
Immagini clamorose quelle arrivate da Brasilia nelle ultime ore, dopo che centinaia di sostenitori dell’ex presidente Bolsonaro hanno in relativa tranquillità invaso il cuore amministrativo della capitale e occupato i palazzi dei “tre poteri” che regolano la democrazia brasiliana – il Planalto sede dell’esecutivo, il Congresso e il Supremo tribunale federale -, facendone scempio. Uno sfregio frontale alla celebre architettura istituzionale del Paese, nella città concepita apposta per contenerla. A scoppio ritardato, perché molti si aspettavano qualcosa di simile ma a ridosso dell’insediamento di Lula, con il montare di una campagna di proteste e blocchi dal sapore pre-golpista. Ma non meno rumoroso.
I video delle devastazioni, degli sberleffi tra gli scranni e sulla scrivania del giudice della Corte suprema Alexander De Moraes- il più odiato da Bolsonaro -, le “poltrone del potere” scaraventate all’esterno hanno subito proposto un’inaudita replica brasiliana dell’assalto al Campidoglio Usa di due anni fa, il 6 gennaio. Con la sostanziale differenze che in questo caso l’ispiratore della trama “golpista”, il presidente “vittima” di esproprio elettorale non ronza nei dintorni per capire come si mette ma osserva da lontano.
L’ex presidente Jair Bolsonaro è riparato a tempo debito dai suoi amici miliardari in Florida per non consegnare la fascia presidenziale a Lula lo scorso 1 gennaio. A tuttoggi non ha riconosciuto la sconfitta. Tantomeno ha avuto parole a caldo per quanto stava accadendo a Brasilia, salvo prendere le distanze a mezza bocca qualche ora dopo.
Qui, rispetto a Capitol Hill, la marcia di avvicinamento ai simboli del potere era sembrata se possibile più composta. Niente accessori vichinghi, tatuaggi o armi improprie in bella vista, ma le solite bandiere “ordine e progresso” e le solite magliette verde-oro della nazionale di calcio.
Un fiume in fondo pacato, che sempre meno pacatamente ha rotto il blando cordone di sicurezza della polizia posto sull’avenida da cui si accede all’Esplanada. Dove poi sono avvenuti gli scontri, il lancio di lacrimogeni e di granate stordenti, quando ormai era tardi per fermare l’invasione.
Tutto è avvenuto con una facilità disarmante, nella totale inazione da parte di una polizia che non è esattamente nota per essere una forza di pace.
Così il primo indifendibile a saltare nelle ore immediatamente successive all’invasione è stato Anderson Torres, consigliere alla Sicurezza del governo federale ma già ministro della Giustizia e della sicurezza nazionale del governo Bolsonaro negli ultimi due anni.
La tropa de choque della polizia militare ha impiegato ore per riprendere il controllo della scenografiche rampe di accesso al Parlamento disegnate da Niemeyer e procedere ai primi 400 arresti. E in arrivo ci sono le unità scelte dell’Esercito federale, mobilitate per la durata di tre giorni, il tempo di ristabilire l’ordine così gravemente perturbato, con decreto urgente letto dallo stesso Lula in diretta tv.
Di “barbarie” e di “fascisti” ha parlato a caldo il presidente brasiliano, sorpreso dai fatti di Brasilia mentre si trovava nello stato di San Paolo in visita alle popolazioni colpite dalle recenti alluvioni.
In queste ore sta rientrando nella capitale, inseguito dagli attestati internazionali di solidarietà e preceduto dal decreto con cui assume i poteri speciali che la Costituzione in questi casi prevede (art.34). “I vandali saranno presi e puniti” ha detto Lula. E ci ha tenuto a rimarcare il fatto che nella storia del Brasile “mai” i movimenti di sinistra, gli indigeni o gli afrodiscendenti si sarebbero sognati di fare una cosa simile, malgrado i buoni motivi per farlo.
Pubblicato da Il Manifesto
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