La comunità per tossicodipendenti di Città della Pieve, pietra miliare nella storia dei servizi residenziali, sta per cambiare gestione. A deciderlo è la Giunta Alemanno per il tramite dell’Agenzia Capitolina sulle Tossicodipendenze (Act), l’istituzione che detiene la proprietà della struttura. I motivi restano avvolti nelle nebbie di logiche che nulla hanno a che fare con il funzionamento del servizio, la sua efficacia è comprovata da evidenze oggetto di pubblicazioni scientifiche, oltre che dal grado di soddisfazione espresso dagli operatori dei servizi pubblici, dagli utenti e dalle loro famiglie.
Quel che accade è che la Cooperativa “Il Cammino”, da venticinque anni ente gestore della comunità, non incontra i gusti della nuova amministrazione, perché ha collaborato con quelle precedenti, perché non è in linea con l’ideologia che permea le politiche di centro-destra, perché non accetta le limitazioni imposte dall’Act alla propria autonomia gestionale.

Dopo un lungo periodo caratterizzato da attacchi ripetuti, l’Act è riuscita a mettere in atto il suo piano. Nell’agosto 2011 emette un bando per la riassegnazione dei servizi e, com’era prevedibile, la comunità viene affidata a cooperative più vicine all’amministrazione comunale. Nessuna valorizzazione dell’esperienza maturata, nessun riconoscimento del rapporto con il territorio costruito negli anni, nessun rispetto per chi in quel servizio ci lavora da decenni con professionalità e passione.
Ora molti operatori resteranno senza lavoro, mentre gli utenti perderanno i loro operatori di riferimento e verranno esposti al rischio di abbandonare il servizio. Hanno scelto questa comunità per il suo alto profilo e per la peculiarità del metodo di lavoro, pensavano di aver diritto alla continuità della cura e invece si trovano a dover subire un’interruzione per motivi incomprensibili. A chi giova tutto questo, nell’interesse di chi viene fatto, chi ci guadagna?

Persino il territorio che ospita la comunità ne subisce un danno. Sette operatori umbri saranno disoccupati, il numero degli utenti ospitati passerà da un massimo di 45 ad un massimo di 90, e saranno impiegati in attività di produzione di una comunità trasformata in azienda agricola. Manodopera gratuita, e dunque, concorrenza sleale. A noi è stato imposto di cessare attività economiche iniziate con l’orticoltura biologica all’interno del progetto Godo di Aiab Umbria su di un piccola superficie, mentre l’azienda non è stata mai concessa e comunque sarebbe stata occasione di costruzione di una fattoria sociale biologica.
Per entrare in comunità, non ci sarà più bisogno di esibire un certificato di tossicodipendenza, e in assenza di controllo da parte del servizio pubblico non vi è alcuna garanzia che ad usufruire della struttura saranno persone bisognose di cure e non delinquenti alla ricerca di un’occasione per scontare pene alternative al carcere.

All’inizio della sua storia, la comunità è stata accolta nel Comune di Città della Pieve a seguito di una lunga interlocuzione con le istituzioni e i cittadini del posto; col passare degli anni è riuscita a farsi accettare dando garanzie di rispetto del territorio ed avviando scambi di conoscenze e di risorse che hanno arricchito tutti. Ora che il servizio viene trasformato il suo impatto sul territorio sarà diverso ed i vecchi equilibri ne risulteranno modificati; nessuno però si è preoccupato di consultare, o anche solo informare, le istituzioni locali.

Se non intervengono nuove e più sagge decisioni, sarà inevitabile assistere alla fine di un approccio di cura altamente qualificato, tra i più accreditati ed apprezzati sul territorio nazionale. Il risultato sarà un’opzione terapeutica in meno sul piano dell’offerta dei trattamenti e il netto prevalere dei soliti modelli, sempre più discutibili ed obsoleti. E’ così che il comune di Roma sperpera il suo patrimonio, umilia il merito, distrugge i servizi d’eccellenza. Un esempio di quando governare significa anteporre le logiche del potere alla salute delle persone.

 

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